Concluso il viaggio di Papa Francesco in Asia e in Oceania
Il dialogo con i giornalisti durante il rientro a Roma

A Gaza non si fanno passi
per la pace
Solo la fratellanza
può fermare la guerra

 A Gaza non si fanno passi per la pace Solo la fratellanza può fermare la guerra  QUO-208
14 settembre 2024

«La Cina promessa e speranza per la Chiesa»


Sul volo che da Singapore lo ha ricondotto a Roma ieri, venerdì 13 settembre, Papa Francesco ha risposto, come di consueto a conclusione dei viaggi internazionali, alle domande rivoltegli dai giornalisti accreditati. Introducendo il colloquio, il direttore della Sala stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, ha ringraziato il Pontefice per «averci fatto percepire di più la gioia della gente che la nostra stanchezza» nei molti giorni trascorsi in Asia e in Oceania. Di seguito pubblichiamo integralmente le parole del Pontefice in risposta alle domande rivoltegli in varie lingue, qui tradotte in italiano.

Papa Francesco — Prima di tutto voglio ringraziare tutti voi per questo lavoro, per questa compagnia nel viaggio, che per me è molto importante. Poi, io vorrei congratularmi con la “decana”, perché Valentina Alazraki fa il 160° viaggio, con questo! Io non le dirò che deve andare in pensione, ma che continui così!

Bene, adesso fate le domande. E grazie tante!

Pei Ting Wong [The Straits Times] — Papa Francesco, sono felice che Lei stia bene e che stia tornando a Roma. Spero che abbia apprezzato la visita a Singapore e anche il cibo locale. Siamo freschi dell’esperienza di Singapore e possiamo partire da lì. In generale, cosa ha valorizzato maggiormente di Singapore: la cultura, la gente? È stato sorpreso da quello che ha visto? E cosa può imparare Singapore dagli altri tre Paesi che abbiamo visitato, in modo specifico mi riferisco al Suo messaggio riguardo a un compenso equo ai lavoratori migranti a basso reddito: cosa ha ispirato questo messaggio, quale il pensiero all’origine? E l’altra domanda — mi scusi, ne ho un’altra —: Lei ha detto che Singapore ha un ruolo molto speciale da svolgere in ambito internazionale. Cosa può fare Singapore in questo mondo di conflitti, e come il Vaticano, in quanto alleato diplomatico, può contribuire? Grazie.

Grazie a Lei. Prima di tutto, io non mi aspettavo di trovare Singapore così. Dicono che la chiamano la New York dell’Oriente: un Paese sviluppato, pulito, gente educata, la città con grattacieli grandi e anche una grande cultura interreligiosa. L’incontro interreligioso che ho avuto alla fine è stato un modello, un modello di fratellanza. Poi ho visto anche, già parlando dei migranti, i grattacieli per gli operai. I grattacieli lussuosi e gli altri sono ben fatti e puliti, e questo mi è piaciuto tanto. Io non ho sentito che ci sia una discriminazione, non ho sentito. Mi ha colpito la cultura. Con gli studenti, per esempio, l’ultimo giorno: sono rimasto colpito dalla cultura. Il ruolo internazionale: ho visto che la prossima settimana c’è una “Formula Uno”, credo... Il ruolo internazionale è di una capitale che attira le culture e questo è importante. È una grande capitale. Io non mi aspettavo di trovare una cosa del genere.

Pei Ting Wong — C’è l’altra domanda: Singapore può imparare dai tre Paesi: Papua Nuova Guinea, Indonesia e Timor Est?

Sai, sempre si può imparare qualcosa, perché ogni persona e ogni Paese ha una ricchezza diversa dall’altro. Per questo è importante la fratellanza nella comunicazione. Per esempio, se penso a Timor Est, una cosa è che lì ho visto tanti bambini, e a Singapore non ne ho visti tanti. È forse una cosa da imparare…

Pei Ting Wong — Sì, noi abbiamo un tasso di natalità basso.

Hanno paura? Qual è il vostro tasso di natalità?

Pei Ting Wong — Inferiore a 1,2%, più basso di quello del Giappone, per quanto ne sappia.

