In forza del cammino sinodale, siamo tutti chiamati a fare memoria della missione per riscoprire la bellezza della nostra vocazione, ben consapevoli della singolarità del nostro tempo. Un tempo che San Paolo VI, dall’alto del suo illuminato magistero, già nel 1971 prefigurò, nel tradizionale messaggio in occasione della Giornata missionaria mondiale, indicando a chiare note lo specifico della missione nella cosiddetta post-modernità: «A noi, poi, spetta di proclamare il Vangelo in questo straordinario periodo della storia umana, un tempo davvero senza precedenti, in cui, a vertici di progresso mai prima raggiunti, si associano abissi di perplessità e di disperazione anch’essi senza precedenti. Se mai ci fu un tempo in cui i cristiani, più che mai in passato, sono chiamati ad essere luce che illumina il mondo, città situata su un monte, sale che dà sapore alla vita degli uomini, questo, indubbiamente, è il nostro tempo. Noi, infatti, possediamo l’antidoto al pessimismo, agli oscuri presagi, allo scoraggiamento e alla paura, di cui soffre il nostro tempo. Noi abbiamo la Buona Novella!»
Quella dialettica tra i «vertici di progresso mai prima raggiunti» e gli «abissi di perplessità e di disperazione» trova la propria ricapitolazione nelle diseguaglianze. Un fenomeno segnato dalla costante divaricazione tra gli estremi: progresso e regresso; ricchezza e povertà; benessere e malessere. Ed è proprio lungo la linea di faglia tra gli estremi che siamo chiamati a vivere la nostra avventura di credenti per la causa del Regno. Ma come? Ricucendo strappo e dunque ricomponendo quella fraternità manomessa dalla storia contemporanea per riscoprire nella fede che siamo tutti fratelli.
Da qui anche la domanda su quale possa essere il posizionamento della Chiesa cattolica in Africa rispetto a questo scenario di valenza sempre più planetaria. Da una parte, infatti, le giovani comunità del continente, dal punto di vista vocazionale, sono davvero in buona salute. Stando all’Annuario Statistico della Chiesa 2022, pubblicato nel febbraio del 2024, dei 108.481 seminaristi in tutto il mondo, nel 2022, l’Africa è stato il continente con il numero più alto, 34.541. La stessa fonte riferisce che, sebbene il numero di cattolici battezzati sia aumentato a livello globale, passando da 1,376 miliardi nel 2021 a 1,390 miliardi nel 2022, con un incremento relativo dell’1,0%, il tasso di variazione è variato da continente a continente. Ad esempio, mentre l’Europa mostra una situazione di stabilità (nel 2021 e nel 2022 i cattolici ammontavano a 286 milioni), l’Africa ha registrato un aumento del 3%, con il numero di cattolici salito da 265 a 273 milioni nello stesso periodo. L’Africa è anche il continente con il maggiore incremento di religiose, passate da 81.832 nel 2021 a 83.190 nel 2022, cioè con un aumento dell’1,7%.
In un messaggio in vista del SECAM Day del 28 e 29 luglio, che celebra i 55 anni dalla fondazione di questa istituzione fortemente voluta da San Paolo VI , il presidente dello stesso SECAM (Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar), il cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa nella Repubblica Democratica del Congo, ha evidenziato i vari modi attraverso i quali la Chiesa in Africa è fiorita, dalla crescita delle vocazioni alla promozione dello sviluppo umano nel continente. Il porporato, ha inoltre ricordato sia che la maggior parte della gerarchia in Africa proviene ora dal clero autoctono, secolare e religioso, sia che un numero sempre crescente di africani ricopre posizioni di leadership negli Istituti di vita consacrata e nelle Società di vita apostolica.
D’altra parte, però, il presidente del SECAM ha fatto intendere che la missione evangelizzatrice nel continente è comunque impegnativa, sottolineando infatti che sebbene la Chiesa africana continui a fornire missionari ad altri luoghi del mondo che sperimentano una diminuzione del personale (come nel caso delle Chiese europee e nordamericane), è necessario prestare attenzione anche a quelle regioni africane che ancora oggi presentano ugualmente carenze che non andrebbero assolutamente sottovalutate. Secondo il cardinale Ambongo Besungu, alcuni luoghi dell’Africa, soprattutto le regioni settentrionali e meridionali del continente, hanno un disperato bisogno di più sacerdoti.
