Cronometro alla mano, allo Stade de France di Parigi sui 100 metri Giuseppe Zapparata — 40 anni, vigile del fuoco, velocista di punta di Athletica Vaticana — con il suo record di 11”34 ne avrebbe superati 9. Il 22 giugno Zapparata è arrivato terzo sui 110 metri ostacoli, a Gibilterra, ai Campionati di atletica leggera dei 18 Piccoli Stati d’Europa.
A Parigi, al turno preliminare olimpico dei 100 metri, si sono schierati ai blocchi di partenza atleti di Paesi sportivamente “minori” — i cosiddetti “Piccoli Stati” — ma che hanno la dignità di rappresentarli ai Giochi, in una visione e in una cultura di fraternità.
Sono atleti che non hanno fatto registrare il tempo richiesto per la partecipazione a Parigi, ma il Comitato olimpico internazionale consente, comunque, l’iscrizione di un rappresentante ai Comitati olimpici nazionali. E i 100 metri — con il turno preliminare che ancora non vede scendere in pista le star — sono tra le gare più adatte. Qui c’è tutto il cosiddetto “spirito olimpico”, l’esserci per condividere e testimoniare un’esperienza nello stile communiter (insieme), come ben esprime la quarta parola aggiunta (a Tokyo tre anni fa) allo storico motto di De Coubertin, coniato dal domenicano Henri Didon.
Così, tra gli altri, Karalo Hepoiteloto Maibuca ha corso per Tuvalu; William Reed per le Isole Marshall; Samer Al-Yafaee per lo Yemen; Manuel Ataide per Timor orientale; Ahmed Essabai per la Libia; Scott James Fiti per la Micronesia; Maleselo Fukofuka per Tonga; Remigio Santander Villarubia per la Guinea Equatoriale; Sha Mahmood Noor Zahi per l’Afghanistan.
E, ancora, ecco Beppe Grillo (che in Italia ha suscitato curiosità per il nome), atleta maltese (con nonni siciliani) che i velocisti di Athletica Vaticana hanno incrociato più volte in pista ai Campionati dei Piccoli Stati d’Europa, diventandone amici.
Poi: Marc Brian Louis viene da Singapore e Muhammad Azeem Fahmi dalla Malaysia; Davonte Howell dalle Isole Cayman e Sibusiso Matsenjwa è andato a Parigi per il Comitato olimpico di eSwatini. Kenaz Kaniwete ha corso per Kiribati e Favoris Muzrapov per il Tagikistan; Taha Hussein Yaseen per l’Iraq e Hachim Maaroufou per le Isole Comore; Ibadulla Adam per le Maldive e Shaun Gill per il Belize; Christopher Borzor per Haiti e Marcos Santos per l’Angola.
Nomi sconosciuti anche a chi mastica di atletica. Di più: Paesi sconosciuti (o quasi) per chi non ha dimestichezza con la geografia. Ma presenti a pieno titolo nell’esperienza olimpica, che non è mai “solo” un fatto di sport. E poi non va sempre così, a volte anche i “piccoli” vincono: l’oro dei 200 metri al femminile è andato a Julien Alfred per Saint Lucia.
Insomma, assistere al turno preliminare dei 100 metri ha un valore molto più che tecnico. Sulla pista gli atleti sono, come si dice, già “segnati”: i pochi che superano il preliminare e accedono al primo turno vengono inesorabilmente spazzati via dai “fenomeni”: Noah Lyles, Kishane Thompson, Fred Kerley, Akani Simbine, Marcell Jacobs, Letsile Tebogo, Kenneth Bednarek, Oblique Seville...
Con le star ha corso forte anche Dorian Keletela, rappresentante del Team olimpico dei rifugiati (era anche ai Giochi di Tokyo), che per il suo record di 10”33 ha saltato il turno preliminare entrando in scena al primo turno.
Nato nel 1999 in Congo, Dorian nel 2016 è fuggito in Portogallo con sua zia dopo aver perso entrambi i genitori nel vortice dell’interminabile guerra che insanguina la sua terra. Aveva 17 anni. È vissuto nei centri di accoglienza e lì è stato notato il suo talento per la velocità. Dice Dorian: «Vorrei che, finita la mia carriera sportiva, i giovani ricordassero il mio nome come fonte di ispirazione che li possa aiutare ad avere il coraggio di cambiare vita». Ha un motto: «Nella vita si va avanti con fede, determinazione, coraggio, pazienza e perseveranza». E lo sport può davvero essere «esperienza di riscatto e dignità».
Oggi, racconta Dorian, «è un privilegio vivere libero e rappresentare non solo me stesso ma oltre 100 milioni di rifugiati. Quando sono fuggito dal Congo, in lacrime per la morte dei miei genitori e pieno di paura per il mio futuro, non avrei immaginato che correre veloce i 100 metri mi avrebbe dato una chance nella vita». E pazienza se poi le medaglie le vince Lyles.
di Giampaolo Mattei