Polarizzazioni
Aprire una fase nuova, un cammino nuovo: la comunità diocesana di Roma avverte questa necessità a conclusione del percorso «(Dis)uguaglianze», promosso a cinquant’anni dal convegno sui mali dell’Urbe, e a farsene portavoce all’incontro con Papa Francesco è il giornalista Marco Damilano.
Al Pontefice precisa che non si vuole fare memoria di un evento, ma rinnovare un impegno e nel suo intervento offre uno spaccato sociale della città, con le evidenti fratture e diseguaglianze ma anche con gli input per un sussulto di bene da mettere in comune. «Roma sembra aver perso la fiducia. La gioia di vivere» afferma. Crescono ansie e paure, che a livello individuale «prendono la forma delle sofferenze e dei disturbi mentali, in modo sempre più inconoscibile e doloroso tra le ragazze e i ragazzi» e a livello collettivo «diventano indifferenza, o richiesta di un potere verticalizzato, guardiano di esistenze recintate, che tuteli la sicurezza degli individui soli».
Città di persone sole (il 46 percento degli abitanti), Roma è ricca se si guarda a chi risiede «in case grandi e ha i migliori livelli di istruzione» ma povera se si sposta lo sguardo su chi «vive tra disoccupazione elevata, densità abitativa, scarso trasporto pubblico, reti criminali e mafiose». Agglomerato urbano dove «bassi livelli di istruzione si accompagnano a scarse opportunità di occupazione, a livelli di reddito bassi»; città dei senza tetto (oltre 20.000) e «piazza di spaccio più grande d’Europa, dove convengono bande criminali e mafie», ha proseguito il giornalista. È la città dove «la politica è collassata» e «i palazzi della rappresentanza sono diventati fondale di un palcoscenico disabitato»; dove avanza inesorabile «la desertificazione democratica» mentre sui social «si sfoga la rabbia senza direzione» e «la classe media impaurita, senza un orizzonte, si disinteressa della rappresentanza, si attacca a quello che ha, in una difesa feroce, cerca capri espiatori: i migranti, i poveri».
Nel vuoto chi vive ai margini diventa indifferente alla retorica del cambiamento e resta immerso nelle micro-rivendicazioni. Ma la cittadinanza, che è insieme di diritti e doveri, perde il suo senso se la democrazia è un bronzo che risuona, un cembalo che tintinna. Come vuota diventa la parola di Dio, se non spinge più a uscire dal tempio, se non apre una prospettiva di speranza trascendente, oltre il recinto del presente. «La Chiesa e la città restano senza popolo. Il popolo resta senza città e senza Chiesa»: è stata l’amara constatazione di Damilano. Ma «in questo momento storico, alla vigilia del Giubileo» l’invito della Chiesa di Roma è «a rimettersi in piedi, tutti, a ricominciare a camminare insieme». Per questo ci si è messi «in ascolto delle disuguaglianze» andando «fuori dalle chiese, nelle scuole, negli ospedali, nelle case, dove si svolge la vita». E i dati del mondo scolastico, sanitario, abitativo e lavorativo emersi il giornalista li ha elencati: dal disordine educativo alle attese nella sanità pubblica, dalle contraddizioni relative agli alloggi (con una domanda quasi completamente inevasa di 18.500 nuclei familiari per le case popolari) al lavoro sempre più precario. A fronte di questo quadro, si ribadisce: «Noi ci siamo, per un’alleanza con la città, le istituzioni, le associazioni, i movimenti, le singole persone che sono in ricerca, che condividono le attese di giustizia. Siamo qui per dire che Roma è il luogo del riscatto possibile. Un luogo di speranza, di rigenerazione».
C’è una cultura inedita che palpita e si progetta a Roma, ha proseguito Damilano. «Una cultura di mediazione tra i conflitti, di equilibrio, di armonia sociale che è l’opposto delle disuguaglianze. L’unica che può costruire giustizia». Fare rete, recuperare spazi del tessuto urbano è la prima risposta necessaria da dare, e la Chiesa, «con la sua rete capillare di parrocchie, comunità religiose, associazioni, è la prima risposta alla solitudine delle persone».
L’auspicio è che Roma torni «a essere modello di integrazione e di convivenza delle diversità, come è sempre stata nella sua storia, con esperienze innovative» di collaborazione tra movimenti popolari, associazioni di territorio, giovani e istituzioni, Caritas e chiese. Il futuro dell’Urbe «è sempre di più trasformarsi in una città multicentrica, dove non esistono più le periferie, la lontananza dal centro — ha detto ancora —. Un luogo della speranza, in cui la solitudine diventa non una moltitudine indistinta, ma un popolo in cui ognuno arriva con le sue fragilità, le debolezze, la possibilità di riscatto».
Ma «la relazione è un atto politico», e la ricucitura, ha precisato Damilano, non può tuttavia avvenire solo tra pezzi che non si parlano: «serviranno forme inedite, creative, di presenza nella società, di partecipazione democratica, di evangelizzazione e di promozione umana. Per ricucire serve una presenza discreta, una guida carica di attenzione».
«Accompagnare, offrire amicizia, mai spezzare, mai spegnere, è il segno più vero del discepolo di Gesù, di una Chiesa che non si ritiene fuori dalla storia e fuori dalla crisi, ma è dentro l’umanità, con le stesse inquietudini — ha concluso il giornalista —. A Roma la Chiesa è un pezzo di città che si preoccupa della città» e «che si prepara al Giubileo», senza smettere «di avere fame e sete di giustizia, che è in attesa di liberazione, in questo tempo di grazia».
di Antonella Palermo
e Tiziana Campisi