Lunedì 30
Tutti possono essere custodi |
Essere “Custodi del Bello” è una grande responsabilità, oltre che un messaggio importante per la comunità ecclesiale e per tutta la società. Custodire significa proteggere, conservare, vigilare, difendere. È un’azione multiforme, che richiede attenzione e cura, perché parte dalla consapevolezza del valore di chi o di ciò che ci viene affidato. Per questo non ammette distrazioni e pigrizia. Chi custodisce tiene gli occhi ben aperti, non ha paura di spendere del tempo, di mettersi in gioco, di assumersi delle responsabilità. E tutto ciò, in un contesto che spesso invita a non “sporcarsi le mani”, a delegare, è profetico, perché richiama all’impegno personale e comunitario. Ognuno, con le proprie capacità e competenze, con l’intelligenza e con il cuore, può fare qualcosa per custodire le cose, gli altri, la casa comune, in una prospettiva di cura integrale del creato. |
Sono tante oggi le persone ai margini, scartate, dimenticate in una società sempre più efficientista e spietata: i poveri, i migranti, gli anziani e i disabili soli, gli ammalati cronici. Eppure, ciascuno è prezioso agli occhi del Signore. Per questo vi raccomando, nel vostro lavoro di riqualificazione di tanti luoghi lasciati all’incuria e al degrado, di mantenere sempre come obiettivo primario la custodia delle persone che vi abitano e che li frequentano. Solo così restituirete il creato alla sua bellezza.
Far fiorire |
E proprio questo è l’altro valore: insieme al custodire, la bellezza. Oggi se ne parla molto, fino a farne un’ossessione. Spesso però la si considera in modo distorto, confondendola con modelli estetici effimeri e massificanti, più legati a criteri edonistici, commerciali e pubblicitari che non allo sviluppo integrale delle persone. Un approccio di questo genere è deleterio, perché non aiuta a far fiorire il meglio in ciascuno, ma porta al degrado dell’uomo e della natura. Si tratta, invece, di imparare a coltivare il bello come qualcosa di unico e sacro per ogni creatura, pensato, amato e celebrato da Dio fin dalle origini del mondo come unità inscindibile di grazia e di bontà, di perfezione estetica e morale. |
Questa è la vostra missione; e io vi incoraggio, come cooperatori al grande disegno del Creatore, a non stancarvi di trasformare il brutto in bello, il degrado in opportunità, il disordine in armonia.
Vi accompagni e vi sia di modello, nel vostro impegno, San Giuseppe di Nazaret, il custode umile e silenzioso del «più bello tra i figli dell’uomo».
(Ai partecipanti al progetto “Custodi del bello” promosso dalla Conferenza episcopale italiana)
Martedì 1° ottobre
Mendicanti |
Noi siamo qui mendicanti della misericordia del Padre, chiedendo perdono. La Chiesa è sempre Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca di perdono, e non solo la Chiesa dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi che si riconoscono poveri e peccatori. |
Ho voluto scrivere le richieste di perdono che sono state lette da alcuni cardinali, perché era necessario chiamare per nome e cognome i nostri principali peccati.
E noi li nascondiamo o li diciamo con parole troppo educate.
Il peccato è sempre una ferita nelle relazioni: la relazione con Dio e la relazione con i fratelli e le sorelle. Sorelle, fratelli, nessuno si salva da solo, ma è vero ugualmente che il peccato di uno rilascia effetti su tanti: come tutto è connesso nel bene, lo è anche connesso nel male.
La Chiesa è nella sua essenza una Chiesa di fede e di annuncio sempre relazionale, e solo curando le relazioni malate, possiamo diventare Chiesa sinodale.
Come potremmo essere credibili nella missione se non riconosciamo i nostri errori e non ci chiniamo a curare le ferite che abbiamo provocato con i nostri peccati?
E la cura della ferita comincia confessando il peccato che abbiamo compiuto.