Il futuro sono i bambini! Pensate a questo. Grazie. Ah, un’altra cosa: voi, gli abitanti di Singapore, siete simpaticissimi. You smile, smile…

Delfim De Oliveira (GMN TV, Grupo Média Nacional) di Timor Est — Santo Padre, La ringrazio per questa opportunità. Il Suo messaggio finale nella Messa a Taci Tolu, è la notizia più diffusa adesso in Timor. Lei ha utilizzato l’espressione “coccodrilli” per attirare l’attenzione dei timoresi sulla presenza dei coccodrilli a Timor Est. Cosa intendeva dire con questo?

Ho preso l’immagine dei coccodrilli che vengono sulla spiaggia. Timor Est ha una cultura semplice, familiare, gioiosa e ha una cultura di vita, ha tanti bambini, tanti, e io, quando parlavo di coccodrilli, parlavo delle idee che possono venire da fuori per rovinare questa armonia che voi avete. Ti dico una cosa: io sono rimasto innamorato di Timor Est! Un’altra cosa?

Delfim De Oliveira — Il popolo timorese è a maggioranza cattolica; in questo momento, c’è una forte presenza di sette in Timor Est: l’espressione “coccodrilli” può essere stata riferita anche alle sette in Timor?

Può darsi. Io non parlo di questo, non posso, ma può darsi. Perché tutte le religioni vanno rispettate, ma si fa una distinzione tra religione e setta. La religione è universale, qualsiasi religione; la setta è restrittiva, è un gruppetto che sempre ha un’altra intenzione. Grazie, e complimenti per il tuo Paese.

Francisca Christy Rosana (Tempo Media Group) — Grazie, Papa Francesco: sono Francisca, di Tempo Magazine. Spero abbia avuto momenti indimenticabili in Indonesia, perché la gente nel Paese, e non soltanto i cattolici, l’aspettavano da tanto tempo. Le mie domande sono queste: ci siamo resi conto che il Paese ancora sta combattendo per la democrazia. Qual è la Sua impressione e quale il Suo messaggio per noi? E l’ultima domanda: Papua e Indonesia hanno lo stesso problema con Papua Nuova Guinea, a volte: gli investimenti nel settore minerario sono riservati agli oligarchi e nel frattempo la gente del posto e i nativi non usufruiscono dei benefici che derivano da questa attività. Cosa ne pensa, e cosa si può fare? Grazie, Papa Francesco.

Questo è un problema, direi, comune alle Nazioni in via di sviluppo. Per questo è importante quello che dice la dottrina sociale della Chiesa: che dev’esserci comunicazione tra i diversi settori della società. Lei ha detto che l’Indonesia è un Paese in via di sviluppo, e forse una delle cose che va sviluppata è precisamente questa: il rapporto sociale. Ma sono rimasto contento della visita al suo Paese. Molto bene, molto bello!

Matteo Bruni — Santità, la stampa della Papua Nuova Guinea ha seguito con grande interesse il Suo viaggio, però purtroppo non le è stato possibile avere un giornalista su questo volo. Allora colgo l’occasione io per chiederLe se c’è qualcosa che vuole raccontarci della Papua Nuova Guinea, in particolare anche di Vanimo, che è un posto dove mi sembra che Lei abbia voluto andare personalmente.

Mi è piaciuto il Paese, e ho visto un Paese in via di sviluppo forte. Poi ho voluto andare a Vanimo per trovare un gruppo di preti e suore argentini che lavorano lì, e ho visto un’organizzazione molto bella, molto bella! In tutti i Paesi l’arte è molto sviluppata: le danze, altre espressioni poetiche... Ma in Papua Nuova Guinea è impressionante, e a Vanimo impressiona lo sviluppo dell’arte. Questo mi ha colpito molto. I missionari che ho visitato sono nella foresta, vanno dentro la foresta a lavorare. Mi è piaciuto Vanimo, e il Paese pure. Grazie.

Stefania Falasca (Tianou Zhiku) — Buona sera, Santo Padre. Purtroppo il cinese non lo parlo! Veniamo da Singapore che è un Paese con una popolazione a maggioranza cinese, ed è un modello di convivenza armoniosa e pacifica. E appunto sulla pace: volevo sapere che cosa ne pensa, vista la vicinanza anche con la Cina continentale, degli sforzi fatti dalla Cina per il raggiungimento di un cessate-il-fuoco nelle regioni sotto conflitto, come la Striscia di Gaza: a luglio è stata firmata a Pechino la “dichiarazione di Pechino” per porre fine alle divisioni tra i palestinesi. E poi, se sulla pace ci sono spazi di collaborazione tra la Cina e la Santa Sede. Un’ultima cosa: siamo a ridosso del rinnovo dell’accordo Cina-Santa Sede sulle nomine dei vescovi. Lei è soddisfatto o no dei risultati del dialogo, che sono stati finora ottenuti?

