«Signore, permettimi di andare prima
a seppellire mio padre»
«Seguimi, e lascia che i morti
seppelliscano i loro morti»
(Matteo, 8, 21-22)
È brutale questa risposta che Gesù rivolge a un suo futuro discepolo. Lo scrittore cristiano del iii secolo Origene non esitava a definire «un atto disumano» questa proposta: cercava, allora, di attenuarla aggiungendo che «a seppellire il corpo morto ci pensano già in molti». In realtà, noi dobbiamo lasciare intatta questa frase paradossale, consapevoli che Gesù ama non di rado ricorrere alla radicalità per proporre il suo messaggio e alla totalità della scelta senza compromessi che il suo seguace deve compiere.
È ovvio che Cristo non vuole cancellare il quarto comandamento sull’onore da riservare ai genitori, che nel giudaismo comprendeva anche le onoranze funebri: anzi, al contrario di quanto propone Gesù, si era dispensati dalle pratiche religiose rituali ufficiali per potersi dedicare completamente alla sepoltura del caro defunto. Il detto di Cristo vuole, invece, esaltare con forza e con un’incisività provocatoria l’assolutezza, la pienezza, la drastica nettezza della scelta per il Regno di Dio che egli annuncia.
Non per nulla prima aveva dichiarato: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, il Figlio dell’uomo non ha neppure dove posare il capo» (8, 20). E subito dopo, secondo un passo parallelo di Luca, a un discepolo che chiede almeno di avere il tempo per un congedo dalla sua famiglia, replicherà: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il Regno di Dio» (9, 62). Il riferimento allusivo in questa frase di Gesù è alla vocazione del profeta Eliseo, chiamato da Elia mentre arava e da lui autorizzato a salutare con un pranzo d’addio il padre, la madre e il clan ( 1 Re, 19, 19-21). La lezione è chiara: esistono dei beni così alti che esigono rinunce radicali.
Abituati come siamo al compromesso, agli accordi al ribasso sia nell’esistenza sociale sia nelle scelte morali, le parole di Gesù piombano come una spada che taglia i facili alibi, le cautele interessate, le furbizie politiche. C’è una scelta esistenziale primaria rispetto alla cura delle realtà morte, pur rispettabili; ci sono valori per i quali si devono sacrificare anche certi affetti e convenienze. Significativa è una frase autobiografica che san Paolo indirizza agli amati cristiani di Filippi: «Dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (3, 13-14).
Non si tratta, dunque, di una rinuncia masochistica, bensì di una scelta positiva per una meta da raggiungere, alla quale consacrare tutto il proprio impegno. Non per nulla Luca nel passo parallelo completa la frase di Gesù con una precisazione: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il Regno di Dio!» (9 ,60). Concludiamo con una nota ulteriore: è evidente che Cristo nella sua frase gioca anche sul doppio significato di “morti”. Ci sono, certo, i morti fisici, i defunti; ma c’è anche una morte spirituale, quella di coloro che, immersi nelle cose, si curano solo di realtà materiali, di cadaveri.
di Gianfranco Ravasi