«Dilexit nos» il battito
«Papa Francesco si è sempre sentito un “peccatore salvato dall’amore del Signore”» e nell’enciclica Dilexit nos invita a riscoprire la sua misericordia e capire come il Signore parli agli uomini «attraverso le emozioni interiori». Così il gesuita siciliano padre Antonio Spadaro, già direttore de «La Civiltà Cattolica» dal 2011 al 2023 e oggi sottosegretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, rilegge per i media vaticani la quarta enciclica del Pontefice, pubblicata il 24 ottobre scorso. Un documento , sull’amore del Cuore di Gesù «espressione della spiritualità di Francesco» e «chiave di lettura dell’intero pontificato». Spadaro ricorda di aver «passato» al Papa i testi sul Sacro Cuore che l’amico confratello Diego Fares, «figlio spirituale» di Jorge Mario Bergoglio, stava scrivendo prima di morire, e che hanno ispirato il primo capitolo. E che con questa enciclica il Vescovo di Roma chiede al mondo, «che sta perdendo il cuore» e ogni sensibilità umana, di recuperare i valori fondamentali.
Padre Spadaro, pensa anche lei che l’enciclica sia un documento centrale del pontificato e una chiave di lettura di tutto il magistero di Francesco?
“Dilexit nos” mette a fuoco la spiritualità di Papa Bergoglio. Quindi, in qualche modo, possiamo dire che è una chiave di lettura dell’intero pontificato, perché è una chiave di lettura della personalità spirituale di Francesco. Ma non dimentichiamo che una tappa molto importante del suo pontificato è stato l’Anno della Misericordia. Allora il tema della misericordia, quindi del cuore che si fa vicino, prossimo, che ama profondamente, i sentimenti, le «emozioni interiori», come diceva Sant’Ignazio, sono al centro anche del governo di Francesco, che si muove per discernimento. Il discernimento è cercare di capire come il Signore parla attraverso le emozioni interiori che sono chiaramente rivolte al cuore. Allora direi che certamente questa enciclica, ma anche Gaudete et exsultate, l’esortazione apostolica, sono l’espressione della spiritualità di Francesco e danno luce sull’intero pontificato.
Quando e dove si ritrova di più, in questo testo, l’esperienza spirituale di Jorge Mario Bergoglio e del suo incontro personale con Cristo e il suo amore per tutti, tutti, tutti?
Francesco si è sempre sentito un peccatore salvato dall’amore del Signore. Ricordo, sin dalla prima intervista che gli feci nel 2013, a poca distanza dall’elezione, che lui si definì così. Quindi la priorità viene data all’amore del Signore. La conversione è frutto di questo amore. Se non c’è il contatto diretto, la percezione dell’amore, una conoscenza interiore del Signore per meglio amarlo e seguirlo, come diceva sant’Ignazio, non ci può essere neanche la conversione vera. Allora, scrivere un’enciclica sul cuore significa che entrare nel cuore di Cristo permette di sentirci amati da un cuore umano pieno di affetti, di sentimenti come i nostri. La spiritualità di Francesco, in questo senso, è lontanissima da forme disincarnate e rigoriste. Egli ritiene che la spiritualità coinvolga profondamente l’animo umano, i sentimenti, la dimensione fisica dell’essere umano.
Quindi “Dilexit nos” è la dimostrazione che quello di Papa Bergoglio non è un magistero schiacciato solo sul sociale, come qualcuno lo ha inteso?
Direi in generale che il magistero di Francesco non è schiacciato su niente. Certamente una fede che non si traduce in opere è morta, non ha senso. Quindi è chiaro che la dimensione sociale, il magistero sociale di Francesco è il frutto diretto della sua spiritualità e proprio anche della spiritualità del Cuore di Cristo. In fondo lo dice chiaramente Francesco in questa enciclica: bisogna avere compassione della terra ferita. Fa vedere in questa enciclica Gesù che tende la mano e guarisce. E in qualche modo lega il suo magistero precedente a questa immagine, perché nella Fratelli tutti i legami fraterni sono possibili perché ci abbeveriamo, dice il Papa, all’amore del Signore. È grazie a questo amore che noi possiamo stabilire legami di fraternità, ma anche prenderci cura insieme della nostra casa comune. Quindi non farei questa distinzione tra magistero sociale e magistero spirituale. Certamente il cuore è al centro sia di quello spirituale sia di quello sociale.
