Alla diocesi di Roma

 Alla diocesi di Roma  QUO-248
31 ottobre 2024

«I poveri saranno sempre con noi, sono la carne di Cristo e, come un sacramento, lo rendono visibile ai nostri occhi». E la buona notizia da annunciare è che «la loro dignità, spesso calpestata dal mondo, davanti a Dio è sacra». Il Papa ha denunciato il dramma della povertà che affligge un numero sempre crescente di persone anche a Roma nel discorso pronunciato venerdì pomeriggio, 25 ottobre, a conclusione dell’assemblea diocesana nella basilica di San Giovanni in Laterano. Eccone i punti nodali.

Anche oggi e ancora oggi sono tante le disuguaglianze e le povertà che colpiscono molti abitanti della Città.

Se da una parte tutto questo ci addolora, dall’altra ci fa comprendere quanto sia ancora lunga la strada da percorrere.

Sapere che ci sono persone che vivono per strada, giovani che non riescono a trovare un lavoro o una casa, ammalati e anziani che non hanno accesso alle cure, ragazzi che sprofondano nelle dipendenze dalle droghe e in molte altre dipendenze “moderne”, persone segnate da sofferenze mentali che vivono in stato di abbandono o disperazione.

Questo non può essere solo un dato statistico; sono volti, sono storie di nostri fratelli e sorelle che ci toccano e ci interpellano: cosa possiamo fare noi? Vediamo nella storia ferita di queste persone il volto di Cristo sofferente? Siamo capaci di vederlo? Avvertiamo il problema per farcene carico? Cosa possiamo fare insieme?

Partendo da questi interrogativi vorrei riflettere su tre aspetti: portare ai poveri il lieto annuncioricucire lo strapposeminare la speranza.

Anzitutto, portare ai poveri il lieto annuncio. Gesù non ci offre una soluzione magica per risolvere la povertà ma ci chiede di portare loro «il lieto annuncio».

E la buona notizia da annunciare ai poveri è anzitutto dire loro che sono amati dal Signore e che agli occhi di Dio sono preziosi.

Il povero non può essere un numero, un problema o peggio ancora uno scarto. Egli è nostro fratello, carne della nostra carne.

La Chiesa è chiamata ad assumere uno stile che mette al centro coloro che sono segnati dalle diverse povertà: i poveri di cibo e di speranza, gli affamati di giustizia, gli assetati del futuro, i bisognosi di legami veri per affrontare la vita.

Rendiamoci presenti presso i poveri e diventiamo per loro segno della tenerezza di Dio!

Secondo, ricucire lo strappo. Il grande tessuto sociale, a motivo delle disuguaglianze, conosce quotidianamente rotture che fanno male.

È necessario ricucire questo strappo impegnandoci a costruire delle alleanze che mettano al centro la persona umana, la sua dignità.

Per ricucire lo strappo serve la pazienza del dialogo senza pregiudizi, confrontandosi con passione sulle idee, sui progetti e sulle proposte utili a rinnovare il tessuto della Città.

Per ricucire abbiamo bisogno innanzitutto di uscire dall’indifferenza e lasciarci coinvolgere in prima persona!

Valorizzate di più, nella pastorale ordinaria e nella catechesi, il pensiero sociale della Chiesa.

È importante formare le coscienze alla dottrina sociale della Chiesa, perché il Vangelo sia tradotto nelle diverse situazioni di oggi e ci renda testimoni di giustizia, di pace, di fraternità. E tessitori di una nuova rete sociale e solidale nella Città, per ricucire gli strappi che la lacerano.

Infine, seminare speranza. È un impegno che siamo chiamati ad assumerci anche in vista del Giubileo ormai vicino, che ho voluto fosse segnato dalla speranza cristiana.

Rivolgo un appello forte a realizzare opere concrete di speranza. Andiamo sulla strada della speranza.

In questa Città hanno operato uomini e donne che davanti ai problemi non sono rimasti a guardare e nemmeno si sono limitati a dire o a scrivere tante cose.

Penso ad alcuni sacerdoti, veri uomini di speranza, come don Luigi Di Liegro; a tanti laici che si sono messi all’opera rispondendo al bisogno di gettare un seme di bene, di attivare processi nella speranza che qualcun altro si sarebbe preso cura di quel seme fino a farlo diventare un albero grande.

Se oggi è molto forte la spinta al volontariato è perché qualcuno ci ha creduto e ha iniziato con piccoli passi. Quel bene ha contagiato tanti altri fino a diventare stile condiviso.

Dobbiamo avviare nuovi processi di speranza: sognare la speranza e costruire la speranza attraverso il nostro impegno, che è un impegno responsabile e solidale!

Osate nella carità, non abbiate paura di sognare imprese grandi anche se queste iniziano con impegni piccoli.