Il dolore della Chiesa e del popolo messicani è entrato al Sinodo, non appena si è diffusa la notizia dell’uccisione, in Messico, il 20 ottobre scorso, del sacerdote Marcelo Pérez Pérez, parroco della parrocchia di Cuxtitali a San Cristóbal de Las Casas, nello Stato del Chiapas. Per lui è stata recitata una preghiera per l’eterno riposo. «Padre Marcelo era un combattente per la pace, un uomo che cercava il dialogo, la pace e la giustizia per i più poveri. Lui stesso era indigeno, era Tzotzil, e aveva dedicato la sua vita a stare con gli ultimi e a cercare il dialogo, l’incontro, la riconciliazione nelle comunità dove c’erano divisioni»: a ricordarne la figura è suor María de los Dolores Palencia Gómez, religiosa messicana della Congregazione delle Suore di San Giuseppe e presidente delegata della xvi Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi. Il fatto che padre Marcelo sia stato assassinato, secondo la religiosa, «è un ulteriore segno che c’è chi è interessato a che le persone siano divise e a che la pace e la giustizia non regnino».
Il Chiapas è fortemente colpito dal fenomeno della migrazione forzata. «Lo Stato del Chiapas – spiega suor Palencia – ha tre diocesi: Tuxtla, Tapachula e San Cristóbal de las Casas. È uno Stato di confine con il Guatemala, dove c’è un continuo e frequente ingresso di migranti provenienti da molti Paesi, non solo dal Sud America, ma anche dall’Asia, dall’Africa e dall’Europa dell’est». Si tratta di «una presenza molto massiccia», e di «una migrazione forzata» perché «sono forzati ad uscire dai loro Paesi, sono persone che arrivano con molte carenze e molte sofferenze».
È inoltre uno Stato con un’enorme popolazione indigena, con molti popoli nativi e diverse etnie, «popoli che tradizionalmente hanno vissuto nell’emarginazione, nella povertà, che hanno sofferto di tutte le carenze che possono esistere in queste condizioni» e che ora sono flagellati dalla droga e dell’estrattivismo disumanizzato. Questo avviene anche in altri Stati del Messico e in molti altri luoghi, prosegue la suora, «dove c’è una forte concentrazione di violenza dovuta alla lotta per il territorio tra i cartelli della droga. Una presenza molto forte in Messico, purtroppo, e questo comporta molte cose». Per quanto riguarda «l’insediamento di grandi industrie, minerarie ed estrattive, e altre», nel momento in cui si presentano, è il racconto, sono loro «a imporre il loro modo di agire alle popolazioni, veri proprietari di tali terre». Ecco che, quindi, «la presenza di questi gruppi, che sia per la droga, o che sia per l’estrattivismo, genera violenza, divisioni, sequestri, rapine, causa migrazioni interne, ma anche sfiducia tra popoli fratelli che hanno vissuto insieme per molto tempo e che ora stanno dando vita a lotte per il potere che sono molto pericolose».
La religiosa messicana spiega quindi la necessità di dover alzare la voce per tutti coloro che non possono farlo e soprattutto chiede che l’omicidio di padre Marcelo non resti impunito e che ciò che accade in questi territori non venga dimenticato. «Penso che nella società civile organizzata, così come nelle diverse Chiese, stia crescendo consapevolezza. Bisogna gridare e far sì che anche il mondo capisca che in alcune situazioni si agisce contro l’umanità e anche contro il creato, contro la nostra casa comune».
La presidente delegata indica poi che essere al Sinodo in un momento ecclesiale come questo «è stata una grazia». Lei che ha «vissuto il Concilio Vaticano II senza essere una suora», in un momento in cui «c’erano molte illusioni e molte speranze di molti cambiamenti», spesso però non avvenuti. Oggi, è la sua consolazione, «stiamo tornando ai fondamenti del Concilio Vaticano ii , ma per andare oltre. Il mondo, l’umanità in cui ci troviamo oggi non è più quella di 60 anni fa e dobbiamo vedere dove lo Spirito vuole che si sia presenti». Il cammino della sinodalità, conclude suor Palencia, «ci sta aiutando ad ascoltarci, a dialogare, a cercare insieme, ad andare verso le decisioni e i processi decisionali insieme», questo potrà essere «un annuncio profetico per l’umanità perché in questa situazione mondiale così polarizzata, così estrema, dove è così difficile dialogare, ascoltarsi, dialogare, cercare strade insieme e non dividersi o dividere quando non si è completamente d’accordo, può essere anche un importante impatto sociale di cambiamento».
di Renato Martinez