L’ex premier israeliano Olmert e l’ex ministro degli Esteri palestinese Al-Kidva ricevuti dal Papa

Dialoghi possibili

 Dialoghi possibili  QUO-236
17 ottobre 2024

«È stato un incontro importante ed emozionante. Il Santo Padre ha mostrato un interesse straordinario agli sforzi di pacificazione in Medio Oriente». Ehud Olmert, 78 anni, ex primo ministro dello Stato di Israele ha incontrato stamattina Papa Francesco, insieme all’ ex ministro degli Esteri dello stato Palestinese Nasser Al-Kidva, e ad una delegazione di attivisti per la pace. Olmert, che è stato primo ministro fino al 2009, ha un passato importante nelle negoziazioni per la pace in Medio Oriente: sotto il suo governo è stato siglato il cessate il fuoco nella guerra in Libano del 2006, e a lui si deve l’ultimo vero tentativo di accordo per la creazione dei due stati con il presidente palestinese Mohamud Abbas, come sviluppo degli accordi di Oslo del 1993, accordo poi non raggiunto. «Papa Francesco ci ha dedicato un’attenzione straordinaria per più di mezz’ora, spiegandoci che segue quotidianamente ogni evoluzione del conflitto e che ogni giorno si collega con i cristiani di Gaza».

«Al Santo Padre abbiamo presentato una nostra proposta di pace per Gaza che prevede un cessate il fuoco immediato, il rilascio degli ostaggi israeliani ancora prigionieri di Hamas unitamente al contestuale rilascio di un numero concordato di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, la ripresa di trattative per la costituzione di due stati separati e in pace tra loro», spiega l’ex ministro palestinese Al-Kidva, che è noto in Palestina, oltre che per le sue posizioni a favore della pace, anche per essere il nipote del leader storico dell’Olp, Yasser Arafat.

Signor Olmert come possono crearsi due stati oggi con la presenza di sempre più estesi insediamenti illegali dei coloni israeliani?

Noi ipotizziamo un’annessione da parte di Israele di una porzione di territorio da concordare pari al 4% della Cisgiordania di Palestina, in cambio di un territorio di pari dimensioni oggi nei confini di Israele. Un territorio da dare ai palestinesi che consenta un corridoio di collegamento tra la Cisgiordania e Gaza.

Signor Al-Kidva quale soluzione per Gaza?

Israele deve ritirare completamente i suoi militari da Gaza e consentire la creazione di un’entità palestinese che la amministri. Pensiamo, come soluzione temporanea e provvisoria, ad un Consiglio di commissari composto da tecnocrati e professionisti di valore riconosciuto e non da rappresentanti politici. Questo consiglio dovrebbe essere collegato al Consiglio dei ministri dell’Autorità palestinese, che dovrebbe preparare finalmente le elezioni generali nei territori palestinesi entro 24/36 mesi.

Signor Olmert questo esercizio di buona volontà di entrambe le parti sarebbe, a suo avviso, sufficiente a garantire un’immediata pacificazione?

No. Noi pensiamo anche alla necessità che sia dispiegata a Gaza una “Temporary Arab Security Presence” (Tasp), che contestualmente al ritiro delle forze di difesa israeliane (Idf) possa stabilizzare la situazione. Questa forza araba di interposizione dovrebbe essere in collegamento con le forze di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), e ricevere indicazioni dal Consiglio dei Commissari. Il suo principale compito dovrebbe essere quello di prevenire ulteriori possibili attacchi ad Israele provenienti da Gaza.

Signor Al-Kidva come potrebbe la soluzione dei due stati garantire un assetto futuro pacifico?

Attraverso l’obbligo per lo Stato di Palestina di essere uno stato non militarizzato, tranne che per le sue esigenze di polizia interna.

Rimarrebbe signor Olmert aperto il problema centrale: lo status di Gerusalemme.

Questo è il punto su cui Papa Francesco nel nostro incontro di oggi si è mostrato più interessato. Noi pensiamo ad uno statuto speciale per Gerusalemme, che dovrebbe essere gestita da un’amministrazione fiduciaria di cinque stati (tra i quali ovviamente Israele e Palestina) che abbia piena autorità su ogni parte della città, secondo le regole più volte indicate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, e con un ruolo speciale attribuito al Regno di Giordania, com’è già oggi per la Spianata delle Moschee. In ogni caso pensiamo che la Old City dovrebbe essere fuori di ogni controllo politico e dedicata alle tre religioni monoteiste che la considerano luogo santo di preghiera.

E come la si mette con le pretese di entrambe le parti di avere Gerusalemme capitale del proprio stato?

Olmert: Gerusalemme può essere la capitale di Israele nelle parti che erano già Israele prima del 5 giugno 1967, oltre a quei quartieri ebraici costruiti dopo il ’67, che rientrerebbero in quel 4,4% di cui parlavo sopra.

Al-Kidva: e Al Quds, capitale della Palestina, includerà tutti i quartieri arabi che non facevano parte di Israele prima della guerra del ’67.

Un’ultima domanda signor Olmert. Questo piano così ben articolato rischia di rimanere un wishful thinking. È in contrasto totale con gli intendimenti del corrente governo israeliano.

Chi mi conosce sa cosa penso del governo guidato da Netanyahu, e subordinato al fanatismo estremista di Ben Gvir e Smotrich. Ma mi conforta il fatto che il 70% degli israeliani è stanco di questa coalizione, dei danni enormi che ha procurato ad Israele, e continua a provocare. Israele è una forte democrazia, e saprà democraticamente superare questo governo.

Con quali alternative?

La società civile che manifesta massicciamente contro Netanyahu da due anni saprà esprimere nuove leadership che oggi neanche immaginiamo. Perché, le ripeto, Israele è un paese democraticamente vivo e solido.

di Roberto Cetera