L’introduzione di Papa Francesco a un libro pubblicato in preparazione alla visita pastorale a Verona

Piccoli tasselli di pace

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15 maggio 2024

Pubblichiamo integralmente l’introduzione, inedita, scritta da Francesco al libro «Giustizia e pace si baceranno» (Libreria editrice vaticana - «L’Arena», Città del Vaticano - Verona, 2024, pagine 64), un’antologia di testi del Pontefice che sarà distribuita gratuitamente con il quotidiano veronese in occasione della visita papale in programma sabato 18 maggio nella città scaligera.

Sono lieto di introdurre con alcune parole questa raccolta di testi e pensieri sul tema, quanto mai attuale, del rapporto tra giustizia e pace, il cui legame è al centro della visita che andrò a compiere fra breve tempo a Verona. Giustizia e pace, si augura il salmista, si baceranno, cioè si uniranno come avviene per l’amata con il suo amato. Perché esse sono dimensioni interiori e processi storici che stanno o decadono insieme: se manca la giustizia, la pace è minacciata; senza la pace, la giustizia è compromessa.

Ed è quanto mai vero che la giustizia, intesa come la virtù di rendere ciò che si deve a Dio e al prossimo, è legata a doppio filo con la pace, nel senso più autentico e proprio della parola ebraica shalom. Questo termine sta a significare non tanto l’assenza di guerra bensì la pienezza di vita e di prosperità. Ed è solo con la giustizia che si può vivere nello shalom, ed è unicamente la pace che rende possibile la giustizia. Quest’ultima è spesso una delle prime “vittime” di ogni conflitto, mentre la pace diventa precondizione per una società giusta.

Ma entrambe queste due dimensioni dell’umano hanno un prezzo. Che è quello della lotta al proprio egoismo — ogni egoismo è profondamente ingiusto! L’egoismo, cioè mettere il “mio” davanti al “nostro”, è ingiusto perché esclude l’altro e l’Altro, lo mette da parte e lo confina in un piano secondario. E l’egoismo, quando diventa sistema di vita personale e sociale, apre le porte al conflitto, perché per difendere i “miei” interessi (o quelli che presumiamo tali) si è pronti a tutto, anche a sopraffare il vicino, che da prossimo diventa avversario e quindi un nemico. Da umiliare, abbattere e sconfiggere.

Lo ha ricordato con parole inequivocabili un grande veronese, nato nella città dell’Arena e in seguito cresciuto in Germania, Romano Guardini: «La libertà non consiste nel seguire l’arbitrio personale o politico, ma ciò che è richiesto dalla natura dell’essere». Guardini, con la sua azione educativa, le sue riflessioni filosofiche e spirituali, è stato un faro in un tempo particolarmente buio, quello della Germania degli anni Trenta e Quaranta, schiacciata dal giogo terribile del regime nazista. Alcuni membri della Rosa Bianca, il gruppo di giovani tedeschi che denunciò il nazismo a Monaco, si erano abbeverati agli scritti filosofici e religiosi di Guardini. Anche da quelle letture scaturì l’azione nonviolenta di quei ragazzi e ragazze che, scrivendo volantini clandestini diffusi in città, cercavano di risvegliare le coscienze delle persone, intorpidite dal totalitarismo di Hitler. E pagarono con la vita questa loro scelta di coscienza e di libertà.

Alcune persone mi hanno raccontato una vicenda storica nella quale la giustizia e la pace si sono congiunte in un doppio sacrificio personale: quello di don Domenico Mercante, un parroco della montagna veronese preso in ostaggio da soldati nazisti nei giorni concitati della fine della guerra, e quello del soldato Leonardo Dallasega, che si rifiutò di ucciderlo perché, da credente, disse, non poteva uccidere un sacerdote: entrambi vennero barbaramente assassinati. In questa tragica circostanza troviamo il senso profondo del sacrificio cristiano: dare la vita per l’altro, anche a costo della propria. Questo è il mistero della Pasqua di Cristo: la violenza e la morte vengono sconfitte dall’amore e dal dono di sé.

Forse noi non saremo costretti a versare il sangue per professare la nostra fede, come ancora avviene in molte parti nel mondo per tanti nostri fratelli cristiani, ma è nelle piccole cose che siamo chiamati a testimoniare la forza pacifica della croce di Cristo e la vita nuova che nasce da essa: un gesto di perdono verso chi ci ha offeso, sopportare una maldicenza ingiusta, aiutare qualcuno messo ai margini. La pace è artigianale: non la costruiscono solo i potenti con le loro scelte e i loro trattati internazionali, che restano scelte politiche quanto mai importanti e urgenti. La pace la costruiamo noi, nelle nostre case, in famiglia, tra vicini di casa, nei luoghi dove lavoriamo, nei quartieri dove abitiamo. Possiamo fare pace aiutando un migrante che mendica in strada, visitando un anziano che è solo e non ha nessuno con cui parlare, moltiplicando i gesti di cura e di rispetto verso il povero che è il pianeta Terra, così maltrattato dal nostro egoismo sfruttatore, accogliendo ogni nascituro che viene al mondo, gesto che per santa Madre Teresa era un autentico atto di pace. Piccoli tasselli di pace, se si saldano insieme, costruiscono una pace grande, che espande il suo profumo ovunque.

In queste scelte di pace e di giustizia quotidiane e a portata di mano possiamo seminare l’inizio di un mondo nuovo, dove la morte non avrà l’ultima parola e la vita fiorirà per tutti.

Città del Vaticano, 17 aprile 2024


Il prete e il soldato


Nel libro il Papa ricorda la vicenda del sacerdote veronese don Domenico Mercante e del soldato Leonardo Dallasega, risalente all’aprile 1945, nel tempo convulso della fine seconda Guerra mondiale, quando un gruppo di paracadutisti tedeschi in fuga verso il nord si inoltra in Val d’Illasi, al confine col Trentino, e lì intercetta un soldato della Wehrmacht, Leonardo Dallasega, originario della Val di Non. In ritirata da solo, viene incorporato con la forza nel gruppo. Giunti a Giazza, l’ultimo paesino della Val d’Illasi, i militari, dopo una scaramuccia con dei partigiani, prendono in ostaggio don Domenico Mercante, 46 anni, da meno di due parroco del paesino, ma già noto per le azioni di protezione della popolazione civile durante l’occupazione nazi-fascista. I soldati volevano farsi scudo con il sacerdote passando per le montagne, per raggiungere il Trentino e  puntare verso il Brennero, per salvarsi da eventuali rappresaglie. Raggiunta al pomeriggio la località di Cerè-San Martino, un ufficiale ordina a Dallasega di sbarazzarsi del prete. Ma Dallasega — riferiscono testimoni oculari — risponde: «Sono cattolico, padre di quattro figli, non possono sparare a un sacerdote!». Entrambi furono allora fucilati. Il corpo di don Domenico venne riportato a Giazza dopo qualche giorno; quello di Dallasega fu ritrovato con un crocifisso, un rosario e la foto della moglie in mano. Solo molti anni più tardi fu riconosciuto: per decenni era rimasto senza nome. La vicenda è stata indagata, documentata e raccontata dal sacerdote veronese don Luigi Fraccari, impegnato in Germania fin dal 1943 a fianco degli Internati Militari Italiani (imi) e con il nunzio apostolico del tempo Cesare Orsenigo.