La presentazione in Sala stampa

Per il riconoscimento
e l’inclusione delle vittime

 Per il riconoscimento e l’inclusione delle vittime  QUO-246
29 ottobre 2024

«Il lavoro della Commissione — compreso questo Rapporto — riguarda e ha sempre riguardato il riconoscimento e l’inclusione delle vittime e dei sopravvissuti agli abusi nella vita della Chiesa». Il cardinale Séan Patrick O’Malley chiarisce subito il quadro in cui si sono mossi studi e ricerche del Rapporto annuale pubblicato oggi dalla Pontificia Commissione di cui è presidente sin dalla istituzione nel 2014. Nella Sala stampa della Santa Sede per presentare il documento, il porporato cappuccino ha ripercorso il cammino che ha portato fino all’elaborazione di questo testo «pilota» che «abbraccia decenni» e si estende «su un numero incalcolabile di esperienze vissute dolorosamente, che possiamo solo sperare di riconoscere, rispettare e onorare al meglio delle nostre capacità, cercando sempre di migliorare».

O’Malley parla di due periodi: uno «buio» ricostruito dalle testimonianze delle vittime che rivelano un’epoca «priva di affidabilità, in cui i leader della Chiesa hanno tragicamente deluso coloro che siamo chiamati a pascere». Un periodo «anche privo di professionalità» e in cui «la sfiducia ha ostacolato la capacità della Chiesa di essere testimone di Cristo». Poi un secondo periodo, caratterizzato da «responsabilità», «cura», «attenzione alle vittime», in cui sono emersi «solidi sistemi di denuncia che permettono di avere un approccio informato sui traumi, sui protocolli di giustizia».

Il Report è frutto di questo secondo periodo. Come affermato, sempre in conferenza, da Maude de Boer-Buquicchio, giurista che ha guidato il gruppo di studio istituito appositamente per la redazione del Rapporto, con questo documento «come Commissione, stiamo coinvolgendo la leadership della Chiesa ai suoi livelli più alti — sia nelle Chiese locali sia nella sua struttura di governo in Vaticano — nel riconoscere l’urgente necessità di rispondere più degnamente a questa chiamata». Ovvero la «clamorosa richiesta» da parte di innumerevoli vittime e sopravvissuti nel mondo di «ricevere giustizia». A cominciare dai bambini, che, ha detto Buquicchio, «non sono mini esseri umani con mini diritti umani». Anzi.

I più piccoli vanno tutelati sempre, in ogni caso. «I bambini vanno rispettati nella loro integrità fisica e mentale» ha detto l’esperta, in risposta a un giornalista che domandava sul nesso tra celibato sacerdotale e abusi sessuali ai relatori (oltre a O’Malley e Buquicchio, anche il segretario della Commissione, il vescovo Luis Manuel Alí Herrera; Teresa Morris Kettelkamp, segretaria aggiunta; Juan Carlos Cruz, promotore dei diritti dei sopravvissuti; suor Niluka Perera, coordinatrice del Catholic Care for Children International). Il nesso celibato-abusi, ha detto la giurista, non esiste mai nel caso dei bambini perché «le relazioni a danno di minori sono un reato e chi è responsabile ha un problema nel suo stato psicologico-mentale, sono pedofili che richiedono trattamenti. Non si fanno eccezioni in questi casi».

Su questo punto O’Malley ha aggiunto che «mai si è visto uno studio serio che ha creato un nesso tra celibato e abuso sessuale. Se diamo uno sguardo alla società, i casi di pedofilia avvengono perlopiù all’interno di nuclei familiari». In tante parti del mondo «siamo soddisfatti di dire che il celibato non è la causa della pedofilia».

Ampio spazio nelle domande dei giornalisti è stato dato alla collaborazione della Commissione con i Dicasteri della Curia romana, ricordando ad esempio le dimissioni, nel 2017, di uno dei membri più conosciuti come l’irlandese Marie Collins che accusava una «resistenza» nella Curia. «Tutti noi — ha detto O’Malley — abbiamo provato la frustrazione per la lentezza dei cambiamenti, ma riteniamo che il cambiamento è in atto, anche se spesso il lavoro è in salita». Il fatto che con la Praedicate Evangelium la Commissione sia stata inserita nel Dicastero per la dottrina della fede (Ddf), se in un primo momento — ha spiegato il cardinale — «ci ha lasciati interdetti» temendo anche un rischio per «l’indipendenza» che ha sempre caratterizzato l’organismo, ora è diventato invece un valore aggiunto: «Non siamo dipendenti della Chiesa, molti sono professionisti con la loro vita, anche se siamo incorporati, inglobati, continuiamo ad essere un organo indipendente»; ma l’inserimento nel Ddf «ci aiuterà ad avere credibilità in Curia» e anche «nel ruolo di advocacy per far riacquisire fiducia alle vittime» ha proseguito il cardinale, parlando anche di «conversazioni con altri Dicasteri molto fruttuose e utili».

I problemi non mancano, in primis un migliore accesso alle informazioni. Richiesta avanzata da diverse vittime per le quali è fonte di «retraumatizzazione» non sapere «dov’è finito il loro caso, in quale buco nero è finito il loro faldone. Nei gruppi di studio c’era una lamentela costante: la mancanza di comunicazione — ha sottolineato Alí Herrera — inizia un processo canonico e molte vittime non sanno nulla». Su tale questione, ha detto il segretario, «stiamo lavorando soprattutto con la sezione disciplinare del Ddf». E, sempre in quest’ottica, è stata avanzata la proposta di un Ombudsman, una sorta di procuratore come quello dei sistemi giuridici nord europei che possa «davvero assistere le vittime, denunciare i reati, chiedere i danni».

Toccante, nella conferenza, la testimonianza di Juan Carlos Cruz, vittima di abusi da minorenne. «Non pensavo che questo giorno sarebbe arrivato. Se mi aveste fatto questa domanda 15 anni fa quando è cominciata la mia lotta, non avrei mai detto che avrei potuto raggiungere questo risultato» ha affermato in riferimento al Report ma anche al suo lavoro dal 2021 all’interno della Commissione, accanto a persone «straordinarie. Verità, giustizia, riparazione, sono parole in passato tabù in molti luoghi. Parlo come sopravvissuto, sono fortunato e privilegiato» ha detto Cruz, ricordando invece tante altre vittime che non ce l’hanno fatta, che «si sono tolte la vita, che hanno lasciato questo mondo senza alcuna speranza».

Tante altre, invece, continuano a lottare: «Questo per loro è un nuovo giorno» ha assicurato Juan Carlos. Che sempre alle vittime ha voluto inviare un messaggio, quelle che sono state «defraudate, traumatizzate» e non hanno avuto «il privilegio» di ricevere aiuto e quindi «non hanno fiducia» negli sforzi di Tutela Minorum: «Io non mi troverei in questa Commissione se fosse solo un esercizio di relazioni pubbliche per il Vaticano» ha detto. «Anche quando venivo abusato mi rendevo conto che ci sono più persone buone nella Chiesa che cattive, solo che se i buoni non parlano e non alzano la voce, fanno vincere i cattivi». Allora, ha esortato l’attivista cileno, «i buoni devono alzare la voce» e le vittime devono avere fiducia che «c’è un prima e un dopo» e sperare in un cambiamento. «C’è ancora molto da fare. Il Rapporto non è perfetto ma è lo sforzo sincero per sradicare la peste dell’abuso». (salvatore cernuzio)