La quarta enciclica di Papa Francesco «Dilecti nos» è stata presentata stamane dal teologo Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, e da sorella Antonella Fraccaro, responsabile generale delle Discepole del Vangelo, presso la Sala stampa della Santa Sede, alla presenza del vicedirettore Cristiane Murray. Pubblichiamo ampi stralci dei due interventi.
La Lettera Enciclica Dilexit nos, «Sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo», pubblicata il 24 ottobre 2024, nasce dall’esperienza spirituale di Papa Francesco, che avverte il dramma delle enormi sofferenze prodotte dalle guerre e dalle tante violenze in corso e vuol farsi vicino a chi soffre proponendo il messaggio dell’amore divino che viene a salvarci.
Le riflessioni in essa presenti offrono la chiave di lettura dell’intero magistero di questo Papa, come ci fa capire lui stesso: «Ciò che questo documento esprime permette di scoprire che quanto è scritto nelle Encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti non è estraneo al nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo, perché, abbeverandoci a questo amore, diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune» (n. 217).
Lungi dall’essere un magistero “schiacciato” sul sociale, come a volte è stato maldestramente inteso, il messaggio che questo Papa ha dato e dà alla Chiesa e all’intera famiglia umana nasce da un’unica sorgente, presentata qui nella maniera più esplicita: Cristo Signore e il Suo amore per tutta l’umanità.
È la verità per cui Jorge Mario Bergoglio ha giocato tutta la Sua vita e continua a spenderla con passione nel Suo ministero di Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale. In questa luce risulta anche particolarmente toccante il fatto che egli espliciti come fonte di molte delle idee esposte alcuni scritti inediti di un Testimone della fede recentemente scomparso, che egli stesso aveva accolto nella Compagnia di Gesù: «Buona parte delle riflessioni di questo primo capitolo — è detto nella prima nota al testo — si sono lasciate ispirare da scritti inediti del padre Diego Fares, s.j . Il Signore lo abbia nella Sua santa gloria» (nota 1 al n. 2).
Per cogliere la portata del messaggio proposto in questo testo pongo tre domande: che cosa di così importante vuol dirci il Vescovo di Roma dedicando al Sacro Cuore un documento della rilevanza di un’Enciclica? Perché lo fa proprio adesso? Quale scopo si propone?
a) L’importanza del cuore:
al primo posto l’amore
L’Enciclica inizia col sottolineare l’importanza del cuore ( i Parte: nn. 2-30) in particolare alla luce della Bibbia, dove con “cuore” s’intende il centro unificatore della persona. In questo senso nella vita «tutto si gioca nel cuore» (n. 3) ed è dal cuore che provengono le domande vere (cfr. n. 8). Dove manca il cuore, «non è sviluppata nemmeno l’idea di un centro personale in cui l’unica realtà che può unificare tutto è, in definitiva, l’amore». Come ha scritto Romano Guardini — pensatore molto amato da Bergoglio — «solo il cuore sa accogliere e dare una patria». Il grande teologo gesuita Karl Rahner, poi, sottolinea che “cuore” è una di quelle parole originarie «che indicano la realtà che spetta all’uomo tutto intero in quanto persona corporea e spirituale».
Perciò è importante ritornare al cuore (nn. 9-16): è il cuore che unisce i frammenti (nn. 17-23) della vita vissuta, realizzando l’armonia di tutta la persona, come mostra l’esempio della Vergine Maria, che custodisce (dieterei) e medita (symballousa) nel suo cuore quanto di assolutamente unico le accade (cfr. n. 19). Tutto ciò che viviamo è «unificato nel cuore» (n. 21): le tante piccole cose che fanno la vita, come le grandi ferite prodotte dalle guerre, dalle violenze, dalle infermità e dalla morte, ci toccano nel cuore. Chi non lo percepisce mostra di essersi inaridito: così, vedere delle nonne «piangere i nipoti uccisi, o sentirle augurarsi la morte per aver perso la casa dove hanno sempre vissuto ... senza che questo risulti intollerabile» è segno di un mondo senza cuore (n. 22).
Nasce da queste costatazioni l’appello di Papa Francesco: «Andiamo al Cuore di Cristo... che è una fornace ardente di amore divino e umano ed è la massima pienezza che possa raggiungere l’essere umano» (n. 30). Risponde a quest’invito la seconda parte dell’Enciclica, intitolata Gesti e parole d’amore (nn. 32-47). Afferma il Papa: «Dio non ci ama a parole, si avvicina e nel suo starci vicino ci dà il suo amore con tutta la tenerezza possibile» (n. 36). Questo punto viene esplicitato in maniera toccante: «Quando ci sembra che tutti ci ignorino, che nessuno sia interessato a ciò che ci accade, che non siamo importanti per nessuno, Lui è attento a noi» (n. 40).
Nella parte successiva dell’Enciclica, intitolata Questo è il cuore che ha tanto amato (nn. 48-91), Papa Francesco precisa che «la devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore» (n. 48). Un’immagine che «ci parla di carne umana, di terra, e perciò anche di Dio che ha voluto entrare nella nostra condizione storica, farsi storia e condividere il nostro cammino terreno» (n. 58). Veramente «il Sacro Cuore è una sintesi del Vangelo» (n. 83).
Oggi, la situazione è profondamente diversa: «Più che al giansenismo — afferma l’Enciclica — ci troviamo di fronte a una forte avanzata della secolarizzazione, che aspira ad un mondo libero da Dio. A ciò si aggiunge che si stanno moltiplicando nella società varie forme di religiosità senza riferimento a un rapporto personale con un Dio d’amore» (n. 87). Il Cuore di Cristo aiuta i credenti a liberarsi da questi condizionamenti, come anche dal frequente dualismo «di comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate» (n. 88).
