Nel Cuore di Gesù la speranza di una fraterna quotidianità

 Nel Cuore di Gesù la speranza  di una fraterna quotidianità  QUO-242
24 ottobre 2024

La quarta enciclica di Papa Francesco «Dilecti nos» è stata presentata stamane dal teologo Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, e da sorella Antonella Fraccaro, responsabile generale delle Discepole del Vangelo, presso la Sala stampa della Santa Sede, alla presenza del vicedirettore Cristiane Murray. Pubblichiamo ampi stralci dei due interventi.

In continuità con le Encicliche sociali, Laudato si’ e Fratelli tutti, questa enciclica celebra la grandezza del «nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo» (DN 217). Riferendoci al cuore di Gesù, che è la sede dell’amore di Dio, troviamo anche noi il centro dell’amore. Il cuore di Gesù ci porta al centro della nostra persona e ci conduce ad amare con tutto noi stessi, coinvolgendo pensieri, sentimenti, azioni. Ci rende capaci di «tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune» (DN 217).

Con questa consapevolezza, Papa Francesco ci accompagna ad approfondire il valore del nostro cuore (cfr. DN 27). Dilexit nos dà voce, anzitutto, ad alcune questioni che emergono in noi in questo tempo: come raggiungere veramente l’altro, così com’è, senza essere personalmente vincolati da noi stessi nella relazione con lui o con lei? Come fare verità su noi stessi, in un contesto che pilota molto le nostre scelte? Quale amore per la nostra vita e quale amore da parte nostra per la vita degli altri?

Il n. 8 del documento aiuta ad andare al cuore della verità della nostra esistenza. Anziché inseguire sogni inutili, fantasie su cose appariscenti, superficiali, interroghiamo la nostra vita, ciò che desideriamo, e lasciamo «emergere domande che contano».

Andare al cuore della nostra esistenza chiama in causa il nostro cuore, come sorgente della relazione interpersonale vera (cfr. DN 12). «Una relazione che non è costruita con il cuore è incapace di superare la frammentazione dell’individualismo» (DN 17). Interpellare il nostro cuore, infatti, significa interpellare le relazioni e metterle al centro della nostra vita. Si tratta, dunque, di considerare i nostri cuori in un dialogo corresponsabile, dato che «solo il cuore crea l’intimità, la vera vicinanza tra due esseri» (DN 12).

Papa Francesco ci ricorda che «io sono il mio cuore» (DN 14); dunque, è decisivo che «tutte le azioni» (DN 14) della mia vita «siano poste sotto il “dominio politico” del cuore» (DN 14), cioè siano governate da quello che è il centro del mio essere e del mio operare. Infatti «tutto è unificato nel cuore, che può essere la sede dell’amore» (DN 21). Ci invita, pertanto, a considerare maggiormente il cuore e a prendere coscienza delle contraddizioni e fragilità che lo abitano e talvolta lo governano.

Il nostro cuore, infatti, «unito a quello di Cristo è capace di questo miracolo sociale» di edificare con noi e tra di noi, «in questo mondo il Regno d’amore e di giustizia» (DN 28). Come suggerisce Charles de Foucauld: «Abbiamo un solo cuore: più sarà caldo per tutti gli uomini, più sarà caldo per la vostra famiglia e caldo per Dio: se è freddo per i poveri, per gli sconosciuti, sarà meno caldo per i vostri, meno caldo per Dio…».

Attenzione, avverte Papa Francesco, a non trascurare il cuore, a non perderlo, all’indifferenza sempre più diffusa tra noi (cfr. DN 22) e intorno a noi; un pericolo dal quale proteggerci. E attenzione alle nostre chiusure di cuore, alle nostre corte vedute, perché con le nostre sicurezze e senza il confronto tra di noi non raggiungiamo gli altri, vicini e lontani, nella loro ricchezza, e ci costruiamo un mondo a nostra misura.

