La conclusione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo
Deporre il mantello
«Deponiamo il mantello della rassegnazione e affidiamo al Signore le nostre cecità. Mettiamoci in piedi e portiamo la gioia del Vangelo, portiamola per le strade del mondo». Prende spunto dal personaggio evangelico del cieco Bartimeo la consegna affidata da Papa Francesco a tutta la Chiesa durante la messa a conclusione della Seconda sessione della xvi Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Il Pontefice l’ha celebrata ieri mattina, 27 ottobre, xxx domenica del Tempo ordinario, nella basilica Vaticana, con la partecipazione dei padri e delle madri sinodali. Ecco il testo della sua omelia.
Il Vangelo ci presenta Bartimeo, un cieco che è costretto a mendicare ai bordi della strada, uno scartato senza speranza che, però, quando sente passare Gesù, inizia a gridare verso di Lui. Tutto ciò che gli è rimasto è questo: gridare il proprio dolore e portare a Gesù il suo desiderio di riacquistare la vista. E mentre tutti lo rimproverano perché sono disturbati dalla sua voce, Gesù si ferma. Perché Dio ascolta sempre il grido dei poveri e nessun grido di dolore rimane inascoltato davanti a Lui.
Oggi, a conclusione dell’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, portando nel cuore tanta gratitudine per quanto abbiamo potuto condividere, soffermiamoci su ciò che succede a quest’uomo: all’inizio, «sedeva lungo la strada a mendicare» (Mc 10, 46), mentre alla fine, dopo essere stato chiamato da Gesù e aver riacquistato la vista, «lo seguiva lungo la strada» (v. 52).
La prima cosa che il Vangelo ci dice su Bartimeo è questa: è seduto a mendicare. La sua posizione è tipica di una persona ormai chiusa nel proprio dolore, seduta sul ciglio della strada come se non ci fosse nient’altro da fare se non ricevere qualcosa dai tanti pellegrini di passaggio nella città di Gerico in occasione della Pasqua. Ma, come sappiamo, per vivere davvero non si può restare seduti: vivere è sempre mettersi in movimento, mettersi in cammino, sognare, progettare, aprirsi al futuro. Il cieco Bartimeo, allora, rappresenta anche quella cecità interiore che ci blocca, ci fa restare seduti, ci rende immobili ai bordi della vita, senza più speranza.
E questo può farci pensare, oltre che alla nostra vita personale, anche al nostro essere Chiesa del Signore. Tante cose, lungo il cammino, possono renderci ciechi, incapaci di riconoscere la presenza del Signore, impreparati ad affrontare le sfide della realtà, a volte inadeguati nel saper rispondere alle tante questioni che gridano verso di noi come fa Bartimeo con Gesù. Tuttavia, dinanzi alle domande delle donne e degli uomini di oggi, alle sfide del nostro tempo, alle urgenze dell’evangelizzazione e alle tante ferite che affliggono l’umanità, sorelle e fratelli, non possiamo restare seduti. Una Chiesa seduta, che quasi senza accorgersi si ritira dalla vita e confina sé stessa ai margini della realtà, è una Chiesa che rischia di restare nella cecità e di accomodarsi nel proprio malessere. E se restiamo seduti nella nostra cecità, continueremo a non vedere le nostre urgenze pastorali e i tanti problemi del mondo in cui viviamo. Per favore, chiediamo al Signore che ci dia lo Spirito Santo per non restare seduti nella nostra cecità, cecità che si può chiamare mondanità, che si può chiamare comodità, che si può chiamare cuore chiuso. Non restare seduti nelle nostre cecità.
Ricordiamoci questo, invece: il Signore passa, il Signore passa tutti i giorni, il Signore passa sempre e si ferma per prendersi cura della nostra cecità. E io, lo sento passare? Ho la capacità di sentire i passi del Signore? Ho la capacità di discernere quando il Signore passa? Ed è bello se il Sinodo ci spinge a essere Chiesa come Bartimeo: la comunità dei discepoli che, sentendo il Signore che passa, avverte il brivido della salvezza, si lascia svegliare dalla potenza del Vangelo e inizia a gridare verso di Lui. Lo fa raccogliendo il grido di tutte le donne e di tutti gli uomini della terra: il grido di coloro che desiderano scoprire la gioia del Vangelo e di quelli che invece si sono allontanati; il grido silenzioso di chi è indifferente; il grido di chi soffre, dei poveri, degli emarginati, dei bambini schiavi di lavoro, schiavizzati in tante parti del mondo per il lavoro; la voce spezzata, sentire quella voce spezzata di chi non ha più neanche la forza di gridare a Dio, perché non ha voce o perché si è rassegnato. Non abbiamo bisogno di una Chiesa seduta e rinunciataria, ma di una Chiesa che raccoglie il grido del mondo e — voglio dirlo, forse qualcuno si scandalizza — una Chiesa che si sporca le mani per servire il Signore.