Prendo l’ultima: io sono contento dei dialoghi con la Cina, il risultato è buono, anche per la nomina dei vescovi si lavora con buona volontà. E per questo ho sentito la Segreteria di Stato, su come vanno le cose: io sono contento. L’altra cosa è la Cina: la Cina per me è una ilusión [un desiderio], nel senso che io vorrei visitare la Cina, perché è un grande Paese; io ammiro la Cina, rispetto la Cina. È un Paese con una cultura millenaria, una capacità di dialogo, di capirsi tra loro che va oltre i diversi sistemi di governo che ha avuto. Credo che la Cina sia una promessa e una speranza per la Chiesa. La collaborazione si può fare, e per i conflitti certamente. In questo momento, il cardinale Zuppi si muove in questo senso e ha rapporti anche con la Cina.

Anna Matranga (CBS News) — Buona sera, Santità. Lei ha sempre parlato in difesa della dignità della vita. In Timor Est, un Paese con una natalità molto alta, Lei ha detto che si sente pulsare ed esplodere la vita per i tanti bambini. In Singapore ha parlato in difesa dei lavoratori migranti. In vista delle prossime elezioni negli Stati Uniti vorrei chiederLe: che consiglio può dare a un elettore cattolico che deve decidere fra un candidato che è favorevole all’interruzione della gravidanza, e un altro che vorrebbe deportare 11 milioni di migranti?

Ambedue sono contro la vita, sia quello che butta via i migranti sia quello che uccide i bambini. Ambedue sono contro la vita. Non si può decidere, io non posso dire, non sono statunitense, non andrò a votare lì, ma sia chiaro: mandare via i migranti, non dare ai migranti capacità di lavorare, non dare ai migranti accoglienza è peccato, è grave. Nell’Antico Testamento c’è un ritornello: l’orfano, la vedova e lo straniero, cioè il migrante. Sono i tre che il popolo di Israele deve custodire. Chi non custodisce il migrante, manca, è un peccato, un peccato anche contro la vita di quella gente. Io sono stato a celebrare Messa alla frontiera, vicino alla diocesi di El Paso, e c’erano tante scarpe di migranti che sono finiti male, lì. Oggi c’è un flusso di migranti all’interno dell’America Centrale che tante volte vengono trattati come schiavi, perché si approfittano di questo. La migrazione è un diritto, un diritto che già nella Sacra Scrittura, nell’Antico Testamento c’era. Lo straniero, l’orfano e la vedova: non dimenticare questo. Questo è quello che io penso dei migranti. Poi, l’aborto. La scienza dice che al mese dal concepimento ci sono tutti gli organi di un essere umano, tutti. Fare un aborto è uccidere un essere umano. Ti piaccia la parola o non ti piaccia, ma è uccidere. Questo. La Chiesa non è chiusa perché non permette l’aborto: la Chiesa non permette l’aborto perché è uccidere, è un assassinio, è un assassinio. E su questo dobbiamo avere le cose chiare. Mandare via i migranti, non lasciarli sviluppare, non lasciare che abbiano la loro vita è una cosa brutta, è cattiveria. Mandare via un bambino dal seno della mamma è un assassinio, perché c’è vita. E in queste cose dobbiamo parlare chiaro. “No, ma, però...”. Niente “però”. Ambedue le cose sono chiare. L’orfano, lo straniero e la vedova: non dimenticare quello.

Anna Matranga — Possono esserci circostanze in cui sia moralmente ammissibile per un cattolico votare per un candidato che è favorevole all’interruzione della vita?

Nella morale politica, in genere si dice che non votare è brutto, non è buono: si deve votare. E si deve scegliere il male minore. Chi è il male minore, quella Signora o quel Signore? Non so, ognuno in coscienza pensi e faccia questo.

