In questo mondo che ci vuole tutti iperconsumisti frenetici e geolocalizzati, pronti a spendere dal divano soldi che spesso non dovremmo spendere per cose di cui non abbiamo veramente bisogno, e nel quale l’Essere è determinato dall’Avere e dal far vedere quel che possediamo tramite i social, ci sono persone che, alzandosi dal divano di casa, lontani dalla vetrina egoriferita di internet, spendono invece una cosa molto più importante dei soldi: il proprio tempo libero, svolgendo un volontariato particolare, fatto di ascolto di storie di fallimenti familiari, di dipendenze dall’azzardo, di sovraindebitamento, di opportunità mancate, di incapacità di gestire le proprie risorse economiche, a volte anche di mancanza di umiltà nel saper ridimensionare il proprio tenore di vita in maniera che sia sostenibile economicamente. E lo fanno con immensa pazienza, guardando negli occhi quelle persone, ascoltandole profondamente, cercando di aiutarle non solo in maniera pratica, ma anche infondendo, empaticamente, una nuova modalità di esistere, consapevoli che essere poveri non è una colpa.
Questi volontari prestano attenzione all’incirca a 200 casi l’anno, dialogando con le banche per evitare che le persone precipitino, attraverso una spirale di soffocamento, nel baratro del fallimento economico fino all’emarginazione sociale.
Si tratta dei volontari della «Salus Populi Romani», la fondazione della Diocesi di Roma che si occupa appunto di salvare dalla debacle economica singoli e famiglie che sono sull’orlo della crisi definitiva, quegli individui e quelle famiglie che non riescono più a pagare, ad esempio, il mutuo o l’affitto e che, senza un aiuto esterno e competente, finirebbero per vedersi pignorata la casa di cui hanno magari pagato per decenni le rate, ma che di colpo, per circostanze date dalla vita (e possono essere innumerevoli le cause), non riescono più a essere solvibili. Persone e famiglie che, in preda alla disperazione, possono incappare nelle maglie di coloro i quali lucrano sulle disgrazie economiche altrui, quelli che vengono chiamati comunemente strozzini.
La Fondazione «Salus Populi Romani» ascolta queste persone in difficoltà, accoglie le loro angosce e il loro dolore, analizza le carte e i documenti e, una volta accertata la veridicità delle dichiarazioni dei soggetti che chiedono aiuto e accertate le condizioni di difficoltà degli stessi (spesso già segnalati al crif o ad altri registri come cattivi pagatori), riesce a mediare con le banche e le finanziarie, a prendersi carico delle insolvenze, a bloccare i pignoramenti o la vendita all’asta degli immobili, e, infine, a rimodulare i mutui in modo da renderli sostenibili.
Sono molte le motivazioni che possono portare singoli e famiglie sull’orlo del baratro economico: la perdita del lavoro, l’aumento della rata del mutuo, a causa della variazione del tasso di interessi legato all’inflazione, la separazione dei coniugi, la dipendenza dall’azzardo, l’uso incontrollato delle carte revolving, ma anche, per assurdo, uno stile di vita al di sopra delle proprie possibilità, che porta a spendere più di quello che si incassa: persone schiave degli status symbol che, pur avendo lavori di alto livello con alta retribuzione, non riescono a smettere di comprare cose costose, di fare vacanze lussuose, o andare in luoghi esclusivi.
Di storie come queste Vincenzo Rafti ne conosce tante e a tante ha dato non solo ascolto, ma soprattutto risposte concrete, capaci di aiutarle ad uscire dalla condizione di sovraindebitamento, che è quella — spiega — «in cui un individuo o una famiglia si trova di fronte al bivio: o pago la rata o compro da mangiare». Ex dirigente della pubblica amministrazione, Vincenzo, quando è andato in pensione, ha deciso di impegnarsi come volontario nella Caritas di Roma. Oggi è membro del consiglio direttivo della Fondazione «Salus Populi Romani». Con lui c’è una squadra di circa trenta volontari — ex bancari, commercialisti, avvocati, notai, imprenditori — capitanata da Giustino Trincia, che, in funzione del suo ruolo di direttore della Caritas di Roma, è il presidente della fondazione.
