La meditazione del domenicano Timothy Radcliffe per l’inizio dell’ultima settimana dei lavori

Libertà per parlare con coraggio e per accogliere l’opera della Provvidenza

 Libertà per parlare con coraggio e per accogliere l’opera della Provvidenza  QUO-239
21 ottobre 2024

È «con libertà» che le madri e i padri sinodali devono affrontare l’ultimo «compito» che spetta loro nella settimana conclusiva del Sinodo, ovvero l’esame e la votazione del documento finale. A introdurre i lavori della 13ª Congregazione generale, stamane, lunedì 21 ottobre, è stata la meditazione del cardinale eletto Timothy Radcliffe, nella quale egli ha richiamato i partecipanti a mettere in pratica la missione di «predicare e incarnare» una doppia libertà, «la doppia elica del dna cristiano: la libertà di dire ciò che crediamo e di ascoltare senza paura ciò che dicono gli altri».

Cioè, ha chiarito il frate predicatore, «la libertà dei figli di Dio di parlare con coraggio, con parrésia»; ma anche la «libertà più profonda», quella «interiore dei nostri cuori» di accettare le decisioni che possano deludere, e che alcuni potrebbero ritenere «sconsiderate o addirittura sbagliate». Infatti ha detto Radcliffe, «abbiamo la libertà di chi crede che, come scriveva San Paolo ai Romani (Rm 8.28), “Dio opera tutto per il bene di coloro che lo amano”, e che alla fine possiamo essere in pace perché “nulla può separarci dall’amore di Dio”, nemmeno l’incompetenza, nemmeno gli errori». Solo così si passa dalla prima libertà, quella che fa dire “io”, a quella più ampia, che fa «appartenere alla Chiesa e dire “Noi”».

Come insegnava san Tommaso d’Aquino, ha spiegato ancora il teologo domenicano, «la grazia perfeziona la natura, non la distrugge». Pertanto, «credere nello Spirito Santo non ci esime dall’usare la mente nella ricerca della verità». Anzi: «Tommaso affermava che sarebbe stato un insulto allo Spirito Santo non pensare alle decisioni e, per esempio, tirare a sorte».

Radcliffe ha poi citato l’opera cinematografica Un uomo per tutte le stagioni, nella quale san Tommaso Moro «implora sua figlia di onorare la nostra capacità di pensare data da Dio: “Ascolta, Meg, Dio ha fatto gli angeli per mostrargli lo splendore, come ha fatto gli animali per l’innocenza e le piante per la loro semplicità. Ma l’uomo l’ha fatto per servirlo con arguzia (intelligenza), nel groviglio della sua mente”». Anche il cardinale e teologo del Concilio, Yves Congar, che a metà degli anni Cinquanta del secolo scorso venne «messo a tacere da Roma», venendo privato della possibilità di insegnare, «nel pieno di questa crisi, scrisse nel suo diario che l’unica risposta a questa persecuzione era “dire la verità. Con prudenza, senza scandali provocatori e inutili. Ma rimanere — e diventare sempre più — un testimone autentico e puro di ciò che è vero”». Perciò, ha aggiunto Radcliffe, «non dobbiamo aver paura del disaccordo, perché in esso opera lo Spirito Santo».

Dunque, siamo abitati dalla libertà di «pensare, parlare e ascoltare senza paura. Ma non è nulla se non abbiamo anche la libertà di chi ha fiducia che “Dio opera tutto per il bene di coloro che amano Dio”. Così possiamo essere in pace con qualsiasi risultato» ha commentato Radcliffe, perché «la provvidenza di Dio è gentile, silenziosamente all'opera anche quando le cose sembrano andare male». Essa — ha evidenziato ancora — «è intessuta nella storia della nostra salvezza fin dall’inizio», quando «la caduta di Adamo ed Eva diventa per grazia di Dio la felix culpa che porta all’incarnazione», e «l’orribile morte di Nostro Signore sulla croce porta al trionfo di Cristo sulla morte. Quindi, anche se siete delusi dal risultato del Sinodo, la provvidenza di Dio è all’opera in questa Assemblea, portandoci al Regno in modi che solo Dio conosce. La sua volontà per il nostro bene non può essere frustrata».

Del resto, ha aggiunto il domenicano, «questo è solo un Sinodo. Ce ne saranno altri. Non dobbiamo fare tutto, ma solo cercare di fare il passo successivo». Come insegnava santa Teresa d’Avila: «“Siamo noi che abbiamo iniziato l’opera; spetta a coloro che seguiranno continuare a iniziare”. Come non lo sappiamo».

Anche il gesuita Henri de Lubac, poi cardinale nel 1983, che «subì persecuzioni prima del Concilio», nel mezzo di questa sofferenza scrisse la Meditazione sulla Chiesa, «un inno d’amore», nella quale esorta così la persona perseguitata: «Lungi dal perdere la pazienza, cercherà di mantenere la pace, e da parte sua farà un grande sforzo per fare quella cosa difficile: mantenere una mente più grande delle proprie idee». Coltiverà «quella sorta di libertà attraverso la quale trascendiamo ciò che ci coinvolge più spietatamente». Eviterà «la terribile autosufficienza che potrebbe portarlo a vedere se stesso come la norma incarnata dell’ortodossia», perché metterà «“l’indissolubile legame della pace cattolica” (citando San Cipriano) al di sopra di ogni cosa».

Dunque, «se abbiamo solo la libertà di argomentare le nostre posizioni, saremo tentati dall’arroganza» e «finiremo per battere i tamburi dell’ideologia, di destra o di sinistra». D’altro canto «se abbiamo solo la libertà di chi confida nella provvidenza di Dio, ma non osiamo entrare nel dibattito con le nostre convinzioni, saremo irresponsabili e non cresceremo mai». Invece, ha concluso Radcliffe, «la libertà di Dio lavora nel cuore della nostra libertà, sgorgando dentro di noi. Quanto più è veramente di Dio, tanto più è veramente nostra». E «come figli liberi di Dio, possiamo dire “Io” e insieme “Noi”».

di Roberto Paglialonga