Intervista al rettore di Paray-le-Monial sull’enciclica di Francesco dedicata al Sacro Cuore

«Dilexit nos»
sintesi del pontificato

 «Dilexit nos»  sintesi del pontificato   QUO-244
26 ottobre 2024

Rettore del santuario di Paray-le-Monial, il sacerdote francese Etienne Kern si rallegra della pubblicazione del «tesoro» rappresentato da Dilexit nos, enciclica del Papa sull’amore del cuore umano e divino di Gesù. Sembra, spiega in questa intervista ai media vaticani, che il Sacro Cuore sia la «sorgente viva» di tutto ciò che Francesco ha portato avanti dall’inizio del suo pontificato, un «centro unificatore per tutti, un motivo di gioia che ci dà dinamismo e ci invia in missione».

Qual è stata la sua reazione alla pubblicazione di questa quarta enciclica del Papa nel pieno giubileo dei 350 anni dalle apparizioni del Sacro Cuore a Paray-le-Monay?

Ovviamente per noi la pubblicazione di un documento sul tema era desiderata ma non attesa, e quel documento è effettivamente apparso ed è un’enciclica... E che enciclica! Che ampiezza e che richiamo a tutta la tradizione, al Magistero, alle Scritture, agli autori spirituali. Il tesoro che il Papa ha messo a disposizione dei credenti è un’immensa azione di grazia.

All’epoca le esperienze mistiche di santa Margherita Maria Alacoque erano «la risposta al rigorismo giansenista, che aveva finito per misconoscere l’infinita misericordia di Dio» dice Francesco. Ma oggi? In quale contesto e perché il Papa ripropone questa devozione?

Il contesto immediato delle apparizioni del Sacro Cuore 350 anni fa è segnato dal razionalismo che fa sì che Dio divenga molto distante, Lui che per Voltaire è il «grande orologiaio»; e poi dal giansenismo, dove Dio è diventato un giudice implacabile, spietato, e perciò ci voleva una vita morale impeccabile per potergli rispondere; insomma un contesto segnato a dismisura dalla paura di Dio e dell’inferno. Il rimedio è il Sacro Cuore. E ciò non vale solo per quel periodo storico. Il giansenismo è un virus che fa fatica a morire nelle nostre coscienze e nella nostra vita di Chiesa. Questo rimedio è quindi più attuale che mai, ricordando, da un lato, che Dio è vicino, che ci ha amati con un cuore d’uomo — come dice il concilio Vaticano ii — e, dall’altro, che è amore, che ci ama, che il suo è un amore incondizionato. Qualsiasi cosa facciamo, «ci ha amati». Ed è questo sconvolgimento interiore che fa sì che rispondiamo all’amore con amore, non con un grande sforzo, non come un obbligo morale che ci opprime o una sorta d’imposizione, ma come uno sconvolgimento, un trafiggimento del Cuore dove noi amiamo perché siamo amati; e, poco a poco, c’è una trasformazione che viene dal didentro.

La realtà in cui s’inserisce l’enciclica è anche, dice il Papa, quella di una «società liquida», dove siamo tutti consumatori, una società che dimentica la tenerezza del cuore.

Sì, si ha l’impressione che il messaggio di Paray-le-Monial sia ancora più attuale oggi di quanto lo fosse all’epoca. Quando il Signore si lamenta dell’ingratitudine e dell’indifferenza, forse parla della nostra epoca, che è un’epoca d’ingratitudine, d’indifferenza verso Dio e, di conseguenza, verso i nostri fratelli. Il legame sociale si sta sgretolando e così, quando il Signore mostra il suo cuore, che è mite e umile, invita a una specie di «miracolo sociale», espressione usata da Francesco nell’enciclica, affinché questa esperienza che facciamo di Dio trasformi il nostro modo di agire. È uno dei numerosi contributi del documento del Papa quello di mostrare come tale devozione non sia intimista ma, al contrario, profondamente motivante nella trasformazione della società e nell’annuncio del Vangelo.

Il Pontefice sottolinea anche l’importanza di ritornare al Sacro Cuore per riparare i cuori feriti e, così facendo, i danni che sono stati causati al mondo.

