24 luglio 2024
Se la sofferenza terrena è sufficiente a giustificare una vita, la poetessa russa Marina Cvetaeva è tra i meritevoli d’essere salvati. Poiché la sua esistenza, costantemente dominata da passioni assolute, non poteva che scontrarsi con la cruda realtà dell’egoismo, dell’imperfezione umana, del tradimento. Fino a essere stritolata nell’implacabile tritacarne del regime bolscevico.
Tuttavia Cvetaeva, con Anna Achmatova voce dominante della poesia russa novecentesca, aveva probabilmente messo in conto sia la disfatta personale che la possibilità di sopravvivere attraverso i suoi versi. E questi ci vengono restituiti ora nella raccolta Verste. Poesie 1916-1920 (Milano, La Vita Felice, 2024, pagine 332, euro 16, traduzione di Bruno Osimo). Dove le verste, antica unità di misura russa, stanno a indicare ...
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