Senza casa, perché costretti ad abbandonarla a motivo di violenze, conflitti e disastri naturali, in Sudan come nella Repubblica Democratica del Congo e nella Striscia di Gaza. Sono i quasi 76 milioni di sfollati registrati nel 2023, secondo i dati resi noti ieri a Ginevra dall’Osservatorio Idmc, ong che si occupa di monitorare gli sfollati interni a livello globale.
Nel report annuale dell’organizzazione, nata nel 1998 come parte del Norwegian refugee council, il numero di sfollati interni risulta essere di 75,9 milioni, un livello record se si considera — fa notare l’Idmc — che la cifra è aumentata del 50% negli ultimi cinque anni e che a fine 2022, anno dell’invasione russa dell’Ucraina, si superavano di poco i 71 milioni.
A differenza dei rifugiati che fuggono da un Paese per stabilirsi altrove, gli sfollati interni rimangono nella loro nazione d’origine ma sono costretti a spostarsi, anche più volte, come successo a Rafah o nell’est della Repubblica Democratica del Congo: violenze e conflitti sono le cause principali di questi sfollamenti forzati (68,3 milioni), mentre i disastri naturali, dalle alluvioni ai terremoti, hanno costretto a fuggire 7,7 milioni di persone.
Secondo l’Osservatorio Idmc, quasi la metà di tutti gli sfollati vive nell’Africa subsahariana. Con 9,1 milioni di sfollati interni, il Sudan ha il numero più alto mai registrato in un singolo Paese dal 2008: da quando è scoppiata la guerra tra esercito di Khartoum e paramilitari, nell’aprile 2023, l’Onu calcola che siano stati oltre 8,6 milioni i sudanesi costretti a fuggire dalle loro case, in un esodo senza fine che troppo spesso contraddistingue le cosiddette “guerre dimenticate”.