Simul currebant - Giochi di pace
«Il vero campione a casa Samele non sono io con i miei titoli olimpici e mondiali ma è mio fratello Francesco che continua a insegnarci la bellezza della vita con l’aiuto di quei santi che sono i nostri genitori». Francesco, 35 anni, ha la sindrome di Down.
A parlare è Luigi Samele che ai Giochi di Parigi ha appena vinto la medaglia di bronzo sulla pedana della sciabola, aggiungendola a un palmarès ricco di altre 3 medaglie olimpiche (a Londra e a Tokyo) e 5 mondiali, oltre a 3 titoli europei e 9 italiani. Pugliese, vive a Bologna ed è atleta delle Fiamme Gialle.
«Francesco, detto Checco, ha due anni meno di me e abbiamo anche un fratello più grande, Riccardo» racconta Luigi. «Siamo una famiglia molto unita, noi tre fratelli con i nostri genitori. E Checco è il riferimento centrale per tutti». Cedere alla retorica non è nello stile di un atleta, abituato alla concretezza di “andare al dunque” con le stoccate della scherma: «È proprio così, Checco a me ha insegnato e continua a insegnare tante cose e non smetterò mai di ringraziarlo». In realtà, confida, «non l’ho mai trattato come “il fratello con disabilità” perché le cose non stanno così! Checco è un uomo, è mio fratello» rilancia: non è una diagnosi di disabilità.
Poi, aggiunge Luigi, se proprio la vogliamo mettere sul piano delle abilità «Checco ha capacità che... io me le sogno! Con un semplice sguardo lui capisce al volo se sono felice o giù di corda, senza bisogno di una parola: e ci azzecca sempre».
Dopo la medaglia di Parigi, tra gli obiettivi di Luigi — che ora guarderà dentro se stesso per decidere se puntare ai Giochi di Los Angeles 2028 («lo farò solo se sarò ancora competitivo e all’altezza») — c’è un progetto di sport inclusivo, un vero e proprio camp «per persone con sindrome di Down e forme di autismo che consentano di poter tirare di scherma». Naturalmente è un’idea nata dentro casa. «Checco ha sempre fatto sport e nel nuoto è bravissimo, ha vinto tante gare» fa presente Luigi. Ma «l’obiettivo non è tanto e solo vincere quanto vivere un’esperienza che faccia star bene e sia un’opportunità anche nel contesto sociale».
Forte della sua esperienza in famiglia accanto a Checco, Luigi va dritto al punto: «Le persone con disabilità sono ancora etichettate con le parole “diverso” oppure “speciale”: la comunicazione è fondamentale e questi due termini non raccontano nel modo giusto la ricchezza della disabilità. Checco è una persona: non va trattato come uno che non può fare nulla ma neppure come un supereroe».
La questione, secondo Luigi, è che è facile nascondersi dietro le parole “diverso” e “speciale”: «Ecco, il vero problema è la mancanza di relazioni e di conoscenza che porta, poi, a non creare opportunità e alla carenza di strutture adeguate». Anche nello sport. Se i passi avanti sono sotto gli occhi di tutto nell’inclusione di persone con una disabilità fisica — la scherma è in prima linea e le Paralimpiadi sono una testimonianza più che positiva — gravi sono i ritardi nell’attività sportiva (e non solo) di coloro che vivono la disabilità intellettivo-relazionale.
«La scherma — conclude Luigi con l’esperienza del campione — può aiutare le persone con disabilità cognitiva ad allenare la concentrazione, la coordinazione, il rispetto delle regole, l’attitudine ad avere un focus». Capacità che possono mettere in gioco nella “grande pedana della vita”: a scuola, nel lavoro, per prendere il bus da sole.
di Giampaolo Mattei