La parabola del Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato ci presenta due uomini, un fariseo e un pubblicano, che vanno entrambi al tempio a pregare. Uno sta in piedi, con la fronte alta, l’altro resta indietro, con gli occhi bassi.
Il fariseo riempie la scena con la sua statura che attira gli sguardi, imponendosi come modello.
In questo modo presume di pregare, ma in realtà sta celebrando se stesso, mascherando nella sua effimera sicurezza le sue fragilità.
Cosa si aspetta da Dio? Si attende un premio per i suoi meriti, e in questo modo si priva della sorpresa della gratuità della salvezza, fabbricandosi un dio che non potrebbe fare altro che sottoscrivere un certificato di perfezione presunta.
Un uomo chiuso alla sorpresa, chiuso a tutte le sorprese. È tutto chiuso in sé stesso, chiuso alla grande sorpresa della misericordia. Il suo io non dà spazio a niente a nessuno, nemmeno a Dio.
Quante volte nella Chiesa ci comportiamo in questo modo? Quante volte abbiamo occupato tutto lo spazio anche noi, con le nostre parole, i nostri giudizi, i nostri titoli, la convinzione di avere soltanto meriti? E in questo modo si perpetua quanto era avvenuto quando Giuseppe e Maria, e il Figlio di Dio nel suo ventre, bussavano alle porte dell’ospitalità.
Gesù nascerà in una mangiatoia perché, come ci dice il Vangelo, «non c’era posto per loro nell’albergo».
E noi oggi siamo tutti come il pubblicano, abbiamo o vogliamo avere gli occhi bassi e proviamo, vogliamo provare vergogna per i nostri peccati.
Come lui, rimaniamo indietro, liberando lo spazio occupato dalla presunzione, dall’ipocrisia e dall’orgoglio.
Diciamolo anche noi vescovi, preti, consacrate, consacrati: liberando lo spazio occupato dalla presunzione, dall’ipocrisia e dall’orgoglio.
Non potremmo invocare il nome di Dio senza chiedere perdono ai fratelli e alle sorelle, alla Terra e a tutte le creature.
Cominciamo questa tappa del Sinodo. E come potremmo essere Chiesa sinodale senza riconciliazione? Come potremmo affermare di voler camminare insieme senza ricevere e donare il perdono che ristabilisce la comunione in Cristo?
Il perdono, chiesto e donato, genera una nuova concordia in cui le diversità non si oppongono, e il lupo e l’agnello riescono a vivere insieme. Coraggioso l’esempio di Isaia!
Di fronte al male e alla sofferenza innocente domandiamo: dove sei Signore?
Ma la domanda dobbiamo rivolgerla a noi, e interrogarci sulle responsabilità che abbiamo quando non riusciamo a fermare il male con il bene.
Non possiamo pretendere di risolvere i conflitti alimentando violenza che diventa sempre più efferata, riscattarci provocando dolore, salvarci con la morte dell’altro.
Come possiamo inseguire una felicità pagata con il prezzo dell’infelicità dei fratelli e delle sorelle? E questo è per tutti, per tutti: laiche, laici, consacrate, consacrati, per tutti!
Alla vigilia dell’inizio dell’Assemblea del Sinodo, la confessione è un’occasione per ristabilire fiducia nella Chiesa e nei suoi confronti, fiducia infranta dai nostri errori e peccati, e per cominciare a risanare le ferite che non smettono di sanguinare, spezzando «le catene della malvagità».
Lo diciamo nella preghiera dell’Adsumus: «Siamo qui oppressi dall’enormità del nostro peccato». E questo peso non vorremmo che rallentasse il cammino del Regno di Dio nella storia.
Noi abbiamo fatto la nostra parte, anche di errori. Continuiamo nella missione per quello che possiamo; ma ora ci rivolgiamo a voi giovani, che aspettate da noi il passaggio di testimonianza, chiedendo perdono anche a voi se non siamo stati testimoni credibili.
