«Il cammino sinodale è ecumenico. E il cammino ecumenico non può che essere sinodale». Un legame strettissimo, un binomio inscindibile sintetizzato così dal cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’unità dei cristiani, intervenuto oggi, 10 ottobre, nel briefing tenutosi nella Sala stampa della Santa Sede.
Definendo la dimensione ecumenica come «uno degli aspetti più rilevanti di questo Sinodo», il porporato ha chiarito come fondamentale, nella componente sia sinodale sia ecumenica, «lo scambio di doni, in cui si impara gli uni dagli altri, nella convinzione che nessuna Chiesa sia così ricca da non aver bisogno del contributo di altre Chiese e nessuna così povera da non potere offrire nulla».
Il prefetto ha colto l’occasione per evidenziare come la presenza di delegati fraterni sia più significativa in questa sessione rispetto alla precedente e ha assicurato la loro partecipazione alla veglia ecumenica promossa per domani, 11 ottobre, in collaborazione con Taizé. A ispirare la preghiera che animerà l’incontro – ha riferito – due testi conciliari dei quali ricorre il 60° anniversario: la costituzione dogmatica Lumen gentium e il Decreto sull’ecumensimo Unitatis redentegratio . Il luogo scelto per l’appuntamento che richiama i rappresentanti delle varie confessioni cristiane — piazza dei Protomartiri Romani — non è casuale: «Qui la tradizione colloca il martirio di Pietro. Per ricordarci — ha concluso Koch — che la santità è la via più sicura per l’unità».
Ha poi preso la parola, in francese, il primo dei tre delegati fraterni presenti alla conferenza: Sua Eminenza Job, metropolita di Pisidia e copresidente della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Su questioni quali il primato, la sinodalità, i ministeri e la conciliarità, quello tra ortodossi e cattolici — ha dichiarato — «è un dialogo bilaterale cha va avanti da 20 anni con profitto, non solo per avvicinarci e riconciliarci ma perché può dare frutti nella vita interna di ciascuna Chiesa».
A tale proposito, il metropolita ha segnalato il recente documento del Dicastero per la Promozione dell’unità dei cristiani, “Il vescovo di Roma”: a colpirlo nella pubblicazione, ha rivelato, «la convergenza di tutti questi dialoghi. Vuol dire che non si cerca solo qualche “compromesso” tra Chiesa ma si pongono le basi per una vita comune, di unità cristiana».
Sul valore dell’esperienza relazionale, che è la differenza principale rispetto ai sinodi della Chiesa inglese, si è soffermato Sua Eccellenza Martin Warner, vescovo di Chichester e copresidente del “English-Welsh Anglican-Roman Catholic Committee”.
Da quando l’allora primate anglicano, Michael Ramsey, ricevette da Paolo vi l’anello episcopale, ha rimarcato, «possiamo guardarci reciprocamente, riconoscere le differenze ma anche l’importanza dello scambio di doni per crescere nelle rispettive esperienze». Diversamente dalle sessioni sinodali anglicane, quelle cattoliche sono caratterizzate dalla preghiera e dal silenzio, e soprattutto «non sono legislative»: questo, secondo il vescovo Warner, garantisce «uno spazio protetto, dove aprire i cuori gli uni agli altri, nella conversazione dello Spirito, per guardare in modo creativo e coraggioso alle sfide di questo secolo».
Infine, la reverenda Anne-Cathy Graber, pastore della Conferenza Mennonita Mondiale e segretario per le relazioni ecumeniche, per la prima volta al Sinodo, si dice «sorpresa per l’invito», dal momento che appartiene a una chiesa «poco nota», nata dalla riforma del xvi secolo e caratterizzata dal battesimo dei credenti e dalla non violenza attiva. «La Chiesa cattolica — ha riflettuto — non ha bisogno della nostra voce, che è molto minoritaria, ma proprio questo dice molto della sinodalità, dimostra che ogni voce conta, ogni voce è importante». Per il pastore Graber «l’unità dei cristiani non è solo la promessa del domani, è qui e ora, la possiamo già vedere. Non siamo solo vicini ma apparteniamo allo stesso corpo di Cristo, siamo membri gli uni degli altri, come diceva san Paolo». Anche se privi di diritto di voto come delegati fraterni, «la nostra voce e presenza sono state accolte come quelle di tutti gli altri. La pari dignità del battesimo è visibile. Non c’è una Chiesa potente che domina dall’alto. Siamo, tutti, un popolo che insieme cammina e cerca».