Sì, c’è tanta sofferenza, tanto dolore, anche all’interno della Chiesa e nelle nostre famiglie. Il Papa formula una proposta: che tale risposta d’amore a questo amore che ci precede — che è l’amore di Dio per noi — possiamo esprimerla ai nostri fratelli. Fonda quindi la sua proposta sulle Scritture, su san Vincenzo de’ Paoli e altri santi che ci dicono che si può rendere amore per amore prendendoci cura dei nostri fratelli e sorelle, a partire dai più piccoli, da quanti soffrono. Dunque offre qualcosa che unifica a fondo la nostra spiritualità, la nostra adorazione, la nostra interiorità e il nostro straripare d’amore per gli altri, nella compassione, nell’impegno sociale in nome della Chiesa, perché il Signore si è identificato con i più deboli, con i più piccoli. Quindi sì, le persone hanno bisogno di trovare consolazione nel cuore di Gesù, di trovare riposo in esso, di sperimentare che Dio consola, guarisce, ripara. Perché è Dio che ripara. E noi siamo testimoni di questa riparazione ed entriamo in questo movimento di riparazione, umilmente, prendendo il nostro posto e lasciando che Dio agisca nei cuori con forza e potenza. È ciò che dice il Signore a santa Margherita Maria: «Se crederai, vedrai la potenza del mio Cuore». Le persone che vengono a Paray-le-Monial per trovare riposo nel Cuore di Gesù, sperimentano la dolcezza, l’infinita delicatezza di Dio, e, al tempo stesso, la sua potenza di ricreazione, di consolazione e di riparazione.

Sarà questo a permettere lo slancio missionario?

Sì, perché sarà il cuore profondo, sarà la dinamite che c’è dentro di noi a trasmettere questa potenza alle nostre azioni che si riverseranno nella vita contemplativa, per quanti sono nei monasteri, e nella vita associativa o politica. Se vogliamo svolgere il nostro ruolo, dobbiamo ritornare al cuore, ovvero trovare un centro che ci unifichi profondamente come cristiani e che ci unisca gli uni agli altri per portare avanti questa missione insieme. Mi sembra che l’enciclica di Papa Francesco svolga questo ruolo di centro unificatore, di sintesi, che dà dinamismo, fa gioire e invia.

Si ha l’impressione che questo testo sia una sorta di base spirituale per le precedenti encicliche del Papa, quasi fosse un prequel di «Laudato si’» e «Fratelli tutti».

Ciò che mi ha colpito profondamente è che questa enciclica è la chiave del pontificato. Forse alcune persone vedono il magistero di Francesco come molto politico o molto impegnato socialmente. Il Papa dice: tutto ciò ha senso e si può comprendere solo se avete la chiave. E la chiave è che Gesù è mite e umile di cuore, mosso a compassione davanti alle folle, come pecore senza pastore. È di questo che il Pontefice ci parla ed è questo che può incoraggiarci e forse riconciliarci, soprattutto per quanti sono un po’ destabilizzati dal magistero di Francesco. Tutto ciò può riconciliare profondamente l’insieme delle sensibilità presenti nella Chiesa, che troveranno in questo testo una sorta di unanimità, un solo cuore e una sola anima.

Che dire dell’abbondanza delle figure — intellettuali e santi — francesi menzionate dal Papa nell’enciclica?

È davvero un fatto rilevante. Il Papa cita molti autori spirituali, soprattutto autori francesi, a lungo: san Francesco di Sales, santa Margherita Maria, san Claude La Colombière, san Charles de Foucauld, santa Teresa di Gesù Bambino, san Vincenzo de’ Paoli, il gesuita Michel de Certeau. Ed è quasi una provocazione per noi francesi. «Francia, che cosa hai fatto del cuore di Gesù?». Perché questa devozione ci è stata affidata in modo particolare. È una grazia, non per vantarsene, ma come una responsabilità. Dovremmo forse riappropriarci di ciò che abbiamo un po’ dimenticato. Oggi è come se il Papa stesse riaprendo i pozzi che erano stati un po’ insabbiati negli ultimi decenni. Ora il pozzo è libero: «Venite a bere alle sorgenti vive». Lì c’è un tesoro di cui abbiamo bisogno come Chiesa, perché il mondo ha bisogno di ardere, e questo documento è fuoco, perché parla del fuoco del Cuore di Gesù.

di Marie Duhamel