Il cardinale Fernández su Medjugorje

Sarà più facile arrivare
a conclusione prudenziale

 Sarà più facile arrivare a conclusione prudenziale  QUO-111
17 maggio 2024

«Su Medjugorje non si è concluso ancora, ma con queste norme pensiamo che sarà più facile andare avanti e arrivare a una conclusione». Lo ha detto il cardinale prefetto Fernández rispondendo durante la conferenza stampa alla domanda di una giornalista, aggiungendo che «su altri casi che sono presenti da molti anni al Dicastero, con queste norme sarà più facile arrivare a una conclusione prudenziale». Quindi ha continuato: «In molti casi questi fenomeni sono cresciuti bene e normalmente. Alle volte un fenomeno può essere facilmente gestibile, non ci sono problemi, ci sono frutti positivi: così è successo nella maggior parte dei santuari. Molti santuari tanto frequentati dai fedeli hanno avuto all’origine un’esperienza» simile. «Non c’è mai stata una dichiarazione, né dal vescovo né dal Dicastero, da nessuno e sono cresciuti normalmente senza problemi come devozione popolare». Insomma «perché un bel fenomeno cresca» ha spiegato il porporato non occorre «una dichiarazione di soprannaturalità. Nel caso di Lourdes, Fátima, Guadalupe, l’enorme crescita non è dipesa da una dichiarazione di soprannaturalità».

E a una seconda domanda relativa al medesimo tema il porporato ha risposto: su «Medjugorje vediamo. Perché io ad esempio non ho letto il materiale che c’è nel Dicastero, so alcuni dettagli ma dobbiamo metterci a studiare per arrivare a una conclusione con queste nuove norme. Tenete conto che un fenomeno può essere considerato buono, non pericoloso all’origine e può avere alcuni problemi nello sviluppo posteriore. Allora alle volte una dichiarazione deve chiarire queste diverse tappe: quella è una differenza che bisogna considerare. E poi anche supponiamo che ci fosse un nulla osta, un nihil obstat, allo stesso tempo forse si dovrà chiarire che alcuni dettagli non debbono essere presi sul serio. Perché se non ricordo male credo che la Madonna lì dava anche qualche ordine mettendo l’orario, il posto, quello che doveva fare il vescovo eccetera. Quello si dovrà chiarire».

Del resto le voci e le testimonianze del popolo devoto della Gospa — la Signora, la Madonna, in croato — sono la narrazione più forte, che dura da quasi 43 anni, del “fenomeno” Medjugorje. Fino al 24 giugno 1981 il nome di questo paesino della Bosnia ed Erzegovina (allora nella Jugoslavia comunista), nella diocesi di Mostar-Duvno, era conosciuto solo da chi abitava nella regione. Oggi è punto di riferimento spirituale, oltre che di pellegrinaggio fisico, per un grande popolo.

Due ragazze di 15 e 16 anni, Ivanka Ivanković e Mirjana Dragičević, raccontarono di aver visto — mentre passeggiavano su una collina sassosa chiamata Podbrdo, alle 16 di quel 24 giugno 1981 — una figura femminile su una piccola nube. Poco dopo alle due ragazze si era aggiunta Vicka Ivanković, cugina di Ivanka. Tutte e tre dissero di aver visto di nuovo la figura misteriosa stavolta con un bambino in braccio, identificandola subito con la Vergine Maria. Ivan Dragičević, Jakov Čolo e Marija Pavlović sono gli altri tre giovanissimi che componevano il gruppo di coloro che vengono chiamati “veggenti”. I sei ragazzi parlarono delle apparizioni di Maria che si sarebbe presentata come “Regina della pace” con un messaggio che, fondamentalmente, è un invito alla riconciliazione e alla conversione.

A partire da quel pomeriggio e da quei racconti — in un remoto pezzo di terra che di lì a poco avrebbe conosciuto una guerra sanguinosa — ha preso le mosse una storia che sta lasciando un segno nella vita della Chiesa, raggiungendo, in modi diversi, milioni di persone: tra adesioni e conversioni — con lunghe file ai confessionali e partecipazioni straordinarie alle adorazioni eucaristiche — ma anche tra forti scetticismi e serrate opposizioni.

Proprio a fronte della crescita delle esperienze legate a Medjugorje, nel 1991 i vescovi della Jugoslavia avevano affermato, nella cosiddetta “Dichiarazione di Zara”, che, sulla base delle indagini fino a quel momento compiute, non era possibile affermare che si trattasse di apparizioni e fenomeni soprannaturali.

Per fare chiarezza sui fatti di Medjugorje, Benedetto xvi aveva costituito, il 17 marzo 2010, una Commissione internazionale di inchiesta presso l’allora Congregazione per la Dottrina della fede. La Commissione, presieduta dal cardinale Camillo Ruini, aveva raccolto ed esaminato, in 17 riunioni, «tutto il materiale» sulla questione e presentato al Papa «una relazione dettagliata», col relativo voto circa «la soprannaturalità o meno» delle apparizioni. Indicando le «soluzioni pastorali» più opportune. Per arrivare alle conclusioni, la Commissione aveva preso in esame tutta la documentazione depositata in Vaticano, nella parrocchia di Medjugorje e anche negli archivi dei servizi segreti dell’ex Jugoslavia. Aveva ascoltato i presunti “veggenti” e i testimoni. Inoltre, nell’aprile 2012, aveva svolto un sopralluogo a Medjugorje.