La sessione relativa alle domande ha toccato in particolare i temi dei rapporti all’interno del dialogo ecumenico e tra primato del Vescovo di Roma e sinodalità.
Quanto si sta facendo, ha spiegato il cardinale Koch, «dimostra che non vi è una crisi dell’ecumenismo, ma diverse sfide che esso affronta». È vero, ha proseguito stimolato dalla stampa, che «si vive una situazione triste, provocata anche dalle parole del patriarca di Mosca e capo della Chiesa ortodossa russa Kirill, che ha causato rottura con Costantinopoli, ma occorre distinguere queste posizioni dal cammino in corso». Infatti, ha ricordato ancora, «c’è una commissione mista, cui partecipano 15 Chiese ortodosse, che prosegue il lavoro: ciò vuol dire che il dialogo continua nella speranza di creare un futuro migliore, anche con la speranza di preparare insieme una assemblea plenaria».
Un’assicurazione sottolineata anche dal metropolita Job del Patriarcato ecumenico: «La Chiesa di Cristo rimane in campo, nonostante le posizioni politiche espresse da Kirill, perché il dialogo teologico va avanti per porre basi solide» ha dichiarato. «Quello in corso è un movimento, non c’è alcuna pausa nel nostro cammino» ha aggiunto Koch: «Il movimento ecumenico si realizza, appunto, camminando insieme, pregando insieme, collaborando insieme. Gesù stesso — ha concluso — non ordina l’unità dei cristiani, ma prega per essa: cosa possiamo dunque fare noi di meglio, se non pregare che possa realizzarsi come dono dello Spirito Santo?».
Forse «quello che ci si aspetta — ha aggiunto la reverenda Graber — sono «piccoli gesti simbolici di riconciliazione, che ancora mancano».
Sul rapporto tra primato petrino e sinodalità, dal cardinale Koch è stata sottolineata l’importanza del “Documento di Ravenna” e del nuovo Documento “Il Vescovo di Roma”, del Dpuc, che ripercorre il cammino dall’enciclica Ut unum sint di Giovanni Paolo ii . «Possiamo affermare che sinodalità e primato non sono in contrapposizione, anzi: l’uno non esiste senza l’altra e viceversa» ha detto Koch, aggiungendo che «il primato non è un’opposizione, ma un’opportunità su cui discutere e trovare un punto d’incontro».
Quanto, invece, alla questione dell’ospitalità dei sacramenti, è stato ricordato che il Papa ha istituito un apposito gruppo di lavoro, e che «ancora non c’è uno stesso livello di visione della Chiesa e dei sacramenti nel dialogo tra le Chiese d’occidente». Si spera, ha detto Job, «di poter arrivare a definire un’unica data per la Pasqua tra cristiani e ortodossi, ma al momento questo è solo un augurio».
Relativamente ai cosiddetti ministeri femminili, invece, il cardinale Koch ha evidenziato «la delicatezza del tema, su cui il Papa ha istituito 10 gruppi di lavoro, ma su cui anche il Dicastero per la dottrina della fede sta lavorando da tempo: due Commissioni di studio non sono arrivate a una conclusione univoca, segno che c’è bisogno di ulteriore approfondimento. È importante perciò, qui, coniugare la passione delle domande in tal senso con la pazienza dello studio», ha concluso.
di Roberto Paglialonga
e Lorena Leonardi