Il porporato non ha comunque esitato nell’esprimere gratitudine alle Chiese europee che attraverso i loro missionari hanno evangelizzato tutta l’Africa e che «oggi devono confrontarsi con la diminuzione del personale a causa del secolarismo che spinge sempre più persone lontano dalla Chiesa». In effetti, nonostante la sua «notevole crescita», l’Africa continua «ad avere fame e sete di Gesù e del Vangelo». Il cardinale ha infatti ricordato che «i cristiani rappresentano il 30% della popolazione africana. Quindi, poiché ci sono milioni di africani non ancora evangelizzati, è assolutamente necessario e urgente che la Chiesa in Africa si impegni nel compito del primo annuncio».
Ma proprio perché la Chiesa africana è parte integrante della società civile del continente, essa è continuamente sottoposta alle sollecitazioni e interferenze prodotte dal macrofenomeno della globalizzazione. Basti pensare ad esempio alla crisi economica che attanaglia non poche economie nazionali, legata in parte alla questione del debito. Come se non bastasse, l’azione predatoria e fortemente invasiva perpetrata da potentati stranieri più o meno occulti, denunciata a chiare lettere nel febbraio del 2023 a Kinshasa dal Santo Padre, procrastina nel tempo le sofferenze delle popolazioni autoctone e dunque le stesse comunità cristiane.
Emblematico è il caso che accomuna le province congolesi del Nord Kivu e dell’Ituri ricche di materie prime, dove a pagare il prezzo più alto è la stremata popolazione civile a seguito delle nefandezze perpetrate dai numerosi gruppi armati. Se a questo poi aggiungiamo la crisi di legittimità dei poteri statuali, la frustrazione per le promesse non mantenute, l’arricchimento indebito delle élites politiche e l’indebolimento delle istituzioni democratiche, tutti fattori riscontrabili in non pochi paesi africani, è evidente che le conferenze episcopali africane non possono fare a meno di dare voce a chi voce non ha. In proposito è molto significativo l’impegno profuso dall’Associazione delle Conferenze Episcopali dell’Africa Centrale (ACEAC) che si sta prodigando nel promuovere il Vangelo della pace, particolarmente proprio in quel settore nordorientale dell’ex Zaire.
Né infine andrebbe sottaciuto l’aspetto del sempre più difficoltoso sostegno economico internazionale alle giovani chiese africane. Qui entrano in gioco diversi fattori. Anzitutto oggi in Europa, come anche nel Nord America e Australia, sono molte le ong e le società (piccole e grandi) impegnate nella raccolta fondi e molte di loro finanziano progetti che non sono necessariamente legati alle comunità cristiane e al loro impegno di evangelizzazione e promozione umana. Il tutto, per inciso, almeno per le più grandi, con una percentuale di spesa in attività di autopromozione e pubblicità sempre maggiore rispetto a quella che finisce nei progetti stessi. Questo nuovo corso gioca a svantaggio dei missionari/e che un tempo avevano quasi il monopolio della solidarietà nei confronti dell’Africa, una solidarietà che non ha mai subito le dispersioni di questi costi aggiuntivi.
Inoltre, la crisi economica globale riguarda anche il cosiddetto Nord del mondo e dunque in alcuni casi ha penalizzato le offerte destinate alle giovani Chiese africane. Vi è poi l’attuale congiuntura politica internazionale che, a seguito della crisi russo-ucraina e di quella israelo-palestinese, ha confinato l’Africa nel dimenticatoio. Questo scenario pone alla Chiesa africana nel suo complesso la vexata quaestio della propria auto-sostenibilità.
Una cosa è certa: l’Africa riveste un ruolo fondamentale nel cristianesimo del Terzo Millennio, dal momento che è diventata il primo continente per popolazione assoluta di cristiani (includendo oltre ai cattolici, gli ortodossi i protestanti, i pentecostali e le chiese indipendenti autoctone), con oltre 500 milioni di fedeli e ospita comunque circa un quarto della popolazione cristiana mondiale. Molte sono le sfide sul tappeto, tra queste quella dell’inculturazione, un tema che sta molto a cuore alla maggioranza dei teologi africani, cattolici e non. D’altronde, come ebbe a dire Papa Francesco: «Una fede che non è inculturata non è autentica». La posta in gioco è grande guardando al presente, ma soprattutto al futuro.
di Giulio Albanese