E veniamo così al secondo aspetto: se all’inizio Bartimeo era seduto, vediamo che alla fine, invece, lo segue lungo la strada. Questa è una tipica espressione del Vangelo che significa: divenne suo discepolo, si è messo alla sua sequela. Dopo aver gridato verso di Lui, infatti, Gesù si è fermato e lo ha fatto chiamare. Bartimeo, da seduto che era, è balzato in piedi e, subito dopo, ha recuperato la vista. Ora, egli può vedere il Signore, può riconoscere l’opera di Dio nella propria vita e può finalmente incamminarsi dietro di Lui. Così, anche noi, fratelli e sorelle: quando siamo seduti e accomodati, quando anche come Chiesa non troviamo le forze, il coraggio e l’audacia, la parresia necessaria per rialzarci e riprendere il cammino, per favore, ricordiamoci di ritornare sempre al Signore, ritornare al Vangelo. Ritornare al Signore, ritornare al Vangelo. Sempre e di nuovo, mentre Egli passa, dobbiamo metterci in ascolto della sua chiamata, che ci rimette in piedi e ci fa uscire dalla cecità. E poi riprendere nuovamente a seguirlo, camminare con Lui lungo la strada.
Vorrei ripeterlo: di Bartimeo il Vangelo dice che «lo seguiva lungo la strada». Questa è un’immagine della Chiesa sinodale: il Signore ci chiama, ci rialza quando siamo seduti o caduti, ci fa riacquistare una vista nuova, affinché alla luce del Vangelo possiamo vedere le inquietudini e le sofferenze del mondo; e così, rimessi in piedi dal Signore, sperimentiamo la gioia di seguirlo lungo la strada. Il Signore lo si segue lungo la strada, non lo si segue chiusi nelle nostre comodità, non lo si segue nei labirinti delle nostre idee: lo si segue lungo la strada. E ricordiamolo sempre: non camminare per conto nostro o secondo i criteri del mondo, ma camminare lungo la strada, insieme, dietro a Lui e camminare con Lui.
Fratelli, sorelle: non una Chiesa seduta, una Chiesa in piedi. Non una Chiesa muta, una Chiesa che raccoglie il grido dell’umanità. Non una Chiesa cieca, ma una Chiesa illuminata da Cristo che porta la luce del Vangelo agli altri. Non una Chiesa statica, una Chiesa missionaria, che cammina con il Signore lungo le strade del mondo.
E oggi, mentre rendiamo grazie al Signore per il cammino percorso insieme, potremo vedere e venerare la reliquia dell’antica Cattedra di San Pietro, accuratamente restaurata. Contemplandola con stupore di fede, ricordiamoci che questa è la cattedra dell’amore, è la cattedra dell’unità, è la cattedra della misericordia, secondo quel comando che Gesù diede all’Apostolo Pietro non di dominare sugli altri, ma di servirli nella carità. E ammirando il maestoso baldacchino berniniano più splendente che mai, riscopriamo che esso inquadra il vero punto focale di tutta la Basilica, cioè la gloria dello Spirito Santo. Questa è la Chiesa sinodale: una comunità il cui primato è nel dono dello Spirito, che ci rende tutti fratelli in Cristo e ci eleva verso di Lui.
Sorelle e fratelli, proseguiamo allora con fiducia il nostro cammino insieme. Anche a noi oggi la Parola di Dio ripete, come a Bartimeo: «Coraggio, alzati, ti chiama». Io mi sento chiamato? Questa è la domanda da farci. Io mi sento chiamato? Mi sento debole e non posso alzarmi? Chiedo aiuto? Per favore, deponiamo il mantello della rassegnazione e affidiamo al Signore le nostre cecità. Mettiamoci in piedi e portiamo la gioia del Vangelo, portiamola per le strade del mondo.