Gli interventi di due vescovi, uno rwandese e uno lettone, e di una suora latinoamericana

Imparare ad essere
fratelli e sorelle

 Imparare ad essere fratelli e sorelle   QUO-233
14 ottobre 2024

«Trent’anni sono tanti, ma in realtà sembra che sia successo ieri. Le conseguenze sono molte e come Chiesa cerchiamo di guarire le persone, che siano vittime o aguzzini. Stiamo imparando a essere fratelli e sorelle». Il genocidio del Rwanda non è ancora cicatrice, ma ferita aperta, nelle parole di monsignor Edouard Sinayobye, vescovo di Cyangugu.

Intervenendo oggi, 14 ottobre, al briefing nella Sala stampa della Santa Sede, il presule ha raccontato come la Chiesa stia accompagnando il faticoso tentativo di rinascita, e cosa significhi l’esperienza sinodale per il Paese africano. «Come i discepoli erano un unico cuore intorno a Pietro e Maria, noi stiamo vivendo una assise sinodale intorno a Papa Francesco, che è segno e carisma dell’unità della Chiesa» ha spiegato in francese il presule; ed è «in questo processo sinodale che si colloca il percorso di riconciliazione e unità». Quando come Conferenza episcopale ha avuto luogo il primo avvicinamento al Sinodo, il processo «è stato accolto come un kairòs», perché «la comunione è un concetto eloquente per il cuore del Rwanda»: il Sinodo viene vissuto come «un insegnamento che dà i fondamenti biblici, teologici per capire che siamo una sola cosa. Parlare di fraternità aiuta a capire che siamo fratelli e sorelle». Quello sinodale diventa così uno «stile di vita spirituale» che ricorda il modus vivendi e operandi della Chiesa. Nella fase di ascolto, ha ricordato, «in ogni diocesi abbiamo incontrato tutti, dalle comunità ecclesiali di base ai bambini, passando per i consacrati e le persone ai margini, detenuti, prostitute, disabili» e avviato formazione di pratica missionaria che riguarda tutti, specie i laici: il Sinodo aiuta così a rafforzare la pastorale, che è il punto di partenza per ricucire il tessuto umano e sociale lacerato dal genocidio.

Su formazione, discernimento, partecipazione e rendicontazione, i quattro temi dei Percorsi — la parte dell’Instrumentum laboris in questi giorni al centro dei lavori — si è soffermata suor Gloria Liliana Franco Echeverri, che ha partecipato anche al Sinodo sull’Amazzonia ed è presidente della Confederazione Latino-Americana dei Religiosi.

Abbiamo riconosciuto, ha riassunto la teologa, che la formazione «ha senso solo se la facciamo come testimoni, se è integrale e parte da una base antropologica, inclusiva e attenta alla realtà»; il discernimento è «la chiave per rispondere a livello territoriale; ci offre la possibilità di capire cosa chiede lo Spirito» dal momento che «la realtà della Chiesa è variegata, vive momenti e priorità diverse». Ancora, ha proseguito, nelle discussioni è emersa l’importanza delle strutture partecipative, insieme al valore della trasparenza «come cultura più che come mezzo», in grado di «permeare le modalità identitarie della Chiesa».

Sull’obiettivo finale — «la missione» — ha insistito l’arcivescovo di Riga, monsignor Zbignevs Stankevičs: se il Sinodo «mira a liberare i doni e i carismi di ogni battezzato», vescovi, parroci e leader dei vari gruppi operano secondo una «corresponsabilità» da intendersi in senso spirituale.

Riferendo anche la propria esperienza di presule in Lettonia, specialmente la condivisione delle buone pratiche pastorali come fonte di ispirazione, il presule ha citato la fioritura delle scuole di evangelizzazione e di iniziative che accendono il fuoco dell’evangelizzazione. Infine, ha parlato di «Divine renovation», esperienza per «rivitalizzare le parrocchie» nata in Canada, dove in una comunità che stava per svanire sono «fioriti» 80 ministeri e 800 volontari impegnati. «Credo — ha concluso — che occorra guardare dove agisce lo Spirito e imparare, condividere. Anche dopo il Sinodo». Nello spazio dedicato alle domande dei giornalisti, suor Gloria Liliana ha evidenziato che questo Sinodo, articolato in due anni, quello del 2018, sui giovani quello sull’Amazzonia nel 2019, hanno fatto emergere l’importanza dell’ascolto come processo di umanizzazione. Per la religiosa le esperienze sinodali vissute come laboratori, stanno permettendo di cambiare il modo di ascoltare l’altro, perché c’è tanto da imparare nella società, ascoltare dà possibilità di avvicinarsi in modo più rispettoso alla volontà di Dio.

Sul diaconato femminile monsignor Sinayobye ha anzitutto spiegato che in Africa non c’è il diaconato permanente, ma solo quello per giungere al sacerdozio. Quanto alla possibilità di donne diacono, il vescovo rwandese ha detto che si tratta di una questione che si sta studiando molto seriamente, tenendo conto del magistero della Chiesa. Sul tema degli abusi sulle religiose, è stato domandato se da questo Sinodo potrebbe emergere una consapevolezza maggiore riguardo la problematica. Sheila Pires ha specificato che si sta analizzando la questione e valutando se inserirla nel documento finale, mentre suor Franco Echeverri si è soffermata sulla necessità di una cultura della cura, specificando che si sta lavorando seriamente sulle relazioni all’interno della Chiesa, con una revisione di quegli atteggiamenti che non sono coerenti con lo stile di Gesù. Monsignor Stankevičs dal canto suo ha rimarcato che la problematica degli abusi sulle religiose riguarda questo sinodo, perché è un ostacolo per la missione della Chiesa: ferisce le persone, dunque occorre affrontarla.