Inoltre, tornare al cuore, non per restare nel “nostro” cuore, chiusi in noi stessi, poiché «il nostro cuore non è autosufficiente, è fragile ed è ferito» (DN 30), ma per dimorare, con il nostro cuore, nel «Cuore di Cristo», perché «è lì, in quel Cuore, che riconosciamo finalmente noi stessi e impariamo ad amare» (DN 30). Non riusciamo, poi, a ritrovare noi stessi da soli o solo con l’aiuto umano, psicologico, ma coltivando la relazione con Gesù nella sua Parola e con le mediazioni ecclesiali che Lui ci ha posto accanto, con i fratelli e le sorelle delle nostre fraternità cristiane.

Il Cuore di Gesù
rinnova il nostro cuore

Dopo averci introdotto al valore del cuore, come centro della nostra dignità e delle nostre relazioni, Papa Francesco ci incoraggia a guardare a Gesù, ai suoi gesti e alle sue parole (cfr. DN 33), che esprimono la consistenza del suo cuore amante. Il cuore di Gesù si fa attento a ciascuno di noi, ci incontra, ci scruta, pone il suo sguardo su di noi (cfr. DN 35.39-41) e ci invita a fidarci di lui (cfr. DN 37)

Nella relazione con noi, Gesù stesso non nasconde i suoi sentimenti e questo ci permette di sentirlo molto vicino a noi, ce lo fa sentire “uno dei nostri”. In un mondo in cui spesso viviamo sentimenti di estraneità nei confronti degli altri, di ciò che facciamo, della nostra vita e spesso dell’esperienza di fede, sentire Gesù come “uno dei nostri” ci esorta a credere che è possibile anche per noi trovare il cuore in uno stile di vicinanza e accoglienza.

Con il suo cuore, Gesù ama noi stessi con tutto sé stesso (cfr. DN 67), si piega fino in fondo alla nostra umanità per sollevarci (cfr. DN 69), nonostante la distanza che c’è tra noi e Lui. San Charles de Foucauld, che il Papa richiama in questa Enciclica insieme a tante altre figure di santità appassionate del Cuore di Gesù, paragona la distanza tra noi e Dio come la distanza che c’è tra l’Oriente e l’Occidente (cfr. Salmo 103, 12). Si tratta della distanza tra l’esiguità della natura umana e l’infinita grandezza di Dio, la distanza tra i pensieri di Dio e i nostri pensieri, una distanza che, tuttavia, Gesù è venuto a colmare facendosi uno di noi.

Se crediamo alla forza dell’amore di Gesù possiamo sviluppare attorno a noi la gratuità nei rapporti e nella nostra pastorale, superando i dualismi presenti di cui parla Papa Francesco: «Comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani […], un cristianesimo che ha dimenticato la tenerezza della fede, la gioia della dedizione al servizio, il fervore della missione da persona a persona, […] l’emozionante gratitudine per l’amicizia che Egli offre e per il senso ultimo che dà alla vita personale» (DN 88). Malattie, dice il Papa, dalle quali, a volte, «non sentiamo nemmeno il desiderio di guarire» (DN 89), ma che il riferimento al Cuore di Gesù nutrito di adorazione e di Vangelo può aiutarci a superare.

Il Sacro Cuore nella storia della Chiesa

Il cuore, sede dell’amore di Dio, è stato presentato nel corso della storia, nella Bibbia e con i Padri della Chiesa, come sorgente di acqua viva; così il costato di Gesù Cristo, aperto, lascia scorrere l’acqua che purifica e vivifica, l’acqua che disseta in eterno perché da quel costato di Gesù in croce scaturisce l’amore che incontra ciascuno di noi.

Maestri sapienti, che ci hanno introdotto a considerare il valore del Cuore di Gesù, sono stati sant’Agostino, san Bernardo, Guglielmo di Saint-Thierry, san Bonaventura (cfr. DN 92-108). Donne sante hanno, poi, raccontato le loro esperienze di riposo e di vita nel Cuore di Gesù. Pensiamo a santa Gertrude di Helfta, che propone di svecchiarci dalla nostra tiepidezza affidandoci all’amore di Cristo (cfr. DN 110).

