Gli interventi degli arcivescovi di Abidjan, Tokyo e Porto Alegre nella Sala stampa della Santa Sede

Iniziazione cristiana e formazione nella fede al cuore della comunità

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08 ottobre 2024

L’iniziazione cristiana e la formazione nella fede devono coinvolgere tutta la comunità, in virtù del sacramento battesimale che unisce i fedeli: perché, in definitiva, «non può esserci iniziazione cristiana senza comunità». Riprendendo uno degli argomenti principali dei lavori della Seconda sessione della xvi Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, il cardinale eletto Ignace Bessi Dogbo, arcivescovo di Abidjan in Costa d’Avorio, nel corso del briefing odierno nella Sala stampa della Santa Sede, ha voluto mettere l’accento proprio sul sacramento del battesimo. «Grazie a esso siamo conformati a Cristo e possiamo tutti riconoscerci come figli di Dio e fratelli in Cristo». E questo «consente a ciascuno di noi, a nostra volta, di vedere e ritrovare nel prossimo la persona e il volto di Gesù».

Facendo poi un parallelismo tra quanto avviene nella Chiesa universale e, in queste settimane, all’interno dell’assemblea sinodale, Bessi Dogbo ha sottolineato l’importanza dell’ascolto reciproco e delle relazioni che si stanno vivendo nell’Aula Paolo vi , «in un clima straordinario» di comunione e condivisione: «Siamo consapevoli che non stiamo cambiando materialmente la Chiesa, ma siamo in un processo che porterà a modificare il modo di vivere la Chiesa nel prossimo futuro». E la capacità di ascoltare — ha quindi concluso — viene proprio dal riconoscimento reciproco, che «consente a ciascuno di avere il proprio posto nella vita della comunità ecclesiale».

Dell’ascolto ha parlato anche Tarcisio Isao Kikuchi, arcivescovo di Tokyo e pure lui cardinale eletto, che si è soffermato in particolare sull’esperienza vissuta in Giappone. «Tra le due Sessioni sinodali, nel mio Paese, abbiamo gettato le basi di una vera sinodalità» ha detto: si è tenuta «una congregazione nazionale con la partecipazione di tutte le 15 diocesi, i presbiteri, i laici, i volontari, i ministri coinvolti nelle differenti attività, nel corso della quale si è andata via via rafforzando la nostra conversazione nello Spirito, che stiamo praticando anche qui in Vaticano, in questi giorni di lavori al Sinodo». L’obiettivo condiviso, ha chiosato l’arcivescovo Kikuchi, che da maggio 2023 è anche presidente di Caritas Internationalis, è quello di «cercare, trovare e costruire una base comune nel solco della sinodalità».

Della sorpresa per l’elezione al cardinalato, ha parlato monsignor Jaime Spengler, arcivescovo di Porto Alegre in Brasile, stimolato da una domanda della moderatrice del briefing Cristiane Murray, vice direttore della Sala stampa, sua connazionale. «Stavo finendo di leggere un bellissimo libro di Carlo Maria Martini, intitolato Sequela Christi, quando il mio telefono ha iniziato a squillare e vibrare. Leggevo moltissimi messaggi di auguri e congratulazioni via WhatsApp, ma non ne sapevo il motivo. Poi i tanti amici che mi scrivevano mi hanno avvisato di guardare l’Angelus del Papa, perché mi stava citando, e lì ho capito» ha spiegato. «È stata naturalmente una gioia immensa, nella consapevolezza che essere cardinale significa servire il Papa e la Chiesa. Sono grato al Santo Padre — ha dichiarato con commozione — per la possibilità di collaborare in questo momento così delicato per la storia del mondo, dell’umanità e della stessa comunità ecclesiale».

Al termine degli interventi, è stato riservato uno spazio alle domande dei giornalisti accreditati. Il cardinale eletto Spengler, interrogato sullo stile di governance che il Sinodo dovrà intraprendere, ha evidenziato una «crisi delle democrazie» allargata alle «istituzioni di mediazione nella società». L’arcivescovo di Porto Alegre ha richiamato le parole di Paolo vi , che spiegava come l’umano «senta con molta più attenzione i testimoni dei maestri».

Un concetto ripreso anche dal cardinale eletto Kikuchi, che ha affermato la necessità di lasciare uno stile «piramidale» per uno «sinodale». Ciò non deve significare provvedimenti basati esclusivamente sul «consenso». Anche attraverso un «discernimento comune, c’è poi qualcuno che deve prendere le decisioni finali». Ai tre cardinali eletti, provenienti da tre aree del mondo molto differenti tra loro, è stato chiesto di individuare qualcosa di identitario delle loro comunità di origine. Tutti sono stati concordi nell’aderenza all’ideale sinodale di «scambio dei doni». Esso «prima avveniva da Occidente a Oriente, dai Paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo» ha notato l’arcivescovo di Tokyo, soffermandosi su un cambio di paradigma che individua le «periferie» citate da Papa Francesco come ormai parte integrante anche del continente Europeo.

L’arcivescovo di Abidjan ha invece rivendicato la ricchezza «spirituale» delle diocesi africane, dove «la fede viene vissuta con gioia». L’ecclesiastico della Costa d’Avorio ha raccontato come alla notizia della sua nomina a cardinale, la comunità del suo villaggio si sia riversata nelle strade e la banda musicale locale abbia suonato a festa. «L’Africa deve condividere questa gioia semplice delle persone povere, umili, felici delle piccole cose». Da parte sua l’arcivescovo di Porto Alegre ha evidenziato il contributo dei migranti nel processo di evangelizzazione dell’America latina: «spesso ingannati, ma con un valore molto bello: la determinazione». Il presule brasiliano ha anche risposto ad alcune domande relative all’Amazzonia e alla possibilità della creazione di un rito specifico per le comunità indigene dove «passano mesi, addirittura anni senza una celebrazione eucaristica». Nell’ambito del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), di cui Spengler è presidente, sono presenti gruppi che lavorano alla possibilità di tale integrazione. A questa ipotesi, si affianca quella di una «inculturazione» del tradizionale rito romano nelle popolazioni locali. In proposito egli ha ricordato la «dignità» dei fedeli indigeni nello svolgere le funzioni tradizionali. «Un valore che a volte non vediamo più nelle nostre Messe, per quanto solenni possano essere».

L’arcivescovo di Porto Alegre è stato infine interrogato sul tema a suo dire «delicato» del celibato sacerdotale. «C’è bisogno di franchezza ed apertura» ha affermato, citando il caso di un vescovo nominato nella regione del Rio Xingu, al centro del Brasile e vasta due volte l’Italia. Il giorno dopo la festa d’insediamento, «si sono ritrovati lui e soltanto un altro sacerdote». A partire dall’esperienza del «diaconato permanente — ha concluso Spengler — forse, in futuro, questi uomini potranno essere ordinati presbiteri per una comunità specifica». La strada? «Non la so, ma possiamo affrontarla tenendo a mente gli aspetti teologici così come i segni del tempo» ha risposto.

di Roberto Paglialonga
e Edoardo Giribaldi