Negli interventi di tre cardinali e del vescovo sotto-segretario

Sfide comuni
da affrontare insieme

 Sfide comuni da affrontare insieme  QUO-237
18 ottobre 2024

Dal Mediterraneo all’Africa, passando per l’America latina. Aree geograficamente lontane tra loro eppure accomunate da problematiche simili, così come da un’unità di intenti volta a risolverle emersa durante i lavori del Sinodo. È questo il filo conduttore che ha legato gli interventi e le successive domande poste agli ospiti dell’odierno briefing di aggiornamento sui lavori dell'Assemblea sinodale.

Il primo a prendere la parola è stato il cardinale francese Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia, che ha ricordato il suo ruolo di coordinamento del lavoro ecclesiale nella regione mediterranea su mandato di Papa Francesco.

Il porporato ha tracciato una linea temporale del suo impegno, preso nel 2020 con una quarantina di vescovi e proseguito attraverso altri incontri fino al settembre del 2023, quando il Pontefice «ha espresso il desiderio di portare avanti questo lavoro, coordinarlo e sostenerlo». Una direzione basata soprattutto sull’ascolto delle difficoltà delle diverse comunità ecclesiali. Il “Mare nostrum”, ha affermato Aveline, «non è tema di studio, ma una regione dove si vivono scenari drammatici: guerre, libertà non rispettate, corruzione» senza dimenticare i fenomeni migratori, per i quali sono state create apposite reti di sostegno. Tuttavia, ha proseguito l’arcivescovo di Marsiglia, le problematiche prese in considerazione riguardano anche questioni teologiche e relative ai santuari mariani, i quali «appaiono come delle oasi» dove affluiscono persone da svariate zone del continente europeo.

Gli incontri coinvolgono anche figure istituzionali, giovani studenti e persone professanti religioni diverse da quella cristiana. «Bisogna capire come la Chiesa può contribuire agli sforzi per la giustizia e per la pace in questa regione» ha evidenziato Aveline, evidenziando la sua proposta per un possibile Sinodo dedicato proprio al Mediterraneo.

È stato poi il turno del cardinale colombiano Luis José Rueda Aparicio, arcivescovo di Bogotá, che ha esposto l’esperienza di fede interna al suo Paese e a tutta l'America latina, «continente giovane» con «sofferenze e speranze». La Chiesa locale si pone alla ricerca di una «spiritualità sempre più vicina ai poveri». Una piaga esacerbata non soltanto dal fenomeno delle migrazioni verso la parte settentrionale del continente americano, ma anche delle questioni relative al narcotraffico. La Chiesa, in tale difficile contesto, «è riuscita ad unirsi e a trovare metodi per avvicinarsi alla realtà, cercando di vederla con gli occhi della fede e della speranza».

Il risultato, nella visione dell’arcivescovo di Bogotá, è una concreta «presenza del Regno» che punta ad espandersi, per arrivare a una «evangelizzazione integrale» conforme a tutto il continente.

Successivamente il cardinale sudsudanese Stephen Ameyu Martin Mulla, arcivescovo di Juba, ha toccato le difficoltà riscontrate dal suo Paese e dal “vicino” Sudan. Un popolo “povero”, che ha combattuto guerre alla ricerca di una libertà e che oggi si ritrova, tuttavia, ancora lontano dalla pace e preda di numerose «questioni irrisolte». La guerra in Sudan si affianca alle difficoltà del Paese d’origine del cardinale Mulla che, nonostante un processo di indipendenza che si pensava potesse «risolvere tutti i problemi», si ritrova ad averne in quantità ancora maggiore. Gli accordi di pace siglati in Sud Sudan non sono ancora stati interamente implementati; questione che una delegazione di alto livello aveva posto a Papa Francesco nello storico incontro del 2018. La situazione, in questi anni, non è tuttavia cambiata, neanche a seguito del viaggio del Pontefice nel Paese africano. «Per tale ragione», ha affermato l’arcivescovo di Juba, «pensiamo che il Sinodo ci possa aiutare ad avere un dialogo per risolvere le problematiche di tipo sociale e politico che viviamo». Un’altra delle piaghe che affliggono la nazione, ha ricordato Mulla, riguarda il riscaldamento globale. A tal proposito, è stata citata la città di Bentiu, oggi completamente allagata dalle inondazioni che hanno colpito il Sud Sudan. Nella sofferenza, tuttavia, la Chiesa locale cresce, con una nuova diocesi la cui creazione risale ad appena lo scorso luglio. In un contesto mondiale sempre più interconnesso, secondo l’arcivescovo di Juba, «nessuno è al sicuro», e l’avere a cuore» certe situazioni risulta una questione, e una necessità di carattere internazionale.

