La “lectio magistralis” nella solennità dei santi protomartiri Ermagora e Fortunato
«Una comunità di mosaicisti, che con pazienza, professionalità e creatività si ingegna ogni giorno per ricomporre i frammenti di un’umanità dilaniata dalla discordia, nel tentativo di restituire al mondo piccoli mosaici di fraternità, dove le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda». È l’immagine scelta dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, per descrivere la diplomazia della Santa Sede.
Lo ha fatto in occasione della lectio magistralis sul tema Aquileia Magistra Pacis - Un contrappunto alla diplomazia della Santa Sede tenuta ieri, 12 luglio, nell’antica sede patriarcale in occasione della solennità dei santi patroni, i protomartiri Ermagora e Fortunato.
La commemorazione, ha spiegato il presule, «esorta a fare “memoria attualizzante” di un’illustre tradizione che qui ebbe il suo cuore pulsante e i cui frutti maturi possono ancora oggi nutrire l’intelligenza e la creatività umana, per promuovere l’edificazione di un ordine mondiale giusto». L’«illustre tradizione» è quella di una terra di confine dal grande patrimonio artistico musivo e di un agglomerato, che fin dal 181 a.C., anno di fondazione, si è configurato come «porta di Roma verso i Balcani e l’Oriente» e «straordinario crocevia cosmopolita di genti e idee»; un luogo in cui lo scambio di merci, capitali, uomini e informazioni favorì «una continua mutazione dei limiti geopolitici della Venetia et Histria, che da frontiere chiuse e quasi impenetrabili sono progressivamente mutati in confini permeabili, inducenti all’osmosi e al confronto».
Aquileia, grazie alla sua «particolare sensibilità per la pace», ha saputo costruire una «lunga storia di convivenza, incontro e dialogo», e si propone come esempio maturo di fratellanza universale «a cui l’Europa di oggi — ha auspicato l’arcivescovo — dovrebbe continuare a ispirarsi per seminare la pace con pazienza e fiducia».
Ricordando alcune figure di ecclesiastici originari del Friuli Venezia Giulia che hanno servito la Chiesa come diplomatici, Gallagher ha rintracciato alcune «consonanze tra il patrimonio di valori aggreganti riconducibili allo spirito di Aquileia e i tratti della diplomazia della Santa Sede». È così possibile una rilettura “in filigrana” delle cifre “aquileiane” che il presule ha rintracciato «nell’attitudine a favorire il dialogo con tutti; nella propensione a usare fino allo stremo umiltà e pazienza per sciogliere nodi apparentemente inestricabili; nella fatica di ricucire i più tenui segni di buona volontà delle parti in conflitto». Forte di una delle “alte lezioni” di Aquileia, l’ideale della pace come concordia fra i popoli, quella della Santa Sede si configura come una «diplomazia della misericordia», impegnata anche nella «salvaguardia del carattere trascendente dell’uomo e dei suoi diritti fondamentali».
Dall’Ucraina alla Palestina, a Israele, all’Azerbaigian, al Myanmar, all’Etiopia, al Sudan, allo Yemen: volgendo lo sguardo ai conflitti in atto è possibile per Gallagher «notare alcune costanti dell’attività diplomatica della Santa Sede, pur nella diversità degli scenari. Essa infatti si mobilita sempre come soggetto super partes; interviene per sostenere un’idea di pace frutto di giusti rapporti, di rispetto delle norme internazionali, di tutela dei diritti umani fondamentali, a iniziare da quelli degli ultimi, i più vulnerabili; si attiva sul piano umanitario per sostenere gli sforzi di rinnovamento della vita sociale in luoghi remoti e spesso dimenticati, o per facilitare il rimpatrio dei bambini ucraini e lo scambio dei prigionieri di guerra tra Russia e Ucraina», o «per favorire la liberazione degli ostaggi israeliani nella Striscia di Gaza».
Ancora, l’«alta lezione» di Aquileia a coltivare un atteggiamento rispettoso e positivo verso autonomie e diverse etnie con uno spirito universalistico e aperto alla solidarietà «non può non evocare il sostegno della Santa Sede al processo di integrazione dei Balcani occidentali nell’Unione Europea». Infine l’esempio di Aquileia riguardo all’accoglienza di popoli e culture diversi sprona a riflettere sulla crisi migratoria lungo la rotta dei Balcani occidentali. In tale contesto «sorprende che la costruzione di muri e il ritorno dei migranti in luoghi non sicuri appaia come l’unica soluzione per gestire la mobilità umana», ha detto l’arcivescovo citando la Fratelli tutti e spiegando come la Santa Sede intervenga «nei competenti organismi multilaterali proponendo ai Governi e alla società civile un percorso articolato attorno a quattro verbi fondati sui principi della dottrina della Chiesa: “accogliere lo straniero, anche se al momento non porta un beneficio tangibile”, proteggerlo, promuoverlo e integrarlo, pur sempre nel rispetto della cultura, della sensibilità e della sicurezza delle popolazioni di destinazione».