Ne risulta spesso un cristianesimo «che ha dimenticato la tenerezza della fede, la gioia della dedizione al servizio, il fervore della missione da persona a persona, l’esser conquistati dalla bellezza di Cristo, l’emozionante gratitudine per l’amicizia che Egli offre e per il senso ultimo che dà alla vita personale» (n. 88). La devozione al Sacro Cuore ci aiuta a mettere al centro di tutto l’amore.
b) Ritornare al Cuore di Cristo:
di fronte alle urgenze attuali
Occorre, allora, ritornare al Cuore, proponendo a tutta la Chiesa «un nuovo approfondimento sull’amore di Cristo rappresentato dal sacro Cuore» (n. 89). In un’ora storica per tanti aspetti drammatica, segnata da guerre e conflitti che sembravano un lontano ricordo e che invece sono divenuti in poco tempo una tragica realtà, riproporre la buona novella dell’amore di Dio per ciascun essere umano significa ricordare a tutti la fraternità che ci unisce davanti all’unico Padre e l’amore che cambia il cuore e la vita di chiunque voglia accoglierlo in sé.
In tale prospettiva, nella parte intitolata L’amore che dà da bere (nn. 92-163), l’Enciclica richiama la testimonianza della Sacra Scrittura e quella del cristianesimo delle origini: la Bibbia «mostra che al popolo che aveva camminato attraverso il deserto e che attendeva la liberazione era annunciata un’abbondanza di acqua vivificante» (n. 93).
«I primi cristiani vedevano realizzata questa promessa nel costato aperto di Cristo, fonte da cui promana la vita nuova» (n. 96). E questo perché «nel Cuore trafitto di Cristo si concentrano, scritte nella carne, tutte le espressioni d’amore delle Scritture» (n. 101). Lo sviluppo storico del cristianesimo riprenderà queste testimonianze con una coralità di voci, che l’Enciclica richiama.
c) Il frutto della devozione al Sacro Cuore:
amore per amore
Dalla devozione al Sacro Cuore scaturisce anche un’intensa esperienza di consolazione: «In questa contemplazione del Cuore di Cristo donatosi fino all’estremo noi veniamo consolati... Desiderosi di consolarlo, ne usciamo consolati» (n. 161). Frutto prezioso, questo: «Vale la pena di recuperare questa espressione dell’esperienza spirituale sviluppata attorno al Cuore di Cristo: il desiderio interiore di dargli consolazione... Se l’Amato è il più importante, come allora non volerlo consolare?» (n. 152). Nella devozione al Sacro Cuore, si fondono, dunque, «l’unione con Cristo sofferente e al tempo stesso la forza, la consolazione e l’amicizia che godiamo con il Risorto» (n. 156).
Com’è detto nella quinta parte dell’Enciclica, intitolata Amore per amore (nn. 164-216), il frutto più profondo della devozione al cuore di Cristo è di farci sentire amati da Lui e resi capaci di amare in unione al Suo Cuore umano e divino. Come diceva san Charles de Foucauld: «La carità deve irradiare dalla fraternità, come irradia dal cuore di Gesù». È questa convinzione che lo ha reso «fratello universale, perché lasciandosi plasmare dal Cuore di Cristo, voleva ospitare nel suo cuore fraterno tutta l’umanità sofferente» (n. 179).
È in questa luce che si comprende anche il senso profondo dell’idea di riparazione: «Insieme a Cristo, sulle rovine che noi lasciamo in questo mondo con il nostro peccato, siamo chiamati a costruire una nuova civiltà dell’amore» (n. 182). La riparazione cristiana, allora, «non può essere intesa solo come un insieme di opere esteriori, che pure sono indispensabili e talvolta ammirevoli. Essa esige una spiritualità, un’anima, un senso che le conferiscono forza, slancio e creatività instancabile. Ha bisogno della vita, del fuoco e della luce che le vengono dal cuore di Cristo» (n. 184). Il Signore «ci permette di amare come Lui ha amato e così Egli stesso ama e serve attraverso di noi» (n. 203).
Da tutto questo deriva una peculiare visione della missione della Chiesa: «Alla luce del Sacro Cuore, la missione diventa una questione d’amore, e il rischio più grande in questa missione è che si dicano e si facciano molte cose, ma non si riesca a provocare il felice incontro con l’amore di Cristo che abbraccia e salva» (n. 208). Perciò la missione, «richiede missionari innamorati, che si lascino ancora conquistare da Cristo e che non possano fare a meno di trasmettere questo amore che ha cambiato la loro vita» (n. 209). È qui che va collocato il ruolo decisivo della comunità: «Non si deve pensare a questa missione di comunicare Cristo come se fosse solo una cosa fra me e Lui. La si vive in comunione con la propria comunità e con la Chiesa» (n. 212). In questa comunione riveste un posto speciale la Vergine Maria, madre, membro, modello e tipo della Chiesa: la devozione al Suo cuore di Madre di Gesù e nostra «nulla toglie all’adorazione unica dovuta al Cuore di Cristo, anzi la stimola» (n. 176), aiutandoci ad amare meglio e di più.
Si comprende da tutto quanto detto come l’Enciclica possa essere considerata una sorta di compendio di tutto quello che Papa Francesco ha voluto e vuole dire a ogni fratello o sorella in umanità: Dio ti ama e te lo ha mostrato nella maniera più luminosa nella vicenda di Gesù di Nazareth; guardando a Lui saprai di essere amato/a da sempre e per sempre e potrai riconoscere i doni, di cui il Padre ha voluto arricchirti; seguendo Lui potrai discernere la via per spenderli con amore lì dove nel Suo Spirito Egli vorrà condurti. (bruno forte)
di Bruno Forte
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