Il Papa a Verona
Un israeliano e un palestinese insieme per una testimonianza di perdono

La speranza di pace nel gesto fraterno di Maoz e Aziz

 La speranza di pace nel gesto fraterno di Maoz  e Aziz  QUO-112
18 maggio 2024

Un’immagine: l’abbraccio di Maoz Inon, israeliano, i cui genitori sono stati uccisi dell’assalto terroristico di Hamas il 7 ottobre, e di Aziz Sarah, palestinese, che nella guerra seguita a quell’attacco feroce ha perso il fratello, con Papa Francesco al termine della loro commovente testimonianza.

Un momento: il silenzio chiesto dal Pontefice subito dopo le loro parole; un silenzio rotto solo dal Santo Padre per invocare il dono e il coraggio della pace, affinché cessino la guerra in Terra Santa e tutti gli altri conflitti che insanguinano il mondo.

È quanto porteranno nel cuore e nella memoria le 12.500 persone che sabato mattina erano presenti all’interno dell’Arena per l’incontro più atteso della vista del Pontefice a Verona. Qui si sono dati appuntamento i rappresentanti di diverse realtà della società civile organizzata, dei movimenti popolari italiani e internazionali per partecipare all’“Arena di pace 2024”.

Per una volta, dunque, non sono state le arie di un’opera lirica a levarsi dall’antico e suggestivo anfiteatro romano, ma gli appelli alla pace lanciati, sul palco o in video, da quanti hanno preso la parola per portare la propria testimonianza a questo importante incontro; particolarmente emozionante quella dell’anziano filosofo Edgar Morin da un letto di ospedale.

Appelli ai quali si è aggiunto quello conclusivo, forte e accorato, di Francesco dopo aver ascoltato le testimonianze dei due giovani imprenditori, che hanno parlato abbracciati e che alla fine sono stati salutati da una standing ovation, e dopo gli appelli rivoltogli in alcuni video da donne e mamme ebree e palestinesi.

Prima di questo toccante momento che ha unito il dolore di due popoli vittime della guerra, il Papa ha risposto ad alcune domande che hanno ripreso le riflessioni emerse dai cinque tavoli tematici — migrazioni, ambiente/creato, lavoro ed economia, disarmo, democrazie e diritti — sui quali si sono incentrati gli incontri di preparazione a questo evento, l’ultimo dei quali ieri alla Fiera di Verona.

Un appuntamento particolarmente atteso, questo con il Papa — il terzo della mattinata — che al suo arrivo nell’anfiteatro scaligero, finalmente illuminato da un caldo sole estivo dopo alcuni giorni di pioggia intensa, è stato accolto da un’ovazione che ha costretto don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, a interrompere il suo intervento, ripreso quando il Papa ha raggiunto il palco, affiancato dal vescovo di Verona, monsignor Domenico Pompili, e da padre Alex Zanotelli.

A condurre l’incontro — introdotto da un breve video con un brano dell’intervento tenuto da don Tonino Bello all’“Arena di pace 1989” — il presentatore televisivo Amadeus, che ha introdotto i vari interventi e gli intermezzi musicali: un brano tratto dal Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi, eseguito da Cecilia Gasdia, soprintendente della Fondazione Arena di Verona, che al pianoforte ha accompagnato tre cantanti lirici, e un brano del cantautore Luciano Ligabue.

Tra i vari momenti, la recita del salmo 85 — dal quale è stato tratto il tema dell’“Arena di pace” e della visita “Giustizia e pace si baceranno” — letto dall’attore veronese Matteo Martari, accompagnato da una coreografia e da un brano eseguito al piano e cantato dalla Gasdia.

L'ultimo atto è stato un gesto: dopo il suo intervento finale, il Papa ha firmato la copia dell'appello delle mamme palestinesi e israeliane portatagli da Maoz e Aziz.

Prima e dopo il momento con la presenza del Pontefice, la mattinata ha visto alternarsi testimonianze e riflessioni a intermezzi più leggeri, grazie alle esibizioni di artisti di livello internazionale.

“Arena di pace 2024” non è un evento isolato, ma un percorso iniziato a giugno 2023, promosso dalla diocesi e da alcune riviste cattoliche italiane, che riprende l’esperienza delle “Arene di pace” degli anni Ottanta e Novanta, grazie anche alla spinta delle congregazioni missionarie che qui a Verona sono molte e di antica tradizione. Una iniziativa poi interrotta e che rinasce dalla presa d’atto di quella “terza guerra mondiale a pezzi” di cui ha parlato più volte proprio Papa Francesco e dall’urgenza di interrogarsi su come può essere intesa la pace nel contesto odierno e su quali processi si possono intraprendere per costruirla.

E da oggi alle riflessioni emerse grazie a esperti e attivisti si aggiungono quelle di Francesco che, con le sue risposte, ha delineato ulteriormente la strada da seguire, sottolineando la sfida di «risvegliare nei giovani la passione per la partecipazione».

