Haiti
Ad Haiti si consuma una crisi «mai vista» prima, «tutto è peggiorato», con la capitale Port-au-Prince che si è letteralmente trasformata in una «grande prigione a cielo aperto» per la popolazione civile, lì dove quotidianamente la dignità umana viene violata e calpestata, tra uccisioni, rapimenti, stupri, torture, carenza di ogni minimo bene o servizio: all’origine, la violenza delle bande criminali che, in lotta per il controllo del territorio, nell’ultimo anno hanno intensificato i loro attacchi. William O’Neill è l'esperto che, da un anno e mezzo, le Nazioni Unite hanno designato per la situazione dei diritti umani ad Haiti. In una conversazione con «L’Osservatore Romano» al termine di una sua recente visita nella parte occidentale dell’isola di Hispaniola, l’avvocato statunitense specializzato in questioni umanitarie e docente al master in Diritti umani e gestione dei conflitti della Scuola universitaria Sant’Anna di Pisa traccia un quadro drammatico di quanto sta accadendo nel Paese caraibico, al quale più volte Papa Francesco ha rivolto il proprio pensiero, pregando «affinché cessi ogni forma di violenza e, con l’impegno della comunità internazionale, si continui a lavorare per costruire la pace e la riconciliazione».
«Le parole del Papa sono molto importanti per Haiti, perché la popolazione si sente abbandonata dal resto del mondo. La situazione dei diritti umani è catastrofica. Lavoro ad Haiti e su Haiti da oltre 30 anni e non l’ho mai vista in condizioni peggiori di adesso: uccisioni, rapimenti, stupri, torture, carceri estremamente sovraffollate, mancanza di accesso all’assistenza sanitaria, all’acqua potabile, al cibo, a un riparo, all’istruzione. Tutto è peggiorato rispetto alle crisi precedenti. Soprattutto i bambini sono estremamente vulnerabili. Ci sono più di 700.000 sfollati interni: vivono in condizioni disperate, in parchi pubblici o occupando scuole. Hanno un accesso limitato a cibo e acqua, sono costretti a condividere servizi igienici sporchi e, quando piove, le loro tende precarie crollano. Ho visitato uno di questi campi per sfollati: le persone vorrebbero tornare a casa, ma non possono farlo perché le bande occupano la loro zona ed è pericoloso. Una bambina mi ha detto che non mangiava da due giorni, un’altra che non andava a scuola da un anno. Il governo fa ben poco per loro. Le ragazze e le donne, in particolare, subiscono abusi sessuali e sfruttamento da parte dei cosiddetti “gestori del campo” e delle bande».
Haiti continua ad essere preda delle violenze di circa 200 gang criminali. Cosa è costretta a sopportare la popolazione civile?
«La crudeltà delle bande supera ogni immaginazione. Terrorizzano la popolazione, uccidendo e stuprando a volontà, reclutando con la forza i bambini per unirsi a loro. Ho intervistato un ragazzo che è riuscito a fuggire da una di queste gang. Gli ho chiesto perché si fosse unito a loro e mi ha risposto: “Quando hai fame non pensi nemmeno alla paura”. Le bande sono puramente criminali, non hanno un’ideologia che le renda diverse dai talebani, da al Qaeda o da al Shabaab. Sono molto più simili alla camorra o alla 'ndrangheta. Impongono “tasse” a tutte le imprese che operano sul loro territorio, una sorta di “pizzo”. Hanno posti di blocco ai confini dei territori che controllano e fermano e perquisiscono ogni veicolo che passa: costringono il conducente a pagare un “pedaggio”, spesso portano via parte o tutta la merce presente nel veicolo e derubano i passeggeri dei loro oggetti di valore. Di frequente rapiscono le persone dalle auto e le tengono in ostaggio per ottenere poi un riscatto. E uccidono e violentano i passeggeri».
Le bande controllano Port-au-Prince all’80%: In tale contesto, quali sono le condizioni di vita della gente?
«Le bande controllano tutte le strade principali attorno a Port-au-Prince, a est, sud e nord. Controllano anche la baia a ovest, con piccole imbarcazioni che dirottano altre imbarcazioni e derubano, uccidono, stuprano, rapiscono. Durante la mia trasferta in settembre, ho visitato la penisola meridionale per quattro giorni e sono dovuto andare e tornare in aereo, non in auto, a causa del pericolo rappresentato dalla banda che controlla l’unica strada per il sud: 3 milioni di persone che vivono in quella zona sono tenute “in ostaggio” da circa 1.000 membri della banda, la metà dei quali adolescenti. Lì ho potuto constatare quanto la gente sia tagliata fuori, ci sono pochissimo cibo, acqua pulita e carburante. Nel sud manca l’elettricità da 3 anni. Gli ospedali devono usare i generatori, ma spesso non hanno il carburante per farli funzionare. Le forniture mediche sono rare e molto costose. Port-au-Prince è come una grande prigione a cielo aperto. Le persone sopravvivono a malapena: i prezzi sono molto alti. Tante scuole non hanno riaperto e più di 30 nella capitale sono campi per sfollati, non potendo più funzionare per le lezioni».
L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, il mese scorso ha riferito come da gennaio siano state uccise ad Haiti almeno 3.661 persone a causa della violenza delle bande e ha parlato di una «criminalità insensata». Lei ha potuto raccogliere delle testimonianze quando è stato a settembre nella parte occidentale dell’isola di Hispaniola?
