Il briefing quotidiano in Sala stampa

Tutto il popolo di Dio è il «noi» della Chiesa

 Tutto il popolo di Dio  è il «noi» della Chiesa  QUO-225
04 ottobre 2024

Con gli auguri di buon onomastico al Papa e a tutti coloro che portano il nome di Francesco e Francesca, è iniziata questa mattina la II congregazione generale dell’Assemblea del Sinodo sulla Sinodalità. Presenti 351 membri in Aula che hanno ascoltato i resoconti dei Cinque tavoli in varie lingue, dai quali sono emerse questioni in comune sul concetto stesso di sinodalità, «non come tecnica ma come stile», e su tematiche quali ruolo delle donne, presenza dei laici, ascolto «attivo» verso «persone non conformi ai dettami della Chiesa». La stessa Chiesa che «in un mondo di orfani» può rappresentare «la famiglia di chi non ha famiglia», hanno detto i relatori dei Gruppi, come riportato nella quotidiana conferenza in Sala Stampa vaticana dal prefetto del Dicastero per la Comunicazione, Paolo Ruffini, e Sheila Pires, rispettivamente presidente e segretario della Commissione per l’informazione.

In particolare, hanno riferito, stamattina in Aula Paolo vi è stata richiamata più volte «l’immagine della Chiesa come Corpo di Cristo, che riunisce quindi tante membra, cioè tanti ministeri e carismi ma in un unico corpo». E in questo senso è stato analizzato il tema del ruolo delle donne e dei laici. «Le distinzioni sono necessarie», si è detto, «tutti i carismi sono importanti ma non tutti devono essere necessariamente ministeri».

Da alcuni gruppi, hanno riferito i relatori, si è chiesto di riflettere, senza «approcci ideologici e pregiudiziali», se alcune questioni «sono portate avanti dalla moda e dalle ideologie o da un vero discernimento ecclesiale». In questo stesso quadro, è stato ribadito che «la dignità femminile è conferita ad ogni credente nel Battesimo», mentre sugli ordini sacri per le donne si è chiesto di «approfondire lo studio di alcuni ministeri, come ad esempio “il ministero della consolazione”» e di «non perdere l’enfasi sul contributo delle donne nel passato e nel presente».

Dai membri del Sinodo è stata forte la richiesta di una «equa dignità e corresponsabilità di tutti i Battesimi per la Chiesa. Su questa base si può ragionare sull’«inclusione delle donne, dei laici e dei giovani nei processi decisionali della vita ecclesiale». E sempre sul rapporto uomo-donna, alcuni Gruppi hanno esortato a «individuare paure e timori dietro certe posizioni, perché queste paure nella Chiesa hanno portato ad atteggiamenti di ignoranza e disprezzo verso le donne». Quindi «individuare per guarire per discernere».

Da alcuni Tavoli linguistici è stato fatto notare che in alcuni punti dell’Instrumentum laboris vengono menzionati poche volte i laici, così come la famiglia «Chiesa domestica». Bisogna approfondire anche il rapporto tra chiese locali e culture perché ogni Chiesa locale è «forgiata» da una cultura pur restando sé stessa. Su questa scia si è fatto cenno anche al tema del linguaggio chiedendo che sia «semplice» e che vengano cambiate «alcune formulazioni frutto di una prospettiva eurocentrica e occidentale». Infine, come ultimo punto, il duplice invito a «partire da esperienze e realtà pastorali perché la vita è più importante della teoria» e a «guardare al volto dei poveri lacerati da guerre, volenze, abusi». «La loro presenza sottile e delicata, le loro richieste, il loro stile di vita può portarci a spogliarci da ciò che ci schiavizza e allontana».

Dopo le cinque relazioni, nella congregazione generale — ha spiegato Ruffini — è stata data voce agli interventi liberi. Trentasei in totale quelli in aula che hanno spaziato dalla importanza dei laici, perché dalla loro «vitalità» dipenderà «il futuro della Chiesa e la Chiesa del futuro» (cosa che, si è ribadito, «non sminuisce naturalmente l’indispensabilità e del sacerdozio»), alla questione delle donne, con un intervento che ha definito «una lacuna» il fatto che «la donna sia vista solo come una consolatrice e non come qualcuna che può predicare o il fatto che non può essere a capo di una organizzazione». Sulla stessa scia, riprendendo l’esempio di missionarie, anche laiche, che si occupano di intere comunità nel mondo, in assemblea è stato ripetuto «che ci sono donne che sentono la chiamata di Dio e chiedono di essere ordinate». E si è chiesto che «ci sia una partecipazione femminile al Gruppo di studio su ministeri e carismi e che il risultato del lavoro di tale Gruppo possa essere discusso in uno spazio sinodale per fornire consigli e fare discernimento».