E oggi nella memoria liturgica di santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni, domandiamo la sua intercessione.
Chiediamo perdono, provando vergogna, a chi è stato ferito dai nostri peccati.
(Veglia penitenziale a conclusione del ritiro
in preparazione al Sinodo)
Mercoledì 2
Il 7 ottobre Giornata di |
Oggi celebriamo la memoria liturgica dei Santi Angeli Custodi, e riapriamo la Sessione plenaria del Sinodo dei Vescovi. In ascolto di ciò che la Parola di Dio ci suggerisce, potremmo allora prendere spunto da tre immagini per la nostra riflessione: la voce, il rifugio e il bambino. |
Primo, la voce. Nel cammino verso la Terra promessa, Dio raccomanda al popolo di ascoltare la “voce dell’angelo” che Lui ha mandato.
È un’immagine che ci tocca da vicino, perché anche il Sinodo è un cammino, in cui il Signore mette nelle nostre mani la storia, i sogni e le speranze di un grande Popolo: di sorelle e fratelli sparsi in ogni parte del mondo, animati dalla nostra stessa fede, mossi dallo stesso desiderio di santità, affinché con loro e per loro cerchiamo di comprendere quale via percorrere per giungere là dove Lui ci vuole portare.
Ma come possiamo, noi, metterci in ascolto della “voce dell’angelo”? Una via è accostarci con rispetto e attenzione, nella preghiera e alla luce della Parola di Dio, a tutti i contributi raccolti in questi tre anni di lavoro, di condivisione, di confronto e di paziente sforzo di purificazione della mente e del cuore.
Si tratta, con l’aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare e comprendere le voci, cioè le idee, le attese, le proposte, per discernere insieme la voce di Dio che parla alla Chiesa.
Come abbiamo più volte ricordato, la nostra non è un’assemblea parlamentare, ma un luogo di ascolto nella comunione, in cui, come dice San Gregorio Magno, ciò che qualcuno ha in sé parzialmente, è posseduto in modo completo in un altro e benché alcuni abbiano doni particolari, tutto appartiene ai fratelli nella “carità dello Spirito”.
Perché ciò avvenga c’è una condizione: che ci liberiamo da quello che, in noi e tra noi, può impedire alla “carità dello Spirito” di creare armonia nella diversità.
Non è in grado di sentire la voce del Signore chi con arroganza presume e pretende di averne l’esclusiva.
Ogni parola va accolta con gratitudine e con semplicità, per farsi eco di ciò che Dio ha donato a beneficio dei fratelli.
Nel concreto, badiamo a non trasformare i nostri contributi in puntigli da difendere o agende da imporre, ma offriamoli come doni da condividere, pronti anche a sacrificare ciò che è particolare, se ciò può servire a far nascere insieme qualcosa di nuovo secondo il progetto di Dio.
Altrimenti finiremo per chiuderci in dialoghi tra sordi, dove ciascuno cerca di “tirare acqua al proprio mulino” senza ascoltare gli altri, e soprattutto senza ascoltare la voce del Signore.
Le soluzioni ai problemi da affrontare non le abbiamo noi, ma Lui, e ricordiamoci che nel deserto non si scherza: se non si presta attenzione alla guida, presumendo di bastare a sé stessi, si può morire di fame e di sete, trascinando con sé anche gli altri.
Mettiamoci dunque in ascolto della voce di Dio e del suo angelo, se davvero vogliamo procedere sicuri nel nostro cammino al di là dei limiti e delle difficoltà.
Questo ci porta alla seconda immagine: il rifugio. Il simbolo è quello delle ali che custodiscono: «sotto le sue ali troverai rifugio».
Sono strumenti potenti le ali, capaci di sollevare un corpo da terra coi loro movimenti vigorosi. Però, pur così forti, possono anche abbassarsi e raccogliersi, facendosi scudo e nido accogliente per i piccoli, bisognosi di calore e di protezione.
