Papa Francesco all’Assemblea diocesana di Roma
Aprirsi all’amicizia
«Cambiare le cose è complicato, ma è possibile, perché abbiamo le risorse per farlo». Non bisogna essere eroi o persone eccezionali ma dipende dalle scelte fatte, «soprattutto dalla consapevolezza e dalla volontà di spezzare quelle catene», rappresentate dal pregiudizio, «e aprirsi all’amicizia gratuita, un legame che ci arricchisce e ci migliora tutti». Sono parole che Mariagrazia Stoina, studentessa del liceo classico Amaldi, nel quartiere romano di Tor Bella Monaca, ha pronunciato intervenendo all’incontro.
«Noi studenti — ha spiegato — passiamo la maggior parte del tempo a scuola, ed è davvero importante che» essa «non diventi un ambiente chiuso, in cui la realtà esterna non entra». È invece fondamentale, ha proseguito, aprirsi al mondo confidando nel potenziale che ciascun giovane ha, senza essere frenati dalla paura di sbagliare o di esser giudicati. «Il liceo mi ha reso una persona migliore», ha tenuto a precisare Mariagrazia.
«All’inizio non pensavo di poter essere utile a qualcun altro. Si dice spesso che i giovani siano disinteressati, apatici o che non abbiano voglia di impegnarsi. Da quando ho iniziato ad aiutare gli altri, soprattutto ho scoperto che si è più felici quando si fanno felici gli altri», ha aggiunto.
«Quando ero al primo anno sono venuta a sapere delle attività che la Comunità di Sant’Egidio fa nel quartiere, e così ho iniziato a frequentare la Scuola della Pace». E con lei altri giovani della zona, a dimostrazione, ha sottolineato la ragazza, che “TorBella”, «famosa per i fatti di cronaca negativi e per essere un quartiere in cui è difficile vivere», può offrire anche realtà positive. E così, iniziando ad aiutare gli altri, «ho superato alcuni miei problemi e ho capito che magari non erano poi così grandi». Scoprendo, ad esempio, che nella zona del liceo «ci fossero bambini che fanno fatica a completare le scuole elementari, o che non vanno proprio a scuola»; o che molti di loro, ha rimarcato, vengono emarginati magari perché hanno un nome «“strano”, perché la loro pelle è di un colore diverso o semplicemente perché non hanno le stesse opportunità di tutti gli altri».
Così la Scuola della Pace è diventata una scuola di vita. «Aiutiamo i bambini a studiare, ma ci impegniamo anche a conoscerli e a sostenerli» quotidianamente, ha precisato la giovane, instaurando un vero rapporto di amicizia, preziosa per loro «ma anche per noi ragazzi. Quanto è importante avere qualcuno su cui puoi contare, e molti non ce l’hanno». Nascono quindi da questo atteggiamento il cambiamento personale e la convinzione di «fare la differenza, perché le ingiustizie non le vediamo soltanto al telegiornale, ma spesso ce le abbiamo sotto il naso».