Mimmo Muolo (Avvenire) — Buonasera, Santità, e grazie per questi giorni. A nome dei giornalisti italiani vorrei chiederLe: c’è il pericolo che il conflitto di Gaza si estenda anche alla Cisgiordania e c’è stata un’esplosione, poche ore fa, che ha causato la morte di 18 persone, tra cui alcuni operatori Onu. Quali sono i suoi sentimenti in questo momento? E che cosa si sente di dire alle parti in guerra? C’è la possibilità eventualmente anche di una mediazione della Santa Sede per arrivare a un cessate-il-fuoco e all’auspicata pace? Grazie.

La Santa Sede lavora per questo. Vi dico una cosa: tutti i giorni chiamo a Gaza, tutti i giorni, la parrocchia di Gaza. Lì dentro, nella parrocchia e nel collegio, ci sono 600 persone: cristiani e musulmani, ma vivono come fratelli. Mi raccontano cose brutte, cose difficili. Io non posso qualificare se questa azione di guerra è troppo sanguinaria o no, ma per favore, quando si vedono i corpi di bambini uccisi, quando si vede che presumendo che ci siano lì alcuni dei guerriglieri, si bombarda una scuola: è brutto questo, è brutto! A volte si dice che è una guerra difensiva o no, ma alcune volte credo che sia una guerra troppo, troppo... E — mi scuso di dire questo — ma non trovo che si facciano i passi per fare la pace. Per esempio, a Verona, ho avuto un’esperienza molto bella: un ebreo, a cui era morta la moglie sotto un bombardamento, e uno di Gaza, a cui era morta la figlia, ambedue hanno parlato della pace, si sono abbracciati e hanno dato una testimonianza di fratellanza. Io dirò questo: è più importante la fratellanza che l’uccisione del fratello. Fratellanza, darsi la mano. Alla fine, chi vince la guerra troverà una grande sconfitta. La guerra sempre è una sconfitta, sempre, senza eccezioni. E questo non dobbiamo dimenticarlo. Per questo, tutto quello che si fa per la pace è importante. E inoltre voglio dire una cosa — questo è un po’ immischiarmi in politica ma voglio dirlo —: ringrazio tanto, tanto quello che fa il re della Giordania. È un uomo di pace e sta cercando di fare la pace, re Abdallah è un uomo bravo, buono.

Lisa Weiss (ARD) — Santo Padre, grazie per questi giorni. Durante questo viaggio Lei ha parlato molto apertamente, in maniera molto diretta, dei problemi di ogni Paese, non soltanto delle sue bellezze. E proprio per questo ci siamo chiesti come mai non abbia parlato del problema che a Singapore esiste ancora la pena di morte.

È vero, sì, non mi è venuto in mente. Ma la pena di morte non funziona: lentamente dobbiamo cercare di eliminarla, lentamente. Tanti Paesi hanno la legge ma non eseguono la sentenza. Negli Stati Uniti è lo stesso per alcuni Stati. Ma la pena di morte va fermata. Non va, non va.

Simon Leplâtre (Le Monde) — Santo Padre, in primo luogo grazie tante per questo viaggio affascinante. A Timor Est, ha parlato delle giovani vittime di abusi sessuali. Naturalmente, ci è venuto in mente il vescovo Belo. In Francia abbiamo un caso simile, quello dell’Abbé Pierre, fondatore dell’associazione benefica Emmaus, per molti anni eletto personaggio preferito dai francesi. In ambedue i casi, il carisma di queste due persone ha reso molto più difficile credere a quanto accaduto. Vorrei chiederLe: cosa sapeva il Vaticano dell’Abbé Pierre, e cosa Lei potrebbe dire a tutte quelle persone che fanno fatica a credere che una persona che ha fatto tanto bene possa anche avere commesso dei crimini? Parlando invece della Francia, vorrei sapere: Lei sarà a Parigi in occasione della riapertura della cattedrale di Notre-Dame? Grazie tante.