Per ultimo ha preso la parola il vescovo agostiniano Luis Marín de San Martín, sotto-segretario della Segreteria generale del Sinodo e membro della Commissione per l’informazione che, notando le sfide alle quali il mondo è chiamato a fare fronte, alla luce degli interventi precedenti al suo, ha spiegato come il Sinodo “risponda” a questi interrogativi, alimentando una Chiesa aperta, con un linguaggio comprensibile, capace di trattare temi rilevanti e di interesse. «Portare la risposta di Cristo ai drammi odierni» è il concetto alla base del messaggio del presule, che individua quattro pilastri fondamentali su cui la Chiesa deve poggiare: il suo essere Cristo-centrica, fraterna, inclusiva («e si sbagliano — ha aggiunto il vescovo — coloro che vedono», all’interno dell’Assemblea sinodale «delle lotte di potere. Questo non esiste») e infine dinamica. «Magari, potessimo condividere il nostro entusiasmo in un mondo pieno di drammi». I dialoghi all’interno del Sinodo, dal canto loro, si sono invece snodati attraverso alcune dicotomie: sinodalità ed ascolto dei segni dei tempi, unità e varietà, centro e periferie. L’invito finale del sottosegretario è stato di non lasciarsi sconfortare dal «pessimismo che a volte ci attanaglia».

Nel corso del briefing è stato poi riservato l’abituale spazio alle domande dei giornalisti. Riguardo la concretizzazione del concetto di «unità nella diversità», il cardinale Rueda Aparicio ha notato come esso sia già riscontrabile in uno «stile del Sinodo» diverso e innovativo, dove le madri sinodali rappresentano l’indice più visibile di «novità e sviluppo». Riguardo al fornire risposte a chi, dal Sinodo pretende risposte immediate, monsignor Marín de San Martín ha tracciato un parallelo con la stessa fede cristiana: «è un’esperienza di Cristo. Se non la viviamo, non potremo mai» viverla a fondo. Tuttavia, e qui, nella visione del presule agostiniano risiede il “clic”, il “cambiamento”, è necessario che l’intero processo sinodale non rimanga astratto ma, al contrario, si «cali nella realtà». In tal senso, rimangono importanti e centrali le parrocchie: «le prime comunità».

I presenti sono stati interrogati anche sulle discussioni relative al ruolo e all’autorità dei vescovi. «Se ne è parlato molto» ha ammesso il cardinale colombiano notando il pensiero di san Giovanni xxiii per il quale il deposito della fede rimane «sempre lo stesso». Tuttavia, ha chiarito l’arcivescovo di Bogotá, «esso deve essere adeguato ad ogni situazione». Il porporato ha poi toccato nuovamente il tema delle difficoltà riscontrate nel suo Paese, tra le quali una «polarizzazione tossica», capace di fare diventare comunità tra loro affini, “nemiche” le une delle altre.

Il cardinale Aveline ha poi dato qualche spunto relativo alla stesura del Documento finale del Sinodo. La sua «commissione di sintesi» ha, ad esempio, «l’obiettivo di verificare che ciò che viene proposto come testo da votare non si allontani troppo dalle opinioni espresse in queste settimane di lavoro». Infine, in relazione alla questione della poligamia, un giornalista ha fatto riferimento alla visita odierna del Re di eSwatini «con una delle sue mogli» a Papa Francesco: il cardinale Mulla ha ricordato, come al pari di altre fonti di discussione essa riguardi principalmente l’Africa, ma vada affrontata in maniera “olistica”. 

di Roberto Paglialonga
e Edoardo Giribaldi