Questo è un simbolo di ciò che Dio fa per noi, ma è anche un modello da seguire, in particolare in questo momento assembleare. Tra noi ci sono molte persone forti, preparate, capaci di sollevarsi in alto con i movimenti vigorosi di riflessioni e intuizioni geniali.
Tutto ciò è una ricchezza, che ci stimola, ci spinge, ci costringe a volte a pensare in modo più aperto e ad andare avanti con decisione, come pure ci aiuta a rimanere saldi nella fede anche di fronte a sfide e difficoltà.
Il cuore aperto, il cuore in dialogo. Non è dello Spirito del Signore un cuore chiuso nelle proprie convinzioni, questo non è del Signore.
È un dono l’aprirsi, un dono che va unito, a tempo opportuno, alla capacità di rilassare i muscoli e di chinarsi, per offrirsi gli uni agli altri come abbraccio accogliente e luogo di riparo: per essere, come diceva San Paolo vi , «una casa […] di fratelli, un’officina d’intensa attività, un cenacolo di ardente spiritualità».
Ciascuno, qui, si sentirà libero di esprimersi tanto più spontaneamente e liberamente, quanto più percepirà attorno a sé la presenza di amici che gli vogliono bene e che rispettano, apprezzano e desiderano ascoltare ciò che ha da dire.
E questa per noi non è solo una tecnica di “facilitazione” del dialogo o una dinamica di comunicazione di gruppo: abbracciare, proteggere e prendersi cura è infatti parte stessa dell’indole della Chiesa.
È molto importante, l’“armonia”. Non c’è maggioranza, minoranza; questo può essere un primo passo. Quello che importa, che è fondamentale è l’armonia che può fare solo lo Spirito Santo.
Eccoci alla terza immagine: il bambino. È Gesù stesso, nel Vangelo, a “metterlo nel mezzo”, a mostrarlo ai discepoli, invitandoli a convertirsi e a farsi piccoli come lui.
Loro gli avevano chiesto chi fosse il più grande nel regno dei cieli: Lui risponde incoraggiandoli a farsi piccoli come un bambino.
Non solo: aggiunge anche che accogliendo un bambino nel suo nome si accoglie Lui.
Per noi questo paradosso è fondamentale. Il Sinodo, data la sua importanza, in un certo senso ci chiede di essere “grandi” – nella mente, nel cuore, nelle vedute –, perché sono “grandi” e delicate le questioni da trattare, e ampi, universali gli scenari entro cui esse si collocano.
Ma proprio per questo non possiamo permetterci di staccare gli occhi dal bambino, che Gesù continua a mettere al centro delle nostre riunioni e dei nostri tavoli di lavoro, per ricordarci che l’unica via per essere “all’altezza” del compito che ci è affidato, è quella di abbassarci, di farci piccoli e di accoglierci a vicenda come tali, con umiltà.
Il più alto nella Chiesa è quello che si abbassa di più.
Ricordiamoci che è proprio facendosi piccolo che Dio ci «dimostra che cosa sia la vera grandezza» (Benedetto xvi ). Non a caso Gesù dice che gli angeli dei bambini «vedono sempre la faccia del Padre […] nei cieli»: che sono, cioè, come un “telescopio” dell’amore del Padre.