«Basta poco — racconta Vincenzo — per finire in quella che io chiamo la “spirale di soffocamento”. Ricordo il caso di una famiglia con due figli che, per l’acquisto della casa, aveva contratto un mutuo a tasso variabile: in questo periodo una delle condanne peggiori che possa capitare. Andava tutto bene fino a quando, con la crisi economica, i tassi di interesse hanno cominciato a crescere e l’attività commerciale che garantiva serenità alla famiglia è andata in sofferenza. In pochissimo tempo, è diminuito il reddito familiare ed è aumentato l’importo delle rate del mutuo. Per trovare una soluzione, il capofamiglia ha cominciato a darsi da fare cercando di avviare altre attività che, però, non sono andate bene. Gravata dai nuovi debiti contratti con i fornitori, la famiglia si è ritrovata nell’impossibilità di pagare il mutuo. E cosa fa una banca dopo tre mesi che non paghi? Procede a quella che in termini tecnici si dice “la decadenza a beneficio del termine”: non riconosce più le rate e fa valere l’ipoteca, chiedendoti l’immediata restituzione di tutta la somma residua del mutuo, compresi gli interessi. E se non sei in grado di farlo? Pignora la casa e la mette all’asta».
«Potete immaginare — continua Vincenzo — il dramma che tutto questo provoca: una famiglia già in difficoltà si trova a perdere l’unica certezza, il tetto. Anche perché, in questi casi, il cattivo pagatore viene iscritto in una banca dati alla quale fanno riferimento tutti gli istituti finanziari. In questo modo non hai vie di scampo. Se il tuo nome è scritto lì, nessuno ti farà più un prestito. È qui che trovano spazio le organizzazioni criminali dell’usura, ma anche associazioni di squali, professionisti senza scrupoli che operano al limite della legalità, che promettono di contrattare il debito. Naturalmente in cambio di denaro».
Fortunatamente, la famiglia di cui ci parla Vincenzo si è rivolta alla Fondazione «Salus Populi Romani» che, gratuitamente, ha preso in mano la situazione riuscendo a bloccare la vendita all’asta dell’abitazione, ad accorpare i diversi debiti contratti e a pianificare un piano di rientro economico sostenibile dal reddito del capofamiglia che nel frattempo era riuscito a trovare un lavoro dipendente.
La trappola dell’indebitamento ingoia tutti. Non ci cascano solo le cicale o gli sprovveduti. «Mi è capitato — spiega Vincenzo — il caso di una donna, laureata, ottima occupazione e ottimo stipendio. Improvvisamente viene colpita da una grave malattia degenerativa. Perde il lavoro e lo stipendio e l’indennità sociale non riesce ovviamente a compensarlo. Non basta. Il marito la lascia e qui scatta un’altra delle più frequenti cause di indebitamento: le spese per la separazione. Ciononostante la donna cerca di riprendersi. Da esperta in informatica trova un nuovo lavoro che può svolgere a casa e, anche se con minori risorse, porta avanti la sua vita. Poi arriva la pandemia. Sarà stato per noia, o solitudine, o, forse, anche per superficialità, sta di fatto che comincia a giocare online e in un brevissimo arco di tempo brucia tutti i risparmi e comincia a chiedere prestiti. Naturalmente, conoscendo la sua dipendenza, nessuno l’aiuta. Quando è arrivata da noi aveva un debito spaventoso. Si sarebbe potuto trovare una strada per gestire i suoi debiti, ma, dopo diversi incontri, abbiamo capito che non era quella la strada. Così le abbiamo proposto un percorso per curarsi dalla dipendenza. Questo ci ha consentito di “congelare” i suoi debiti. Appena avrà risolto il suo problema di dipendenza, siamo qui ad aspettarla per risolvere anche la questione economica».
Mentre Vincenzo parla, non posso fare a meno di ricordare, con un po’ d’orgoglio, la risposta che diedi quando mi fu proposto di prestare la mia voce per uno spot pubblicitario per una società dell’azzardo: «Mi spiace — dissi — vi devo dire di no, perché non intendo mettere a disposizione la mia arte di persuasione, che utilizzo attraverso la voce, per convincere le famiglie ad indebitarsi e andare in fallimento». L’impiegato all’altro capo del telefono mi rispose sottovoce: «Signor Starna, ha tutta la mia stima».
La risata che io e Vincenzo ci facciamo sigilla, in un certo modo, il patto che c’è dietro questo incontro che «L’Osservatore di Strada» ci sta dando modo di vivere: far sentire la voce dei disperati non per versare una lacrima, ma per spezzare le catene di un sistema che specula sulle fragilità umane.
