La Cina
«L’insegnamento diplomatico di Matteo Ricci» è stato il tema al centro della conferenza svoltasi mercoledì 16 ottobre a Roma, a Palazzo San Calisto. L’incontro, organizzato dall’Associazione internazionale carità politica, ha visto la presenza come relatori di Chloé Silvia Tilman Dindo, ambasciatore di Timor Orientale presso la Santa Sede, di Sima Avramović, ambasciatore di Serbia presso la Santa Sede, e del reverendo presidente della Fondazione vaticana «Joseph Ratzinger-Benedetto xvi », già direttore della Sala stampa della Santa Sede, del quale pubblichiamo il discorso da lui pronunciato.
Matteo Ricci (1552-1610) è il primo missionario gesuita che entra nell’Impero cinese, e dopo diverse tappe di un lungo itinerario che inizia dalla base portoghese di Macao, al sud, giunge fino alla capitale Pechino, al nord, ponendo fondamenta durevoli per la presenza cristiana in Cina. Prima di lui vi erano state delle presenze cristiane in Cina: cristiani giunti dal Medio Oriente lungo la via della seta nei secoli vii - viii , poi inviati pontifici domenicani e soprattutto francescani, inviati dai papi nel xiii secolo per stabilire contatti con gli imperatori mongoli, dopo che i mongoli erano giunti fino all’Europa. Ma queste presenze non si erano radicate in Cina ed erano scomparse.
Nel ’500 nasce la Compagnia di Gesù, animata da un forte spirito missionario, che si accompagna ai viaggi dei navigatori europei, portoghesi e spagnoli in particolare, verso gli altri continenti. San Francesco Saverio è il primo missionario gesuita in Oriente. Dopo essersi spinto in India, nelle Molucche e in Giappone, capisce che il paese più importante di quella parte del mondo è la Cina e desidera entrarvi per annunciarvi il Vangelo, ma muore alle sue soglie, senza potervi approdare. I gesuiti continuano a coltivare il suo progetto e riescono a realizzarlo trent’anni dopo, grazie alla lungimirante strategia apostolica del padre Valignano, messa in pratica da due giovani missionari italiani, Ruggieri e Ricci. Il primo rientrerà in Italia ma il secondo riuscirà ad arrivare fino a Pechino nel 1601. Essi si preparano bene, con pazienza, a Macao, studiando la lingua e i costumi cinesi. Questo impegno di conoscere la cultura cinese e cercare di “adattarsi” a essa, di entrarvi “soavemente-dolcemente” e non con un atteggiamento di superiorità, rigido e in certo senso violento, sarà caratteristico del metodo missionario dei gesuiti, di cui Ricci è un modello eminente.
L’impegno di Ricci continuerà anche dopo l’ingresso in Cina, con lo studio dei testi classici della cultura cinese, considerati la base della vita sociale e morale cinese, e anche con l’uso degli abiti caratteristici dei letterati, delle visite di cortesia e delle regole di comportamento e cerimoniali della classe colta cinese. Oggi parliamo volentieri di “inculturazione” per indicare questa linea di condotta. Sarà un lungo cammino che permetterà a Ricci di essere accettato e apprezzato dalla società cinese del suo tempo. E sarà sempre un cammino animato da un profondo rispetto per i suoi interlocutori cinesi, un ascolto attento delle loro domande e delle loro considerazioni, in vero spirito di amicizia. L’amicizia è infatti il titolo e l’argomento della prima opera scritta e pubblicata da Ricci in cinese: un’opera di per sé di piccole dimensioni — una raccolta di un centinaio di sentenze di autori classici occidentali sull’amicizia — ma che avrà grande successo e sarà il segno della possibilità dell’incontro della saggezza occidentale con quella confuciana.
In questo spirito Matteo Ricci svilupperà fino alla morte un dialogo fecondo con gli amici cinesi, nel campo della scienza, della morale e — ciò che era il fine più profondo della sua missione — anche della religione, di Dio e della salvezza. La solida e ampia cultura scientifica, umanistica e filosofico-teologica, acquisita da Ricci negli anni della sua formazione al Collegio Romano, sarà la base preziosa per questo vero incontro fra antiche culture e civiltà, in cui le due parti si arricchiscono reciprocamente e concorrono insieme alla crescita del popolo cinese, oggi diremmo al suo “sviluppo integrale”. Matteo Ricci, fin dai primi anni del suo ingresso in Cina, aveva stupito i cinesi presentando loro il mappamondo, cioè una carta con i diversi continenti a loro sconosciuti. Così li aiutò a superare il limite del sinocentrismo e a comprendersi parte di una più larga famiglia umana, con cui potevano fruttuosamente incontrarsi dialogando sulla base comune della ragione umana, in uno spirito di amicizia. Ricci, guidato dalla sua fede in un Dio, padre di tutti gli uomini, che li ama e desidera il loro bene e la loro salvezza, ha così contribuito in modo prezioso alla possibilità di rapporti fra i popoli nel rispetto reciproco e nella pace.
Anche oggi perciò i cinesi ricordano e ammirano Matteo Ricci come autore e modello di relazioni di rispetto e amicizia fecondi fra Oriente e Occidente, e noi possiamo aggiungere fra il cristianesimo e la Cina.
di Federico Lombardi