Da trenta anni ogni mattina faccio la stessa strada per andare a lavorare, e ogni mattina mi ritrovo nel traffico caotico della città, procedendo a passo d’uomo, io chiuso in macchina, stretto stretto tra mille altre auto. Lo sguardo pigro sulla strada inevitabilmente va verso gli altri che con me condividono il traffico metropolitano. E allora penso, che come me tutte queste persone iniziano la loro giornata che, come la mia, sarà fatta di tante cose. Certo, il lavoro, ma anche la famiglia, le amicizie, e poi le passioni, gli interessi privati.
Di sicuro qualcuno si dedica allo sport, a qualcun altro piace leggere, o perché no, dedicarsi al giardinaggio. Chi lo sa. Ma insomma, sono vite anche le loro, ricche, complicate, sofferenti, gioiose, eccetera eccetera. Come tutte le nostre vite, piccole piccole, quasi invisibili nel caos della tangenziale. Allora, c’è quello che ascolta il giornale radio (lo sguardo sempre un poco triste), quella che si aggiusta il rossetto, il ragazzo che canta spensierato, l’altra che parla al telefono concitata, una coppia che discute (forse dei figli, del mutuo?).
Più li guardo e meno mi sento solo. Perché mi accorgo di essere magnificamente immerso in questa moltitudine di vite, che giorno dopo giorno tessono la trama dell’esistenza.
Sì, lo so che ci sono anche persone che si elevano “dalla massa”. Grandi condottieri, scienziati, santi, artisti. Tutte persone che hanno lasciato una traccia ben visibile nel corpo della Storia, quella con la “S” maiuscola, per intenderci. E infatti, a queste persone sono intitolate strade, piazze, viali, ponti. Perché è giusto ricordarle e celebrarle. E del resto, io, tutti noi, siamo grati a queste persone.
Ma ecco, credo che quello che hanno fatto, le loro grandi gesta, sono tali, proprio perché potevano contare di poggiare sulle spalle di questa massa anonima di piccole vite. Vite semplici, fatte di gesti ordinari, senza clamore e senza ribalta. Ma vite che hanno sorretto le grandi imprese della storia, vite che intrecciate l’un l’altra, senza neanche saperlo, tessono la trama dei giorni, degli anni, dei secoli. Sono le tessere del mosaico che studiamo sui libri di Storia.
Penso allora che varrebbe proprio la pena, intitolare una strada, magari un vicoletto di periferia, alle persone comuni, anonime nel mucchio. O se proprio non fosse possibile, varrebbe almeno la pena dedicargli una poesia. Ci ha pensato Nino Pedretti, in questo testo che intitola proprio I nomi delle strade: «Le strade sono / tutte di Mazzini, di Garibaldi, / son dei papi, / di quelli che scrivono, / che danno degli ordini, che fanno la guerra. // E mai che ti capiti di vedere / via di uno che faceva i berretti / via di uno che stava sotto un ciliegio / via di uno che non ha fatto niente / perché andava a spasso / sopra una cavalla. // E pensare che il mondo / è fatto di gente come me / che mangia il radicchio / alla finestra / contenta di stare, d’estate, / a piedi nudi».
di Nicola Bultrini