Questo lavoro è andato avanti per quasi quattro anni, fino al 17 gennaio 2014: la relazione conclusiva è stata consegnata a Papa Francesco.

In merito a Medjugorje, rispondendo a una domanda durante la conferenza stampa sull’aereo ritornando dal viaggio apostolico a Fátima, il 13 maggio 2017, Papa Francesco ha ricordato che «tutte le apparizioni o le presunte apparizioni appartengono alla sfera privata, non sono parte del Magistero pubblico ordinario della Chiesa». E ha fatto riferimento, in particolare, al lavoro della Commissione d’inchiesta, distinguendo tre aspetti: «Sulle prime apparizioni, quando [i “veggenti”] erano ragazzi, il rapporto più o meno dice che si deve continuare a investigare. Circa le presunte apparizioni attuali, il rapporto ha i suoi dubbi» e «terzo — ebbe a dire il Pontefice — il nocciolo vero e proprio del rapporto-Ruini: il fatto spirituale, il fatto pastorale, gente che va lì e si converte, gente che incontra Dio, che cambia vita. Per questo non c’è una bacchetta magica, e questo fatto spirituale-pastorale non si può negare».

Con tale consapevolezza, il Papa ha deciso di affidare, l’11 febbraio 2017, all’arcivescovo polacco Henryk Hoser la missione di «inviato speciale della Santa Sede» per «acquisire più approfondite conoscenze della situazione pastorale» a Medjugorje e, «soprattutto, delle esigenze dei fedeli che vi giungono in pellegrinaggio» per «suggerire eventuali iniziative pastorali per il futuro». Una missione, dunque, di «carattere esclusivamente pastorale».

Il 31 maggio 2018 Francesco — senza entrare nelle questioni specifiche legate alle presunte apparizioni — ha nominato l’arcivescovo Hoser visitatore apostolico a carattere speciale per la parrocchia di Medjugorje, a tempo indeterminato e ad nutum Sanctae Sedis. Un incarico sempre «esclusivamente pastorale», in continuità con la missione di inviato speciale della Santa Sede che aveva portato a termine. «La missione del visitatore apostolico — ha reso noto la Sala stampa della Santa Sede — ha la finalità di assicurare un accompagnamento stabile e continuo della comunità parrocchiale di Medjugorje e dei fedeli che vi si recano in pellegrinaggio, le cui esigenze richiedono una peculiare attenzione».

Intervistato da Vatican News, monsignor Hoser aveva spiegato che a Medjugorje arrivano pellegrini da tutto il mondo «per incontrare Cristo e sua Madre»: «La via mariana è quella più certa e sicura» perché conduce a Gesù. A Medjugorje, infatti, i fedeli hanno «al centro la Santa Messa, l’adorazione del Santissimo Sacramento, una massiccia frequenza del Sacramento della Penitenza». Per l’arcivescovo si trattava di un vero culto “cristocentrico”, vissuto con la vicinanza alla Vergine Maria, venerata con l’appellativo di “Regina della pace”.

Sempre su questa linea, il 12 maggio 2019 monsignor Hoser e il nunzio apostolico in Bosnia ed Erzegovina, l’arcivescovo Luigi Pezzuto, avevano annunciato la decisione di Papa Francesco di autorizzare i pellegrinaggi a Medjugorje, che possono così essere ufficialmente organizzati dalle diocesi e dalle parrocchie e non avverranno più soltanto in forma “privata” come indicato fino a quel momento dalla Congregazione per la Dottrina della fede.

A questo proposito, l’allora direttore “ad interim” della Sala stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti, aveva precisato che l’autorizzazione del Papa va accompagnata «alla cura di evitare che questi pellegrinaggi siano interpretati come una autenticazione dei noti avvenimenti, che richiedono ancora un esame da parte della Chiesa. Va evitato dunque che tali pellegrinaggi creino confusione o ambiguità sotto l’aspetto dottrinale. Ciò riguarda anche i pastori di ogni ordine e grado che intendono recarsi a Medjugorje e lì celebrare o concelebrare anche in modo solenne». Gisotti aveva inoltre fatto presente che, «considerati il notevole flusso di persone e gli abbondanti frutti di grazia che ne sono scaturiti, tale disposizione rientra nella peculiare attenzione pastorale che il Santo Padre ha inteso dare a quella realtà, rivolta a favorire e promuovere i frutti di bene». E così il visitatore apostolico «avrà maggiore facilità a stabilire rapporti con i sacerdoti incaricati di organizzare pellegrinaggi a Medjugorje, come persone sicure e ben preparate, offrendo loro informazioni e indicazioni per poter condurre fruttuosamente tali pellegrinaggi».

Il 27 novembre 2021 il Papa ha nominato successore dell’arcivescovo Hoser — morto il 13 agosto precedente — l’arcivescovo Aldo Cavalli come visitatore apostolico, dipendente dalla Santa Sede, incaricato della cura pastorale dei pellegrini che affrontano viaggi per pregare a Medjugorje.