Benché Aquileia continui a interpellare le coscienze come «maestra di pace», le “alte lezioni” della sua storia sembrano purtroppo «smentite dalle angoscianti prospettive di un mondo sull’orlo di una guerra globale. Seppur in “un mosaico di situazioni drammatiche” — ha concluso il presule — i rappresentanti pontifici sono chiamati ad agire per facilitare la coesistenza e la convivenza fra le varie nazioni, per promuovere quella fraternità tra i popoli, dove il termine fraternità è sinonimo di collaborazione fattiva, di vera cooperazione, concorde e ordinata, di una solidarietà strutturata a vantaggio del bene comune e di quello dei singoli».
La messa nella basilica di Santa Maria Assunta
L’esperienza cristiana come cura e lotta
La cura e la lotta, due tratti distintivi dell’esperienza cristiana: li ha evidenziati ieri sera, venerdì 12 luglio, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher durante la messa presieduta nella basilica di Santa Maria Assunta ad Aquileia, dopo la lectio magistralis. L’Eucaristia è stata celebrata in onore dei santi protomartiri aquileiesi Ermagora e Fortunato, patroni delle arcidiocesi di Gorizia e di Udine e della regione Friuli-Venezia Giulia.
Vissuti nel iii secolo d.C., Ermagora e Fortunato furono, rispettivamente, primo vescovo e diacono di Aquileia.
Della fede furono entrambi «pionieri», ha detto Gallagher, sottolineandone la «scelta di amore» in Cristo e l’essere immagine del Buon Pastore. Quest’ultimo — ha affermato il presule — «è il modello della cura che Dio ha per noi», nonché «della cura che noi dobbiamo avere per gli altri». Una “cultura della cura” che «abbraccia ogni aspetto della nostra esistenza, chiedendo a ciascuno di dare il meglio di sé», e che va intesa come riconciliazione, guarigione, rispetto e accoglienza reciproca, ha spiegato Gallagher. Solo uscendo «dalle strettoie dei nostri egoismi» e dall’indifferenza che «troppo spesso ci paralizza il cuore», infatti, la cura diverrà «una via privilegiata per la costruzione della pace nel mondo».
Ricordando, poi, la tragica morte di Ermagora e Fortunato, decapitati dopo il rifiuto di abiurare alla loro fede, il presule ha messo in risalto il loro lottare «contro lo spirito del mondo», ovvero contro quella mondanità «alternativa e opposta al Vangelo». Anche sotto tale aspetto, i due protomartiri aquileiesi — la cui vicenda è narrata dal tappeto musivo che orna il pavimento della locale basilica — sono un modello non solo per «i tanti cristiani perseguitati nel mondo in odio alla fede», ma anche «per ciascuno di noi», che ci troviamo a vivere «una battaglia interiore, un martirio della vita quotidiana» che si realizza «nel coraggio di testimoniare al mondo la verità della fede e della dottrina cristiana» e nell’adoperarsi per «difendere la dignità umana, la pace e la giustizia».
Il tutto, ha concluso Gallagher, con la consapevolezza di chi sa che «la nostra lotta non è vana né senza speranza, perché tale combattimento ha già un vincitore: Gesù, colui che ha sconfitto nella sua morte la forza del peccato» e che custodisce ogni uomo «come bene prezioso e non lo abbandona nelle valli oscure della sofferenza, dell’incertezza e di tutti i problemi che possono turbare l’animo».
Insieme al segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali hanno concelebrato l’arcivescovo di Gorizia, Carlo Roberto Maria Redaelli, e numerosi presuli del Triveneto e della vicina Slovenia.
La messa ha concluso due giorni di solenni celebrazioni in onore di Ermagora e Fortunato, apertesi giovedì 11 luglio nella cattedrale di Udine, con i primi vespri presieduti dall’ordinario locale, l’arcivescovo Riccardo Lamba. La celebrazione è stata arricchita dalla presenza delle croci astili delle Pievi storiche diocesane, ornate con nastri e fiori. Ieri mattina inoltre, sempre nella cattedrale di Udine, monsignor Lamba ha presieduto l’Eucaristia, contraddistinta dal canto della sequenza Plebs fidelis Hermacorae.