Parole in cammino: «Perdersi/divagare»
Il valore positivo dello smarrimento

Vie impreviste

 Vie impreviste  QUO-124
03 giugno 2024

Camminare è un’attività pericolosa. Se prendi la via della strada e ti metti in cammino ti possono capitare tante cose non previste, rischiose.. le abbiamo già viste nelle puntate precedenti di Parole in cammino, come incontrare qualcuno e quindi contaminarsi, ma anche inciampare e cadere, oppure fermarsi, perdere il ritmo, dover fare delle soste (più o meno) forzate, ma potrebbe capitare qualcosa ancora più grave: perdere la strada, smarrirsi. Oppure, anche qui, un perdersi che non è forzato ma voluto: di-vagare. È questo il tema affrontato nella puntata di venerdì scorso alla Radio Vaticana insieme a due giovani studentesse di materie filosofiche e teologiche: Marta Croppo e Margherita Di Marco.

La strada è quella realtà che l’uomo tende a smarrire. È questa la condizione di partenza della Divina Commedia in cui Dante si trova a metà della sua vita che «diritta via era smarrita». Lo smarrimento come condizione universale dell'uomo. Se Dante si trova in una «selva oscura», ancora prima di questo crollo c’è l’esperienza straniante e inquietante, del trovarsi dentro un labirinto. Sono luoghi fisici ma soprattutto mentali i labirinti. Luoghi in cui si vive la frustrante esperienza di tornare sempre sullo stesso posto o dove si sta per divagare, vagare senza più una meta, perché non si vuole o si teme di riprendere il cammino. Nella sua rivisitazione del mito del labirinto nel racconto Teseo Andrè Gide immagina che il labirinto non sia un luogo tremendo, oscuro e pericoloso ma al contrario un luogo pieno di delizie e di seduzioni, per questo è difficile uscirne fuori, è la volontà stessa che viene minata alle fondamenta. Papa Francesco ha ricordato più volte questa immagine del labirinto in cui l’uomo finisce per girare a vuoto e ha sottolineato come si possa uscire da questa condizione o «dall’alto» (come in fondo fanno Dedalo e Icaro) o grazie a un «filo» che qualcuno (come Arianna) ci ha lanciato in un gesto di aiuto. Bisogna avere o ritrovare quel filo e sentire lo «strappo» che è come una chiamata che gli altri ci rivolgono scuotendoci.

C’è poi un aspetto positivo del perdersi, sottolineato dall’antico detto «quando fai un viaggio in una terra straniera non chiedere la strada a chi la conosce, potresti non perderti», come a dire che è nel dna della vita umana l’esperienza del perdersi come imprevisto che sovverte i nostri schemi e così facendo ci permette di entrare a un livello più profondo di conoscenza. Sembra insomma che alcune volte la vecchia via sia meglio perderla che trovarla!

di Andrea Monda