Fine della pausa. Vincenzo ha voglia di raccontare, sembra quasi che senta l’urgenza di affidare a me il dovere di mettere in guardia dal pericolo che si nasconde dietro il luccichio di questa società dei consumi sfrenati. «Questo può essere un caso di piccola portata — dice —, ma fa capire bene il modo in cui la gente può arrivare ad impiccarsi con i debiti. Parlo delle carte revolving. Sono legali e ti vengono date gratuitamente. Tu spendi il plafond messo a disposizione sulla carta e poi rimborsi con piccole rate mensili. Il fatto è che, dopo un mese, ricominci, fino a quando ti sei mangiato tutto il capitale e ti rimane solo il debito da pagare, con tassi d’interesse al limite dell’usura. Allora come fai? Prendi un’altra carta per pagare il debito della prima e così di seguito, in una spirale micidiale. Capisci che è una trappola solo dopo, magari dopo due anni, ma ormai ci sei dentro fino al collo. Questo un meccanismo perverso non è molto conosciuto ed è facile cascarci perché spesso queste carte vengono presentate come una qualsiasi altra carta di credito. Alla fondazione si è presentato un pensionato, una persona perbene e con un tenore di vita modesto, che aveva fatto ricorso a queste carte per far fronte alle spese domestiche. In pochi anni è arrivato sul punto di rovinarsi. Siamo intervenuti e siamo riusciti a dargli una mano».
Ma non sempre è così. L’ultima storia che Vincenzo mi racconta gli ha lasciato l’amaro in bocca. È quella di una coppia, entrambi con un lavoro dipendente e un buon reddito, ma con un tenore di vita decisamente al di sopra delle loro possibilità. «Non si facevano mancare il cellulare di ultima generazione, avevano un’auto di grossa cilindrata e facevano vacanze costose. In un primo periodo questo regime ha retto, anche perché c’era l’aiuto dei genitori di lei e lui faceva qualche lavoro extra che gli dava bei soldi. Un lavoro in nero, naturalmente, che, però, quando hai bisogno di capitalizzarlo e ti rivolgi a una banca per chiedere un prestito quelle entrate non non puoi documentarle e, quindi, è come se non esistessero. Insomma, per mantenere quel tenore di vita hanno cominciato ad indebitarsi con banche e con finanziarie che, quando sono di fronte a clienti con un lavoro dipendente, spesso non si fanno troppi problemi. Di solito propongono anche la ristrutturazione del debito, per cui il cliente contrae un nuovo prestito per estinguere il precedente, ma poi si ritrova a pagare una rata sempre maggiore per un maggior numero di mesi. Quando abbiamo conosciuto questa coppia, abbiamo anche scoperto che viveva in una casa popolare, ma non pagava l’affitto, anche se era una cifra irrisoria in confronto alle loro spese mensili. La nostra proposta è stata quella di fare per alcuni mesi il bilancio familiare, in modo tale da prendere coscienza del loro modo di vivere e dare a noi la possibilità di elaborare un progetto per aiutarli. Purtroppo l’hanno considerata una intromissione nella loro vita privata. Non so come sia andata a finire. Purtroppo, anche noi abbiamo i nostri fallimenti».
Nonostante siano molte e differenti le cause che portano al tracollo economico e al sovraindebitamento verso finanziarie o creditori privati, la «Salus Populi Romani» cerca di aiutare tutte quelle persone che si dimostrano volenterose di cambiare vita, di ricominciare. La fondazione non giudica moralmente, mette a disposizione le proprie energie e risorse per aiutare chi si trova di fatto, con o senza colpa, a vivere un incubo.
Come tutte le altre fondazioni antiusura istituite in Italia, anche la «Salus Populi Romani» vede tra i suoi finanziatori il Ministero per l’Economia e le Finanze insieme con la Regione Lazio. Vi è poi il contributo della diocesi ed anche di alcune istituzioni private che, attraverso le donazioni, oltre a fare un’opera di bene sociale, si vedono decurtare dalle tasse gli importi donati.
La fondazione opera nel Lazio, ma fa parte di una rete che la mette in contatto con realtà similari su tutto il territorio nazionale. La missione è la promozione e l’animazione di una cultura della sobrietà e della solidarietà, capace di esprimersi anche nelle scelte di spesa quotidiana e nell’uso adeguato delle risorse finanziarie.
Questa è la realtà della «Salus Populi Romani», forse l’ultimo approdo sicuro prima di un naufragio sociale definitivo. Una realtà che può fare davvero la differenza per chi rischia di non avere più un tetto sulla testa.
di Stefano Starna
Stefano Starna