Israele impedisce le attività dell’Unrwa

A proposito dei rifugiati palestinesi

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31 ottobre 2024

La decisione della Knesset, il parlamento israeliano, di impedire l’azione dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, in Israele e nei territori occupati, ha suscitato un’ondata di accese critiche nella comunità internazionale, dell’Unione Europea e anche dall’amministrazione statunitense. La decisione israeliana si è concretizzata attraverso l’approvazione di due leggi, votate dalla quasi totalità dei parlamentari, con la sola eccezione dei rappresentanti dei partiti arabi. Segno ulteriore questo, dei mutamenti intervenuti dopo il 7 ottobre nell’opinione pubblica e nella politica israeliana.

I due elementi di critica sollevati dalla comunità internazionale sono stati innanzitutto l’aver ignorato le conclusioni a cui era giunta la commissione internazionale d’inchiesta sulle infiltrazioni di Hamas all’interno dell’agenzia delle Nazioni Unite, commissione presieduta dall’ex ministro degli Esteri francese Catherine Colonna che, pur rilevando l’avvenuta infiltrazione nell’agenzia da parte di alcuni miliziani di Hamas che avevano partecipato al massacro del 7 ottobre, aveva però escluso che l’Urnwa in quanto tale potesse classificarsi come parte dell’organizzazione terroristica. E in secondo luogo è stato espresso da più parti il timore che l’estromissione dell’agenzia possa inficiare il sistema dei sempre più necessari aiuti umanitari nella tragica situazione in cui si trova la popolazione civile di Gaza. Il Commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha inviato una dura lettera al presidente dell’assemblea generale dell’Onu nella quale oltre a paventare il rischio di una catastrofe umanitaria conseguente alla mancata operatività dell’agenzia, è intervenuto anche sul tema delle infiltrazioni di Hamas rilevando che «da oltre 15 anni l’Unrwa condivide annualmente i nomi del suo personale con il governo di Israele, inclusi i nomi su cui il governo non ha mai sollevato preoccupazioni in precedenza ma che ora sono inclusi negli elenchi governativi che ne denunciano la militanza armata. L’agenzia prende estremamente sul serio ogni accusa. Ha inviato ripetute richieste al governo — a marzo, aprile, maggio e luglio — per ottenere prove che consentano di agire. Non è stata ricevuta alcuna risposta. L’agenzia non può rispondere ad accuse per le quali non ha prove».

Nella stessa lettera Lazzarini denuncia invece il clima di violenza anche fisica a cui il personale è stato sottoposto: sono almeno 237 i membri di Unrwa uccisi finora a Gaza. All’appello di Lazzarini ha risposto il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterrres il quale ha voluto ricordare ad Israele che «la legislazione nazionale non può modificare il diritto internazionale umanitario» e come l’Unrwa sia il mezzo principale attraverso cui viene fornita assistenza essenziale ai rifugiati palestinesi nei territori Palestinesi occupati, affermando categoricamente che «non esiste un’alternativa all’Unrwa». Nella giornata di ieri infine anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha elevato un duro monito ad Israele «contro ogni tentativo di smantellare o diminuire l’operatività dell’Unrwa o il suo mandato», che — ricordiamo — si estende anche in Libano, Giordania e Siria.

Alcuni notano che vi è anche un significato politico dietro alla decisione assunta dal parlamento israeliano. Ciò a cui in effetti sembrerebbe puntare il governo Netanyahu è piuttosto il disconoscimento dello status di rifugiato che riguarda ben 5 cinque milioni di palestinesi, e con esso anche il diritto al loro ritorno.

Una scelta che peraltro non può essere assunta unilateralmente dallo stato israeliano, essendo di competenza esclusiva dell’Onu, così come l’ha definita nell’atto fondativo dell’Unrwa: la risoluzione 302 del lontano 1949. È una questione, quella dei rifugiati e del loro diritto al ritorno, dibattuta da anni, e che costituì forse il maggior ostacolo nei negoziati che portarono agli accordi di Oslo del 1993, tanto che in quella sede si decise di soprassedervi. Una buona parte dei rifugiati (qualifica che si estende anche ai discendenti seppure nati all’estero) ancora oggi si trovano spesso in una posizione giuridicamente complessa. Infatti, se assumessero una nuova cittadinanza nei Paesi ciò farebbe perdere lo status di rifugiato, e con esso anche il diritto al ritorno.

Ad esempio in Giordania i palestinesi che ne facciano richiesta ottengono un passaporto che consente il transito ma non la permanenza nel regno di Giordania. Il passaporto con la cittadinanza giordana è riservato solo a quelli (e ai loro discendenti) che fin dal 1948 optarono di vivere in Giordania.

Israele intende quindi porre una barriera definitiva alla possibilità (oggi peraltro assai remota) di un ritorno dei palestinesi nella loro terra. Il campo d’applicazione delle due leggi “anti-Unrwa” è definito nel “territorio sovrano d’Israele”, ma è evidente che nei fatti — vietando ogni tipo di relazione tra istituzioni israeliane e Unrwa — risulterebbe impedita qualsiasi operatività anche nei Territori Occupati. La linea difensiva delle autorità israeliane rispetto alle critiche che gli vengono mosse dalle Nazioni Unite è che, con altre forme ed altre agenzie, gli aiuti umanitari potrebbero comunque essere organizzati.

L’ importante per Israele è dunque che non vi sia una specificazione giuridica della attività di queste agenzie in favore esclusivo dei rifugiati palestinesi, come l’Unhcr per esempio. Il punto vero per Israele è dunque quello di eliminare il concetto di “rifugiato palestinese”, e con esso il diritto al ritorno. Come la stessa stampa critica d’Israele rileva: il problema dei rifugiati e più in generale dei palestinesi non va risolto ma cancellato.

di Roberto Cetera