Camminare insieme “migranti tra i migranti”
Superare «stereotipi escludenti, per riconoscere nell’altro, chiunque sia e da qualunque luogo provenga, un dono di Dio, unico, sacro, inviolabile, prezioso per il bene di tutti». È l’invito rivolto stamane, 28 ottobre, da Papa Francesco ai Missionari di San Carlo ricevuti in udienza nella Sala del Concistoro. Prendendo spunto dal tema giubilare «Pellegrini di speranza» al quale si ispira il xvi Capitolo generale dell’ordine fondato da san Giovanni Battista Scalabrini, il Santo Padre ha articolato la sua riflessione su tre aspetti peculiari della missione: i migranti, «maestri di speranza»; la necessità di una pastorale “ad hoc”; una carità concreta «che rimetta al centro la persona, i suoi diritti, la sua dignità». Ecco il testo del suo discorso.
Cari fratelli, benvenuti!
Saluto il Superiore Generale e tutti voi. Sono molto contento di incontrarvi in occasione del vostro xvi Capitolo Generale. Lo celebrate alla vigilia dell’Anno Santo ed è bello che, nella programmazione della futura pastorale missionaria e caritativa in favore dei migranti, abbiate scelto di ispirarvi al tema giubilare: “Pellegrini di speranza”. Possiamo allora riflettere assieme su questa virtù, riferendoci a tre aspetti del vostro servizio: i migranti, il ministero pastorale e la carità.
Primo: i migranti. Essi sono maestri di speranza. Io sono figlio di migranti, e a casa abbiamo sempre vissuto quel senso di andare lì per fare l’America, per progredire, per andare più avanti. Partono sperando di “trovare altrove il pane quotidiano” — come diceva San Giovanni Battista Scalabrini —, e non si arrendono, anche quando tutto sembra “remare contro”, anche quando trovano chiusure e rifiuti. La loro tenacia, sostenuta spesso dall’amore per le famiglie rimaste in patria, ci insegna tanto, specialmente a voi che, “migranti tra i migranti” — come vi ha voluto il vostro fondatore — ne condividete il cammino. Così, attraverso le dinamiche dell’incontro, del dialogo, dell’accoglienza di Cristo presente nello straniero, crescete insieme con loro, solidali gli uni gli altri, abbandonati «in Dio e in Dio solo». Non dimenticatevi l’Antico Testamento: la vedova, l’orfano e lo straniero. Sono i privilegiati di Dio. La ricerca di futuro che anima il migrante, del resto, esprime un bisogno di salvezza che accomuna tutti, al di là di razze e condizioni. Anzi l’“itineranza”, rettamente compresa e vissuta, può diventare, pur nel dolore, una preziosa scuola di fede e di umanità sia per chi assiste che per chi è assistito (cfr. Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2019, 27 maggio 2019). Non dimentichiamo che la stessa storia della salvezza è una storia di migranti, di popoli in cammino.
E questo ci porta al secondo punto: la necessità di una pastorale della speranza. Se infatti da una parte la migrazione, con un appropriato sostegno, può diventare un momento di crescita per tutti, dall’altra, se vissuta nella solitudine e nell’abbandono, può degenerare in drammi di sradicamento esistenziale, di crisi di valori e prospettive, fino a portare alla perdita della fede e alla disperazione. Le ingiustizie e le violenze attraverso cui passano tanti nostri fratelli e sorelle, strappati alle loro case, sono spesso così disumane, da poter trascinare anche i più forti nel buio dello sconforto o della cupa rassegnazione. Non dimentichiamo che il migrante va accolto, accompagnato, promosso e integrato. Se si vuole che in loro non vengano meno la forza e la resilienza necessarie a continuare i viaggi intrapresi, serve qualcuno che si chini sulle loro ferite, prendendosi cura della loro estrema vulnerabilità fisica, e anche vulnerabilità spirituale e psicologica. Servono solidi interventi pastorali di prossimità, a livello materiale, religioso e umano, per sostenere in loro la speranza, e con essa i percorsi interiori che portano a Dio, fedele compagno di viaggio, sempre presente accanto a chi soffre (cfr. Benedetto xvi , Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2013, 12 ottobre 2012). E oggi tanti Paesi hanno bisogno dei migranti. L’Italia non fa figli, non fa figli. L’età media è di 46 anni. L’Italia ha bisogno dei migranti e deve accoglierli, accompagnarli, promuoverli e integrarli. Dobbiamo dire questa verità.
E questo ci porta al terzo punto: la carità. Nell’imminenza del Giubileo del 1900, San Giovanni Battista Scalabrini diceva: «Il mondo geme sotto il peso di grandi sciagure». Sono parole pesanti, che però purtroppo suonano ancora molto attuali. Anche ai nostri giorni, infatti, chi parte lo fa spesso a causa di tragiche e ingiuste disparità di opportunità, di democrazia, di futuro, o di devastanti scenari di guerra che affliggono il pianeta. A ciò si aggiungono la chiusura e l’ostilità dei paesi ricchi, che vedono in chi bussa alla porta una minaccia al proprio benessere. Questo lo vediamo anche da noi: c’è lo scandalo che per la raccolta delle mele, al Nord, fanno venire i migranti dal Centro Europa, ma poi li mandano via. Li usano per raccogliere le mele, e poi vanno via. Questo oggi. Così, nel drammatico confronto tra gli interessi di chi protegge la sua prosperità e la lotta di chi tenta di sopravvivere, fuggendo dalla fame e dalla persecuzione, tante vite umane vanno perdute, sotto gli occhi indifferenti di chi si limita a guardare lo spettacolo, o peggio specula sulla pelle di chi soffre. Nella Bibbia, una delle leggi del Giubileo era la restituzione della terra a chi l’aveva perduta (cfr. Lv 25, 10-28). Oggi tale atto di giustizia può concretizzarsi, in altro contesto, in una carità che rimetta al centro la persona, i suoi diritti, la sua dignità (cfr. S. Giovanni Paolo ii , Discorso ai partecipanti al iv Congresso mondiale promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, 9 ottobre 1998, 2), superando stereotipi escludenti, per riconoscere nell’altro, chiunque sia e da qualunque luogo provenga, un dono di Dio, unico, sacro, inviolabile, prezioso per il bene di tutti.
Cari fratelli, il carisma scalabriniano è vivo nella Chiesa: lo testimoniano tanti giovani che, da vari paesi del mondo, continuano a unirsi a voi. Siate grati al Signore per la vocazione che avete ricevuto. Anzi, se volete che il Capitolo diventi un’occasione di approfondimento e di rinnovamento della vostra vita e missione, fatene prima di tutto un tempo di umile e gioioso ringraziamento, davanti all’Eucaristia, a Gesù crocifisso e a Maria, Madre dei migranti, come vi ha insegnato San Giovanni Battista Scalabrini. È solo da lì che si parte per camminare insieme, con speranza, nella carità (cfr. Ef 5, 2).
E pensando a voi ho voluto fare un Cardinale [p. Fabio Baggio]. Avrei voluto farlo prima ma lui non voleva. Adesso, per obbedienza, l’ho fatto. E con lui saranno due Cardinali qui a Roma, Scalabriniani. Prendetelo come un gesto di stima, di grande stima. Io vi conosco già dall’altra diocesi e so come lavorate, tanto!
Grazie per il lavoro immenso che fate. Vi benedico e prego per voi, e vi raccomando, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.