Uomini e donne hanno dato vita, nel tempo, anche a nuove spiritualità e famiglie religiose affidate al Cuore di Cristo (cfr. DN 112). Devozione, quella al Cuore di Cristo, che coinvolge dunque molti santi. Tra gli altri: san Vincenzo de’ Paoli, san Pio da Pietrelcina, Santa Teresa di Calcutta, santa Faustina Kowalska (cfr. DN 148-149).

Il cuore è un’immagine che rinvia a Gesù Cristo, è il centro della sua Persona e manifesta il suo amore. «La devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero» (DN 48). Charles de Foucauld stesso ha utilizzato molto il cuore e la croce, come simbolo che indica Jesus Caritas, Gesù Carità, e non si è mai separato da questa immagine, poiché essa rinvia a Gesù. Anzi, lui stesso richiama l’attenzione a non fermarsi su una parte del corpo o su immagini, ma di andare a Gesù. (…)

Il Cuore di Gesù consola
e chiede pentimento

La consapevolezza che Gesù ha donato la sua vita per noi fino alla morte, a causa dei nostri peccati, accogliendo tutta la sofferenza che questo gli ha richiesto, porta anche noi a partecipare alla sua sofferenza consolandolo: «Se l’Amato è il più importante, come allora non volerlo consolare?» (DN 152). È la nostra fede che ci conduce a questa partecipazione.

Come credenti possiamo partecipare all’unico Mistero Pasquale: «Mentre cerchiamo di offrire qualcosa a Cristo per la sua consolazione, le nostre stesse sofferenze vengono illuminate e trasfigurate dalla luce pasquale dell’amore» (DN 157). Gesù Cristo ha partecipato alla nostra vita, alle nostre sofferenze, si è fatto carico delle nostre fragilità, «ha voluto vivere anticipatamente come capo ciò che avrebbe vissuto il suo corpo ecclesiale, tanto nelle ferite quanto nelle consolazioni» (DN 157). Partecipare anche noi a questa duplice dimensione significa vivere una importante esperienza spirituale che possiamo compiere non da soli, ma insieme come Chiesa in cammino. Abbiamo la possibilità, poi, come credenti, di riconoscere le nostre schiavitù, e di purificarci da esse. (…)

Contemplare il Cuore di Cristo ci porta a vivere la consolazione, perciò «il dolore che sentiamo nel cuore lascia il posto a una fiducia totale, e alla fine ciò che rimane è gratitudine, tenerezza, pace; rimane il suo amore che regna nella nostra vita» (DN 161) e noi ne usciamo alleggeriti.

Come diventare missionari dell’Amore?

Il Papa, attraverso alcune figure, ci indica delle strade da percorrere per dare un cuore al nostro cuore e a «questa terra e reinventare l’amore laddove pensiamo che la capacità di amare sia morta per sempre» (DN 218).

È un «principio nuovo nella storia umana» (DN 170) quello che Gesù ha portato e che cambia «il volto del mondo» (DN 170), poiché «il male si supera con il bene» (DN 177) e «si vince con la crescita dell’amore» (DN 177). 

Cosa significa per noi, oggi, diffondere l’amore di Dio di fronte all’odio tra i popoli, o più quotidianamente nel posto di lavoro, ai colleghi che non credono, all’amico che ha perso una persona cara, alla sorella di una cultura o religione diversa dalla nostra? Sono tutte condizioni che interpellano il nostro modo di amare e che ci chiedono di non passare oltre, ma di determinarci per il bene.

L’amore per il Cuore di Gesù e l’impegno verso fratelli e sorelle è un’unione che «attraversa la storia della spiritualità cristiana» (DN 172).

Come offrire al mondo “una riparazione” dell’amore a partire dal Cuore di Cristo? (cfr. DN  181). Come collaborare con Dio, oggi, per costruire la civiltà dell’amore, che implica un’armonia tra l’amore verso di Lui e l’amore verso il prossimo? (cfr. DN 182).