Lasciata l’Arena, il Papa ha raggiunto in automobile, salutato da migliaia di persone lungo il percorso, la Casa circondariale di Montorio per l’incontro con i detenuti, un appuntamento ormai fisso nei programmi delle visite papali. E, come in altre occasioni, è stato un momento di grande intensità e commozione. Ad accoglierlo all’ingresso Francesca Gioieni, direttore del carcere, e Mario Piramide, direttore della Polizia penitenziaria.

Durante il tragitto verso il luogo dell’incontro con i detenuti, il campo di calcio, il Pontefice ha salutato i familiari delle guardie carcerarie, i volontari, un centinaio, che svolgono il loro servizio, tra i quali quelli legati alla cappellania del carcere, e gli operatori socio-sanitari, gli agenti di custodia, fermandosi spesso a parlare con alcuni di loro.

Poi, appena l’auto elettrica su cui viaggiava è spuntata da dietro un edificio, è esploso l’entusiasmo dei 550 detenuti, tra cui 50 donne, che lo attendevano sul prato: più della metà sono stranieri e molti sono musulmani.

Il Papa è passato tra i vari settori salutando praticamente tutti, stringendo mani, ascoltando le loro domande, rispondendo alle sollecitazioni. Alcune detenuti gli hanno offerto dei fiori.

In un clima di forte emozione, dopo un brano eseguito da un gruppo musicale formato da detenuti, ha parlato la direttrice, poi è stata la volta di un detenuto che ha letto un breve saluto.

Subito dopo il Pontefice ha tenuto il suo discorso nel quale, facendo anche un riferimento ai casi di suicidio avvenuti nel carcere, ha invitato i presenti a «non cedere alla sconforto», perché «la vita è sempre degna di essere vissuta... anche quando tutto sembra spegnersi».

Al termine alcuni detenuti hanno consegnato al Papa un cesto in cui sono stati raccolti pensieri e lettere, e una formella con la scritta, carica di speranza nel futuro e nella possibilità di una rinascita personale, “Io credo in”. La stessa raffigurata in un grande murale realizzato per l’occasione nella sala in cui Francesco si è poi fermato a pranzo con 96 ospiti del carcere — era presente anche l’imam Mohsen Khochtali, membro del consiglio islamico di Verona — mentre altri 12 hanno invece prestato servizio ai tavoli. A sua volta il Papa ha donato al carcere un quadro raffigurante una Madonna con Bambino.

Aver deciso di pranzare in questo luogo è l’ennesima testimonianza della particolare attenzione di Francesco verso il mondo del carcere.

«Quello trascorso qui dal Pontefice è il tempo più lungo tra i diversi momenti dei questa visita a Verona», fa notare il cappellano, fra’ Paolo Crivelli, riprendendo un concetto sottolineato dal saluto del detenuto, e che ci racconta anche i vari momenti dell’attesa di questo incontro: «Il primo, dopo l’annuncio, è stato quello dell’indifferenza: i detenuti sono abituati a crearsi aspettative che poi vanno deluse, lasciando un grande senso di frustrazione. Il secondo è stato di rabbia, ovvero la convinzione che sarebbero stati esclusi da questo momento, e il lavoro è stato quello di far capire che invece il Papa sarebbe venuto per loro. Il terzo e ultimo è stato invece il fermento, ovvero la consapevolezza che i protagonisti sarebbero stati loro, che loro sarebbero stati al centro dell’attenzione. E questa — sottolinea il cappellano — è una cosa straordinaria per quanti hanno bisogno di riscoprire il loro valore come persone umane, di riscoprire il senso della dignità perduta».

Un lavoro di presa di coscienza e di valorizzazione, dunque, che, nel segno dell’inclusione, ha trovato spazio in altri momenti di questa giornata. Gli allestimenti in legno disposti sul palco dell’Arena di Pace sono stati infatti prodotti nella falegnameria che Reverse cooperativa impresa sociale gestisce all’interno del carcere dal 2016, e realizzati con materiali naturali, utilizzando legno proveniente da scarti produttivi e da filiera controllata, pensati per il riutilizzato.

Anche i tessuti scelti per i cuscini delle sedute sono stati realizzati nel laboratorio di sartoria della Casa circondariale, grazie al progetto Quid, cooperativa dedicata alla moda sostenibile e all’inclusione sociale. Il tutto nell’ambito di un progetto dedicato alla formazione con l’obiettivo di diffondere competenze, dignità del lavoro, fiducia in sé stessi in vista di un pieno reinserimento nella società.

E un po’ di carcere, per così dire, sarà presente anche alla messa pomeridiana, che concluderà la visita e che, mentre andiamo in stampa, viene celebrata da Francesco nello stadio Bentegodi: le ostie che verranno utilizzate sono infatti state realizzate dai detenuti di Castelfranco Emilia, grazie a un progetto della cooperativa Giorni nuovi.

Dopo il pranzo nella Casa circondariale il Papa si è recato al vescovado di Verona per una breve visita all’anziana madre di monsignor Pompili. 

dal nostro inviato
Gaetano Vallini