Ribadita poi negli interventi liberi l’importanza di «sviluppare una spiritualità sinodale l’ascolto attivo, la vicinanza, il supporto senza pregiudizi, anche di chi è diverso, di chi non ci fa sentire a nostro agio». «Non si ascoltano gli altri per capire se sono abbastanza intelligenti o d’accordo con me, ma se quelli che stanno parlando hanno elementi da cui posso imparare», hanno detto padri e madri sinodali, alcuni dei quali hanno chiesto un maggiore dialogo con culture, filosofie, religioni. «Bisogna rispettare e riconoscere l’altro, perché questo unisce il popolo di Dio». Sempre sull’ascolto, prendendo spunto dal tema “Ampliamo lo spazio della tenda”, è stato chiesto di «porsi più profondamente in ascolto con chi si trova in condizioni di povertà e sofferenza e con le persone che si sentono escluse dalla società e dalla Chiesa». Quindi divorziati, emarginati, comunità Lgbtq+.

Non è mancato un cenno anche al clericalismo, con la sottolineatura che «nella Chiesa non c’è un padrone né sudditi. C’è solo un maestro e siamo tutti fratelli». «Interessante», ha evidenziato Ruffini, anche il riferimento al tema «ripetuto e applaudito» della liturgia che può diventare «specchio della sinodalità». «Il ministro presiede ma non è l’unico celebrante», è stato detto. Una proposta è stata che «alla prossima liturgia comune dei membri del Sinodo si potrà “allargare lo spazio della tenda”».

Al tavolo dei relatori si sono poi susseguiti gli interventi di quattro ospiti: il cardinale Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat (Marocco) e presidente della Cerna (Conferenza episcopale regionale del Nord Africa); monsignor Antony Randazzo, presidente della Federation of Catholic Bishops’ Conferences of Oceania (Fcbco) e il vescovo di Nanterre (Francia), Matthieu Rougé, e la «monja twitera» Xiskya Lucia Valladares Paguaga, dal Nicaragua, esperta di social media ed evangelizzazione digitale.

Tutti e quattro i relatori hanno raccontato l’esperienza di sinodalità a partire dai loro ambienti: parrocchie, diocesi, nazioni, continenti. Prima il cardinale Lopéz Romero che ha riportato l’esperienza in Africa di «una sola religiosa che ha creato un movimento di scambio, riflessioni, sulla sinodalità» e che «da sola ha fatto più di tante Conferenze episcopali», e poi i vari incontri sinodali in Marocco che hanno permesso agli stessi cristiani di «scoprire chi siamo, pochi ma appartenenti a più di 100 Paesi: una ricchezza straordinaria ma anche qualche difficoltà nel vivere la comunione».

Di «pratiche sinodali» a Nanterre ha parlato pure monsignor Rougé, il quale, tuttavia, ha voluto concentrarsi più sul grande Sinodo in Vaticano: «Siamo molto felici di ritrovarci, questo è legato all’intensità con cui abbiamo vissuto la prima sessione. Ognuno arrivava con dubbi e paure, poi con il metodo della conversazione dello Spirito abbiamo vissuto un’esperienza spirituale profonda che abbiamo cercato di condividerla nelle nostre diocesi». Di aiuto sono state le parole del Papa: «Il Sinodo non è un Parlamento». «L’anno scorso l’aveva detto due volte, quest’anno solo una perché ha pensato che l’abbiamo capito», ha sorriso il vescovo.

Dal centro dell’Europa monsignor Randazzo ha spostato lo sguardo alle grandi terre dell’Oceania, «aera enorme del pianeta» ma «fragile», considerando zone come la Papua Nuova Guinea recentemente visitata dal Papa, le isole Salomone, i vari arcipelaghi del Pacifico che soffrono a volte anche un senso di abbandono. È stata una «grande gioia», infatti, ha detto Randazzo, «vedere la felicità sui volti delle persone» all’arrivo di Francesco a Port Moresby, «nel rendersi conto che il Papa ha trovato il tempo di venire qui da Roma e attraversare tutto il mondo per raggiungere una delle aree più fragili della terra ma ricchissima di risorse naturali». Il vescovo ha denunciato a riguardo una certa «cupidigia» da parte di nazioni sviluppate che arrivano e chiedono accordi e compromessi con nazioni povere e quindi vulnerabili per ottenere metalli, risorse preziose, alberi. Così si stanno distruggendo le risorse naturali, è stata la sua denuncia, intere comunità stanno soffrendo. Basti pensare anche ai migranti nei mari dell’Oceania che si dirigono verso Paesi più stabili «perché devono abbandonare le proprie case per l’innalzamento dei mari, per isole che affondano». «Non dobbiamo dimenticarci dei popoli dell’Oceania nel cammino sinodale», ha insistito monsignor Randazzo. Per loro «il concetto di sinodalità non è qualcosa di strano, ma al contrario qualcosa che conoscono e applicano da migliaia di anni: riunirsi e ascoltarsi con rispetto». Parlano di oceani, foreste, pesca, ma anche di fede. Purtroppo, però, a volte prevalgono le tematiche stabilite da «persone ricche che decidono cosa è importante» o «questioni di nicchia».

