A colloquio con l’ex presidente della Commissione europea Romano Prodi

«L’assalto alle forze
di pace Onu è simbolo della mancanza di diplomazia»

 «L’assalto alle forze di pace Onu  è simbolo  della mancanza di diplomazia»  QUO-234
15 ottobre 2024

«L’assalto al presidio Onu mi ha preoccupato perché è il simbolo più palese della mancanza di diplomazia»: così Romano Prodi, già presidente del Consiglio italiano e della Commissione europea, ha commentato ai media vaticani le parole di Papa Francesco, al termine dell’Angelus di domenica 13 ottobre, che ha chiesto: «Siano rispettate le forze di pace delle Nazioni Unite».

Presidente, come ha accolto l’appello del Papa dell’Angelus di domenica?

Lo accolgo con speranza perché è la parola unica che si può avere. La situazione infatti è molto molto pesante. Ci sono avvenimenti che mai avevamo potuto vedere nella nostra storia. Sparare contro le truppe dell’Onu è qualcosa di diverso dal solito. Cosa si vuole, far la guerra al mondo? O noi ci identifichiamo con l’Onu, oppure quel poco di ordine, che è ancora poco, va nel nulla. Inoltre, ho anche un problema personale, nel senso che la organizzazione più forte di questa missione l’ho proprio curata con il mio governo, con il segretario dell’Onu e con grande soddisfazione della ministra degli Esteri israeliana, con cui mi ricordo abbiamo fatto un “patto di ferro”, così era chiamato. Perché erano d’accordo il governo israeliano, il governo libanese. Queste cose non possono essere spezzare senza fare un grave danno al mondo.

In questi anni, cosa ha fatto degenerare a tal punto la situazione?

Il mondo che si è sempre più diviso. Speravamo, dopo la caduta del muro (di Berlino, ndr.), ci fosse un momento di unità, di cooperazione. E c’è stato. Poi, via via, le tensioni sono aumentate e il mondo oggi è sempre più diviso in due blocchi: west (ovest) contro rest (il resto del mondo), si dice. Questo è proprio ciò che non deve avvenire. Non c’è nessun interesse del west ed è un dramma per il resto del mondo. Però dobbiamo aspettare le elezioni americane, di questa incertezza americana Nethanyahu si sta ovviamente approfittando ed io ho paura che per un po’ di tempo non si possa parlare di pace.

Secondo lei, qual è la strategia, se ce n’è una chiara, che sta inseguendo il premier israeliano?

Conquistare tutto il territorio, sostanzialmente un’azione di espulsione di tutta la presenza palestinese. Mettere la comunità internazionale di fronte a uno stato di fatto. Del resto, già oggi, oltre Gerusalemme, nella Palestina abbiamo 500 mila coloni. Quindi, è già compiuta, ecco.

Hezbollah, l’Iran, Hamas sono intenzionati a contrastare questa azione...

In questo momento non hanno la forza di fare nulla. Sul campo, in realtà, la forza di Israele è preponderante. Vedremo come si evolveranno i rapporti internazionali, ma certamente vi è una superiorità militare da tutti riconosciuta, è un dato di fatto. Poi c’è un altro problema: quella meravigliosa frase del Papa «la guerra mondiale a pezzi» purtroppo è proprio vera. Noi abbiamo l’attenzione sul conflitto arabo-israeliano ma tutto il Medio Oriente è in subbuglio. Pensiamo a cosa sta succedendo nel Sudan, nel Mar Rosso... Tutto si aggiunge con i Paesi che ora si accostano all’una o all’altra parte con una instabilità impressionante. E certo, ci vorrebbe la Conferenza internazionale in questi casi, ma non sono così ingenuo da pensare che possa avvenire in un tempo fattibile, in un tempo rapido. Mi auguro che almeno dopo le elezioni americane ci sia un dialogo tra Cina e Stati Uniti che in qualche modo calmi le acque.

Infatti il Papa ha ricordato ancora una volta il Sudan, il Myanmar, Haiti, l’Ucraina…

E certo, il Myanmar e Haiti sono fuori da questa zona con un ulteriore dramma, drammi tuttavia “isolati”. Tutti i Paesi che abbiamo elencato sono tessere di un unico mosaico.

Ma perché la diplomazia sembra incagliata?

Non sembra, è incagliata. Non c’è neanche per l’Ucraina, è una situazione incredibile. L’assalto al presidio Onu mi ha preoccupato perché è il simbolo più palese della mancanza di diplomazia.

Si tratta di una deficienza della diplomazia stessa oppure di una presunzione di superiorità che va avanti contro tutto e tutti?

È il periodo della forza. E la diplomazia è messa in un angolo. È chiaro, l’indebolimento dell’Onu non è un fatto di oggi, è una cosa lunga e progressiva. Le grandi potenze l’hanno sostituita, il Consiglio di Sicurezza ha reso l’Assemblea dell’Onu emarginata. Però è simbolico questo ulteriore passo perché mai si era andati con le armi contro chi rappresenta la più elevata diplomazia del mondo, l’Onu.

Lei ha sempre valorizzato il ruolo di un Mediterraneo di pace. È sconfortato?

Sì, recentemente ho fatto la proposta di università miste, paritarie tra il Nord e il Sud del Mediterraneo per ricreare almeno quei rapporti che erano migliori sotto gli ultimi anni dell’Impero Ottomano che non oggi. Siamo arrivati a questo assurdo. Però tutto è faticoso, non c’è lo slancio dell’Unione europea per pensare al futuro del Mediterraneo, a costruire luoghi comuni in cui i giovani crescano. Perché la politica di oggi pensa solo al breve periodo. Per fare queste cose ci vogliono anni. La democrazia è in crisi, davvero. È in crisi il pensiero lungo, è obbligata, la democrazia — mi dispiace usare questo termine — a pensare solo alle prossime elezioni.

di Antonella Palermo