L’enciclica ci offre delle condizioni per dare qualità all’esperienza dell’amore, termine oggi forse troppo abusato, ma della cui qualità ne abbiamo molto bisogno. Non si tratta solo di compiere delle buone opere, per affrontare peccati sociali, per sconfiggere strutture di peccato. Occorrono la forza, la creatività, la luce del Cuore di Cristo (cfr. DN 183-184). Si tratta di offrire una “riparazione cristiana” attraverso atti di perdono, di riconoscenza del «proprio peccato davanti agli altri» (DN 188), scelte queste che danno dignità, che sono nobili, che guariscono le relazioni, poiché: «chi non piange regredisce, invecchia dentro» (DN 190), mentre chi si umilia e si commuove dinanzi a Dio compie un atto di maturità, perché «si lega sempre meno a sé stesso e più a Cristo, e diventa povero in spirito […], chi si compunge nel cuore si sente più fratello di tutti i peccatori del mondo» (DN 190), desidera amare e riparare. È una persona che non si scandalizza del proprio peccato e diventa capace di essere ferma con sé stessa e misericordiosa con gli altri (cfr. DN 190).

Queste forme di partecipazione all’amore sono forme di collaborazione che permettono «alla potenza e all’amore di Dio di diffondersi nella nostra vita e nel mondo, mentre il rifiuto e l’indifferenza possono impedirlo» (DN 192). La nostra stessa libertà può impedire all’amore di Dio di diffondersi, di propagarsi nel mondo, mentre atti di amore fraterno possono favorirne la diffusione.

L’umiltà del Cuore di Gesù è una via di abbassamento che ci rende umili e amanti del suo amore: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Cristo ha bisogno della nostra piccolezza attraverso la nostra umile dedizione ai fratelli e alle sorelle. Nel farsi piccolo di Dio, il suo Cuore mostra tutta la sua grandezza: «Un cuore umano che fa spazio all’amore di Cristo attraverso la fiducia totale […] diventa capace di amare gli altri come Cristo, facendosi piccolo e vicino a tutti» (DN 203). Partecipare al Cuore di Cristo ci fa andare ovunque, ci dispone ad andare, perché «alla luce del Sacro Cuore, la missione diventa una questione d’amore, e il rischio più grande in questa missione è che si dicano e si facciano molte cose, ma non si riesca a provocare il felice incontro con l’amore di Cristo che abbraccia e che salva» (DN 208). Ecco perché la missione «richiede missionari innamorati» (DN 209), che non riescono a non diffondere l’amore «che ha cambiato la loro vita» (DN 209). Una persona che ama trasmette l’amore con la testimonianza o con la parola, senza che l’altro debba compiere grandi sforzi per ricevere questo amore di Dio e senza bisogno di creare proselitismo. Un amore che non si impone, che lascia libero l’altro, un amore frutto di un’amicizia profonda con Dio e di un’esperienza ecclesiale autentica (cfr. DN 210-211), compiuta prima di tutto nella propria comunità, con i propri fratelli e sorelle (cfr. Gv 13, 35), che si diffonde al di fuori, con un cuore fraterno e universale, che privilegia i più poveri, che ha la forza della presenza di Gesù nel gesto d’amore compiuto (cfr. DN 212-214).

Dio chiama a diffondere il suo amore sulla terra. C’è bisogno che ci lasciamo mandare da Lui a compiere questa missione e la compiremo ciascuno a modo nostro, con o senza risultati, con «la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri» (DN 216). In un mondo in cui sembra che la nostra dignità dipenda da ciò che abbiamo, da ciò che consumiamo, accecati dai nostri bisogni immediati, Papa Francesco ci incoraggia a tenerci fuori da questi ingranaggi perversi, per lasciare spazio in noi all’incontro con l’amore gratuito di Dio, che «libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità» (DN 219). Ci propone questo e ci invita a farlo camminando «insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno» (DN 220).

Il Giubileo, che è alle porte, in cui sosteremo sul pellegrinaggio e sulla speranza — pellegrini di speranza — ci aiuti a camminare con fiducia, insieme, nella speranza. Possiamo farlo dato che, come dice Paolo, «la speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5). Camminiamo insieme con la forza della speranza, che il Cuore di Gesù ci dona ogni giorno nella nostra fraterna quotidianità.

di Antonella Fraccaro