Tra queste, il presidente della Fcbco — sollecitato dai giornalisti — ha indicato la deriva da parte della Chiesa nel seguire modelli aziendali. «Non sono molto contento quando sento parlare di networking… È un linguaggio da uomini d’affari. Il linguaggio nostro è comunione, essere insieme. Stiamo cercando di diventare così sofisticati da rischiare di escludere le persone».

Anche sulla questione legata all’ordinazione delle donne «che va avanti da anni», ha sottolineato Randazzo, «è una piccola minoranza con voce occidentale che è fissata su questo punto». Il vero «scandalo» è che «le donne tante volte sono ignorate nella Chiesa» o, ancora peggio, «sono messe al margine, vittime di violenza anche domestica, escluse dagli ambienti di lavoro»: «È uno scandalo contro il Vangelo!».

Sul tema donne ha tagliato corto suor Xiskya sottolineando, invece, l’urgenza del lavoro nella missione digitale che cambia come cambia anche la missione “fisica” in un’epoca di nuove tecnologie e Intelligenza Artificiale. «Il 65% della popolazione mondiale frequenta strade digitali», ha detto, «la povertà fisica si trova anche nei social». Da inizio Sinodo, ha spiegato la religiosa, si stanno istituendo uffici presso le Conferenze episcopali, si organizzano incontri con missionari anche di 67 Paesi, si condividono esperienze dei missionari digitali — più numerosi in America latina che in Europa — che proprio in queste strade del web provano ad accompagnare e stare vicino agli «allontanati che però cercano la verità e camminano feriti nel mondo, a causa anche di cattive esperienze con la Chiesa».

L’indirizzo per questo lavoro, ha riferito suor Xiskya, gliel’ha dato personalmente il Papa con un neologismo: «Samaritanear», essere cioè buoni samaritani che «raggiungono le persone che camminano sulle vie digitali», sia quelli che «vogliono riscoprire i valori evangelici» così sia quelli che «non hanno mai sentito il nome di Gesù». La sinodalità in questo è una grande «speranza», considerando «la polarizzazione sui social» e «le relazioni tossiche».

Della ricchezza dell’itinerario sinodale, ha parlato anche il cardinale Lopéz Romero: «Questo Sinodo è estremamente arricchente. La nostra Chiesa è ancora troppo europeizzata, occidentalizzata. Dobbiamo vivere questo cammino aiutandoci, così la Chiesa uscirà più cattolica, universale». A riguardo ha riportato l’esempio di un vescovo africano di una diocesi con tantissime vocazioni e tantissimi battesimi: «Rimproverava un vescovo europeo di volergli dare una lezione quando le sue chiese erano vuote». Certo, «noi europei dobbiamo imparare a essere umili, ma anche gli africani non devono vantarsi perché il successo non dipende dai numeri. Dobbiamo aiutarci a vivere il Vangelo reciprocamente», ha affermato il cardinale. «Ci saranno passi avanti, passi indietro, incontri, scontri, ma dobbiamo dimostrare la maturità di avere pazienza, chi va più veloce aspetta chi va più lento… È bene che ci siano problemi, vanno affrontati e non messi sotto il tappeto».

A conclusione anche un cenno alla dichiarazione dottrinale Fiducia supplicans che ha introdotto la benedizione a persone dello stesso sesso, suscitando reazioni contrarie proprio nella Chiesa africana. È un documento, ha sottolineato il cardinale del Marocco, «che avrebbe dovuto fare un percorso sinodale, non è venuto dal Sinodo ma dal Dicastero per la dottrina della fede. La mia Conferenza episcopale si è pronunciata in modo diverso, non siamo stati consultati. Il continente africano si è pronunciato senza aver consultato tutta l’Africa». Il presidente del Secam, ha riferito Lopéz, «infatti ci ha chiesto scusa». Anche questa è sinodalità e impararla, ha concluso il porporato, «non è semplice».