Rosario |
Riprendiamo questo cammino ecclesiale con uno sguardo rivolto al mondo, perché la comunità cristiana è sempre a servizio dell’umanità, per annunciare a tutti la gioia del Vangelo. Ce n’è bisogno, soprattutto in quest’ora drammatica della nostra storia, mentre i venti della guerra e i fuochi della violenza continuano a sconvolgere interi popoli e Nazioni. Per invocare dall’intercessione di Maria Santissima il dono della pace, domenica prossima mi recherò nella Basilica di Santa Maria Maggiore dove reciterò il santo Rosario e rivolgerò alla Vergine un’accorata supplica; se possibile, chiedo anche a voi, membri del Sinodo, di unirvi a me in quell’occasione. E, il giorno dopo, 7 ottobre, chiedo a tutti di vivere una giornata di preghiera e di digiuno per la pace nel mondo. Camminiamo insieme. Mettiamoci in ascolto del Signore. E lasciamoci condurre dalla brezza dello Spirito. (Messa per l’apertura dell’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi) |
Molte voci |
Fare un pellegrinaggio vuol dire mettersi in cammino, di solito verso un santuario. Questo cammino diventa simbolo del proprio percorso di vita e della grande meta finale, che è Dio stesso, come è bene espresso nel verso della versione tedesca del Te Deum che avete scelto come motto del vostro viaggio: “In te solo noi speriamo!”. |
Con [esso] intendete “riscoprire insieme e per gli uomini del nostro tempo i tesori spirituali del pellegrinare”.
Tutta la ricchezza della nostra fede è un dono, un dono di Dio che riceviamo non solo per noi stessi, ma sempre anche per gli altri, per le persone intorno a noi, compresi quelli che sembrano lontani dalla fede, non hanno ancora sentito parlare di Cristo o pensano che non abbia nulla di importante da dire.
Mancanza |
Mi sembra che la vita di molte persone oggi manchi del significato, della speranza e della gioia che il mondo non può dare. |
Per questo vi esorto a condividere il significato, la speranza e la gioia della fede con tutti, con fiducia e umiltà.
La testimonianza personale e credibile è ciò che conta quando si trasmette la fede. Come criterio di credibilità, il Signore stesso menziona l’unità dei suoi discepoli e chiede al Padre: “che tutti siano una cosa sola, perché il mondo creda”.
A nome della Chiesa, vi ringrazio per aver preso sul serio questa missione ecumenica di Gesù e per aver cercato di realizzarla con questo pellegrinaggio comune e, cosa altrettanto importante, nella vita di tutti i giorni.
Ho saputo che gran parte del vostro gruppo è composto da volontari. E vorrei anche ringraziare i “Dresdner Kapellknaben”, per la vostra speciale testimonianza. L’arte, la musica in particolare, è un linguaggio che viene compreso da tutti ed è in grado di interpellare, ispirare e risollevare le persone.
Alcune cose sono difficili da esprimere a parole e questo vale soprattutto per il mistero divino, che va oltre i nostri pensieri e concetti.
Sale e luce |
Ecco perché nelle chiese abbiamo questo ricco simbolismo, che rende tangibile e concreto l’indicibile: le candele, l’incenso, l’arte e la musica! |
Continuate a lavorare insieme e a testimoniare la speranza che è in voi.
Ricordate le immagini del sale della terra e della luce del mondo, del piccolo seme; la Bibbia è piena di questi esempi in cui qualcosa di piccolo e di poco conto può crescere in qualcosa di grande con la grazia di Dio, qualcosa di molto più grande e più bello di quanto noi umani avremmo potuto realizzare da soli, con le nostre forze.
Nell’ottobre 1989, ne avete avuto un’idea quando alcuni cristiani protestanti e cattolici a Dresda sono riusciti a confrontarsi con la polizia.
Preghiera e azioni |
È stato come un miracolo che non sia stato sparato un solo colpo e che anche in altre città si sia aperta una strada pacifica che nessuno avrebbe pensato possibile e che alla fine ha portato al “miracolo” dell’unità tedesca. Rivolgiamoci insieme in preghiera al nostro Padre celeste, con la preghiera che unisce tutti i cristiani. Col Padre nostro chiediamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere, per il nostro pellegrinaggio, al termine del quale la nostra grande speranza si realizzerà: la piena armonia nella comunione con Dio e tra noi. (A un pellegrinaggio ecumenico dalla Germania) |