«Non ho potuto visitare molte aree della capitale proprio a causa della violenza. Ma le persone che conosco e che vivono in quelle zone sono state in grado di venire a trovarmi e così ho potuto raccogliere la loro testimonianza. C’è un coprifuoco alle 19 per tutto il personale delle Nazioni Unite. Pochissime persone si muovono dopo il tramonto perché è troppo pericoloso. L’Ufficio integrato delle Nazioni Unite ad Haiti (Binuh) e quello dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) hanno fatto un lavoro eccezionale di raccolta delle informazioni in circostanze molto difficili. Il rapporto pubblicato a fine settembre si basa su testimonianze oculari e informazioni raccolte da fonti affidabili che sono state verificate e avvalorate. Abbiamo ottimi contatti con coraggiose organizzazioni haitiane per i diritti umani che condividono con noi i loro risultati. Il nostro prossimo rapporto uscirà all’inizio del 2025, ma nel frattempo pubblicheremo comunicati stampa e dichiarazioni come richiesto dagli eventi. Anche se non possiamo recarci in molte aree a causa delle bande, c'è sempre un modo per ottenere informazioni».
L’Onu, con il fondo per la popolazione (Unfpa), ha denunciato che si è registrata un’«impennata» dei casi di violenza sessuale contro le donne sfollate dalla violenza ad Haiti. Che riscontri ci sono?
«Il livello di violenza sessuale è letteralmente fuori scala. Abbiamo smesso di fornire cifre perché sappiamo che qualsiasi statistica può essere fuorviante. Le persone che conosco, che lavorano nelle aree controllate dalle bande e che cercano di aiutare i sopravvissuti alla violenza sessuale, sono sopraffatte. Chi sopravvive ha bisogno di tutto: assistenza psico-sociale, cure mediche, rifugi, cibo e reddito per loro e per i figli. Spesso non possono tornare a casa e si uniscono agli sfollati. La loro situazione è davvero disperata».
Proprio a causa della fortissima insicurezza è in aumento chi fugge da Haiti, verso la vicina Repubblica Dominicana o via mare?
«Per ora, è molto difficile per gli haitiani fuggire via mare o attraverso il confine con la Repubblica Dominicana, che ha chiuso il confine e lo spazio aereo. Una grande sfida è ora rappresentata dalle deportazioni forzate di massa dalla Repubblica Dominicana. Negli ultimi tempi ne sono stati rimandati indietro oltre 11.000. Anche gli Stati Uniti, le Bahamas e Turks e Caicos (territorio d'oltremare del Regno Unito) di recente hanno rimpatriato forzatamente degli haitiani. Chiedo a tutti i governi di fermare la deportazione forzata di massa degli haitiani e, in particolare, esorto i governi di Haiti e della Repubblica Dominicana a sedersi per discutere di come sia possibile un processo di rimpatrio ordinato che rispetti la dignità e i diritti umani di tutte le persone coinvolte. Esiste un protocollo del 1999 tra i due Paesi che regola i rimpatri e deve essere rispettato. La situazione attuale ad Haiti non permette un rimpatrio sicuro dei migranti nel Paese».
Qual è la situazione al confine tra le due parti dell’isola di Hispaniola?
«Il governo haitiano ha bisogno di molto aiuto per affrontare questa crisi. Esorto tutti i Paesi a contribuire all'appello umanitario delle Nazioni Unite per Haiti, che ha una percentuale incredibilmente bassa del 35% dei fondi necessari. La situazione al confine tra i due Paesi è tesa; come ho detto, la Repubblica Dominicana ha ufficialmente chiuso il confine. Ma ho ricevuto notizie attendibili che una grande quantità di contrabbando sta affluendo ad Haiti, comprese armi e proiettili che alimentano il potere delle bande. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha rinnovato proprio venerdì scorso il regime di sanzioni e ha chiesto un embargo totale sulle armi destinate ad Haiti. La maggior parte delle armi proviene dagli Stati Uniti, così come i proiettili. Tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite devono fare di più per fermare il flusso di munizioni verso Haiti. Se le bande perdono l’accesso ad armi e munizioni, perdono il loro potere».
L’emergenza ad Haiti si inserisce in una crisi politica, sociale ed economica che perdura da anni e si è intensificata con l’uccisione del presidente Jovenel Moïse nel luglio 2021, in una nazione che nel tempo è stata devastata terremoti, epidemie ed effetti devastanti dei cambiamenti climatici. Le istituzioni transitorie insediatesi da poco tempo e la missione internazionale, approvata dall’Onu e schierata ora con i primi militari del Kenya, che sfide si trovano davanti?
«Le sfide che il governo deve affrontare sono enormi, data la portata della crisi. Le istituzioni che erano già deboli sono state devastate. La corruzione e l’impunità permangono e il sistema giudiziario funziona a malapena. Ci sono appena 7.000 poliziotti haitiani per una popolazione di 11 milioni di abitanti. Solo 420 dei 1.000 kenyani sono schierati e pochi uomini da Giamaica e Bahamas si sono uniti a loro. I membri della Multinational Security Support (Mss) Mission in Haiti dovrebbero essere 2.500, quindi sono al di sotto della loro capacità. Comunque l’Haitian National Police (Hnp) e l’Mss sono riuscite ad ottenere qualche piccola vittoria. Questo dimostra che se la comunità internazionale riuscirà a mantenere l’impegno di dispiegare l’Mss a pieno regime, a far rispettare completamente l’embargo sulle armi autorizzato dal Consiglio di Sicurezza e a sanzionare i membri delle élite economiche e politiche di Haiti che sostengono le bande, la violenza ad Haiti potrà cessare rapidamente e potrà iniziare il lungo e difficile percorso di ricostruzione delle istituzioni che forniscono i servizi di base alla popolazione haitiana. Come dicono sempre i miei amici haitiani: Kenbe fem, pa lage, Resta forte, non mollare mai».
di Giada Aquilino