Padre Spadaro è significativo che, per il primo capitolo, il Papa affermi di essersi ispirato agli scritti inediti del suo «figlio spirituale» Diego Fares, scomparso nel 2022, che è stato scrittore per «La Civiltà Cattolica» sotto la sua direzione. Che ricordo ha della sua devozione al Sacro Cuore?
Diego è stato un amico molto caro, un grande scrittore per «La Civiltà Cattolica», che è venuto qui a Roma proprio dopo l’elezione di Francesco, disponibile a lasciare il lavoro che stava facendo. Il suo lavoro in Argentina era duplice: da una parte insegnava filosofia all’università, dall’altra si occupava di alcune case di accoglienza per malati terminali e persone senza fissa dimora. Quindi la sua vita era «abbracciata» da queste due attività e il suo timbro spirituale era segnato dal discernimento delle emozioni interiori, quindi profondamente radicato nel cuore di Cristo. Lui ha voluto scrivere negli ultimi mesi di vita un testo sul cuore di Cristo, a cui stava lavorando. Un testo molto bello che poi ho passato al Papa, che pure conosceva questo lavoro così bello che Diego stava facendo. E il Papa l’ha voluto valorizzare, perché ha sentito in quelle parole di Diego l’eco di quello che lui stesso sentiva. Voglio dire anche che Diego è entrato nella Compagnia di Gesù quando Papa Francesco era provinciale dei gesuiti in Argentina (nel 1975, ndr). Quindi la loro conoscenza è stata molto profonda ed è durata decenni.
Perché secondo lei Francesco ha scelto proprio questo momento per dedicare un’enciclica al Sacro Cuore di Gesù? Forse perché è preoccupato, come scrive, che avanzi «una religiosità senza riferimento ad un rapporto personale con un Dio d’amore» e che il cristianesimo dimentichi «la tenerezza della fede, la gioia della dedizione al servizio, il fervore della missione da persona a persona»?
Da una parte, credo che un motivo importante sia la percezione che la società stia perdendo il cuore. Dice, ad un certo punto nell’enciclica, che «vedere piangere le nonne, senza che questo risulti intollerabile, è segno di un mondo senza cuore». Si sta riferendo alle guerre, ai soldati morti, al fatto che il mondo in questo momento è spaccato e vive una grande ferita aperta. E questo per l’insensibilità, per la mancanza di volontà di cercare una soluzione ai problemi che si pongono. Quindi una società che sta perdendo il cuore ha bisogno di essere richiamata ai valori fondamentali. Il secondo motivo sì, credo sia quello che lei diceva, cioè stiamo diventando schiavi degli ingranaggi del mercato, degli algoritmi, della dimensione “smart” dell’esistenza, quindi dell’efficienza, da una parte e dall’altra invece di una dimensione più istintuale, assolutamente libera, senza freni. Abbiamo perso il centro unificatore che conferisce senso a quello che viviamo, cioè il cuore. Allora questo appello è profondo e risponde a un’esigenza dei nostri tempi.
Nel documento, infine, c’è la richiesta di non deridere le espressioni di fervore del popolo di Dio che nella sua pietà popolare cerca di consolare Cristo. Che posto ha la pietà del popolo nel magistero di Francesco?
È molto importante, perché la fede dei semplici, popolare, si manifesta attraverso la devozione, le immagini. Uno dei motivi per cui il cristianesimo può essere in crisi è perché non riesce più a trovare le parole e le immagini per dirsi, per esprimersi. Allora la pietà popolare è una sorgente aurifera, possiamo dire, di immagini, di parole per esprimersi, e in fondo si lega profondamente a quelli che sono i sentimenti più umani. Quindi è una spiritualità, quella del popolo, profondamente legata alla storia, alla sensibilità umana. Sensibilità troppo intellettuali, razionali, rischiano di astrarre l’uomo dalla propria realtà. La fede rischia di diventare una gnosi, tra l’altro per pochi intenditori, per un’élite. Invece è nel popolo che si trova il cuore caldo della fede.
di Alessandro Di Bussolo