Rispondo prima all’ultima: non andrò a Parigi. Poi, la prima. Tu hai toccato un punto molto dolente, molto delicato. Gente buona, gente che fa il bene — hai nominato l’Abbé Pierre — che poi, con tanto bene che ha fatto, si vede che questa persona è un peccatore brutto. E questa è la nostra condizione umana. Non dobbiamo dire “copriamo, copriamo, perché non si veda”. I peccati pubblici sono pubblici e vanno condannati. Per esempio, l’Abbé Pierre è un uomo che ha fatto tanto bene, ma è anche un peccatore. E noi dobbiamo parlare chiaro su queste cose, non nascondere. Il lavoro contro gli abusi è una cosa che tutti noi dobbiamo fare: ma non solo contro gli abusi sessuali, contro ogni tipo di abuso: l’abuso sociale, l’abuso educativo, cambiare la mentalità alla gente, togliere la libertà… L’abuso è, a mio giudizio, è una cosa demoniaca, perché ogni tipo di abuso distrugge la dignità della persona, ogni tipo di abuso cerca di distruggere quello che tutti noi siamo: immagine di Dio. Io sono contento quando questi casi vengono fuori. E vi dirò una cosa, che forse ho detto un’altra volta: cinque anni fa, abbiamo fatto un incontro con i presidenti delle Conferenze episcopali sui casi di abusi sessuali e di altri abusi, e abbiamo avuto una statistica molto ben fatta, credo delle Nazioni Unite. Dal 42 al 46 per cento degli abusi si verificano in famiglia o nel quartiere… [interruzione] Per finire: l’abuso sessuale dei bambini, dei minorenni è un crimine, è una vergogna.

Elisabetta Piqué (La Naciòn) — Prima di tutto, grazie per questo viaggio bellissimo ai confini del mondo: è stato il più lungo del Pontificato. E parlando di viaggi lunghi, tutti in questo viaggio, molti colleghi mi hanno domandato: “Ma si va in Argentina?”. Lei tante volte ha detto che magari a fine anno... Questa è la prima domanda: se andiamo in Argentina o no. E la seconda, sul Venezuela: come Lei sa, c’è una situazione drammatica; in questi giorni in cui Lei era in viaggio il presidente teoricamente eletto ha dovuto esiliarsi in Spagna. Che messaggio darebbe al popolo del Venezuela? Grazie.

Io non ho seguito la situazione del Venezuela, ma il messaggio che darei ai governanti è dialogare e fare la pace. Le dittature non servono e finiscono male, prima o dopo. Leggete la storia della Chiesa. Io direi che il governo e la gente facciano di tutto per trovare un cammino di pace, per il Venezuela. Non riesco a dare un’opinione politica perché non conosco i dettagli. So che i vescovi hanno parlato e il messaggio dei vescovi dev’essere più buono. E poi, se andrò in Argentina, è una cosa ancora non decisa. Io vorrei andare, è il mio popolo, vorrei andare; ma ancora non è decisa, perché ci sono diverse cose da risolvere prima. È tutto?

Elisabetta Piqué — Nel caso si andasse, potrebbe esserci uno scalo nelle Canarie?

Tu mi hai letto nel pensiero. Io penso un po’ a questo: andare nelle Canarie, perché lì ci sono le situazioni dei migranti che vengono dal mare, e vorrei essere vicino ai governanti e al popolo delle Canarie. È così.

Bonifasius Josie Susilo Hardianto (Kompas.Id) — Grazie, Santo Padre. Alcuni Paesi si stanno ritirando dal loro impegno preso con l’Accordo di Parigi, a causa di difficoltà economiche, soprattutto dopo la pandemia. Molti Paesi esitano ad affrontare la transizione verso un’energia pulita e meno basata su combustibili fossili. Cosa pensa di questa cosa?

Penso che il problema climatico è grave, è molto grave. Dal momento di Parigi, che è stato il culmine, poi gli incontri climatici sono in discesa. Si parla si parla ma non si fa. Questa è la mia impressione. Su questo ho parlato nei due scritti, Laudato si’ e Laudate Deum.

Matteo Bruni — Intanto, ringraziamo, Santità...

Grazie a voi. Grazie. E avanti, coraggio. Speriamo che ci diano da mangiare, adesso!...

No, Una cosa a cui non avevo risposto...

Matteo Bruni — Per completare la risposta a Simon Leplâtre.

Cosa sapeva il Vaticano dell’Abbé Pierre. Non so quando il Vaticano è venuto a saperlo, non lo so. Non lo so perché io non ero qui e mai mi è venuta l’idea di fare una ricerca su questo. Ma certamente dopo la morte, sicuro; prima, non so.

Matteo Bruni — Grazie ancora, Santità, per questo chiarimento. Buona conclusione di viaggio.