
di Andrea Monda
«Tutta l’Italia! Tutta l’Italia, oè!». È il jingle che accompagna gli stacchi pubblicitari del Festival di Sanremo. Fa riferimento al fatto che praticamente tutti gli spettatori italiani stanno vedendo la rassegna canora che per tutta la settimana sarà il “piatto forte” dei programmi televisivi. Colpisce la dilatazione temporale che il Festival si è conquistata soprattutto negli ultimi anni: la serata è lunghissima e la tv racconta per giorni e giorni e a qualsiasi ora il prima il durante e il dopo della fortunata trasmissione. Tutta l’Italia inchiodata davanti alla tv a canticchiare i motivi musicali. Tanto di cappello a chi negli ultimi anni ha rilanciato questo appuntamento riuscendo a incontrare i gusti non solo degli adulti ma anche dei giovani che in precedenza snobbavano Sanremo. Oggi c’è musica per tutti i gusti. Confesso che trovo un po’ inquietante, a tratti angosciante questa dimensione “onnivora” di Sanremo. Tutto, infatti, è una parolina che genera un po’ di ansia. Il “tutto” si addice a Dio, Padre, todo poderoso, onnipotente, ma se invece lo associamo all’uomo ecco che stona, portando al riso ma anche al pianto. L’onnipotenza per l’uomo è sempre un delirio. Eppure il tutto ci attira. Vogliamo tutto (e subito). Siamo una società bulimica, che “mangia” tutto, che occupa ogni spazio, che si prende tutto, “all in” come a poker. Parlare della bulimia della società occidentale contemporanea ci porta logicamente ad un momento prima rispetto alla famosa intuizione del cardinale Biffi che, pensando alla sua Bologna, la definì «sazia e disperata». Prima di saziarsi infatti bisogna mangiare ed è qui che entra in campo la bulimia, l’ingordigia che sembrano essere diventate note distintive del nostro tempo.
Qualche giorno fa sono andato con mia moglie a pranzare in uno di quei ristoranti cosiddetti «all you can eat», «tutto quello che puoi mangiare». La formula è facile da capire: c’è un enorme buffet pieno di ogni ben di Dio e tu, per un prezzo molto basso (10 euro in genere), armato di un piatto che puoi riutilizzare ad libitum, puoi appunto riempirlo fino a quando e quanto vorrai senza alcun limite se non quello fisico legato alla capienza del tuo stomaco. Nei primi quindici minuti io e mia moglie come carichi di una energia euforica, come si suol dire, “non abbiamo fatto prigionieri”: quel povero piatto lo abbiamo riempito di ogni leccornia possibile e immaginabile, cercando, ma non era semplicissimo, di non mischiare i primi con i secondi o addirittura con i dolci o la frutta. Inevitabilmente mi sono ritrovato a mangiare dei primi dopo che ero arrivato al dolce, ma era proprio difficile resistere a tutta quella bontà elargita incessantemente e senza alcun senso del limite. Eccola qui la parolina magica, il limite, che a un certo punto si è fatta strada, mentre col passare del tempo, strisciante, saliva dal basso un senso come d’angoscia. L’euforia di qualche minuto prima progressivamente era scemata e alla fine del pranzo ci siamo guardati negli occhi io e mia moglie e ci siamo detti, sospirando: «mai più». Tornando verso la macchina ho avuto la sensazione di aver capito meglio e più in profondità la domanda, anche quella “strisciante” con cui sono iniziati tutti i guai per noi esseri umani: «Ma è vero che potete mangiare tutto?».