Gli anziani non vanno lasciati soli: sono la memoria
«Gli anziani non devono essere lasciati soli» perché rappresentano «la memoria di un mondo senza memoria». Lo ha detto Papa Francesco rivolgendosi alle migliaia di nonni e nipoti che hanno gremito stamane l’Aula Paolo vi per partecipare all’incontro promosso dalla Fondazione “Età Grande”. Di seguito il testo del discorso pronunciato dal Pontefice.
Cari nonni e cari nipoti, buongiorno e benvenuti!
Saluto Mons. Vincenzo Paglia e tutti coloro che hanno collaborato per organizzare questo momento di festa. E un particolare ringraziamento va ai numerosi personaggi dello spettacolo che hanno voluto partecipare. Grazie! Poi, tutti noi abbiamo un nonno o una nonna, due nonni due nonne. È un’esperienza bella avere un nonno. Ma anche l’Italia ha un “nonno”, e per questo voglio salutare “il nonno d’Italia” [Lino Banfi], che è qui presente.
È bello accogliervi qui, nonni e nipoti, giovani e meno giovani. Oggi vediamo, come dice il Salmo, quanto è bello stare insieme (cfr. Sal 133). Basta guardarvi per capirlo, perché tra voi c’è amore. E proprio su questo vorrei che riflettessimo un momento: sul fatto che l’amore ci rende migliori, ci rende più ricchi e ci rende più saggi ad ogni età.
Primo: l’amore ci rende migliori. Lo mostrate anche voi, che vi migliorate a vicenda volendovi bene. E ve lo dico da “nonno”, col desiderio di condividere la fede sempre giovane che unisce tutte le generazioni. Anch’io l’ho ricevuta da mia nonna, dalla quale per prima ho imparato a conoscere Gesù, che ci ama, che non ci lascia mai soli, e che ci sprona a farci anche noi vicini gli uni agli altri e a non escludere mai nessuno. Io ricordo ancora oggi le prime preghiere che mi ha insegnato la nonna. È da lei che ho sentito la storia di quella famiglia dove c’era il nonno che, siccome a tavola non mangiava più bene e si sporcava, era stato allontanato, messo a mangiare da solo. E non era una cosa bella — la nonna mi ha raccontato questa storia —, non era una cosa bella anzi, era molto brutta! Allora il nipotino — continua la storia che mi aveva raccontato la nonna — il nipotino si è messo a trafficare per qualche giorno con martello e chiodi e, quando il papà gli ha chiesto cosa stesse facendo, ha risposto: “Costruisco un tavolo per te, per farti mangiare da solo quando diventi vecchio!”. Questo mi ha insegnato la mia nonna, e io non ho dimenticato mai questa storia. Non dimenticatela neanche voi, perché è solo stando insieme con amore, non escludendo nessuno, che si diventa migliori, si diventa più umani!
Non solo, ma si diventa anche più ricchi. Come mai? La nostra società è piena di persone specializzate in tante cose, ricca di conoscenze e di mezzi utili per tutti. Se però non c’è condivisione e ognuno pensa solo a sé, tutta la ricchezza va perduta, anzi si trasforma in un impoverimento di umanità. E questo è un grande rischio per il nostro tempo: la povertà della frammentazione e dell’egoismo. La persona egoista pensa di essere più importante se si mette al centro e se ha più cose, più cose... Ma la persona egoista è la più povera, perché l’egoismo impoverisce. Pensiamo, ad esempio, ad alcune espressioni che usiamo: quando parliamo di “mondo dei giovani”, di “mondo dei vecchi”, di “mondo di questo e di quello”... Ma il mondo è uno solo! Ed è composto di tante realtà che sono diverse proprio per potersi aiutare e completare a vicenda: le generazioni, i popoli, e tutte le differenze, se armonizzate, possono rivelare, come le facce di un grande diamante, lo splendore meraviglioso dell’uomo e del creato. Anche questo ci insegna il vostro stare insieme: a non lasciare che le diversità creino spaccature tra noi! A non polverizzare il diamante dell’amore, il tesoro più bello che Dio ci ha donato.
A volte sentiamo frasi come “pensa a te stesso!”, “non aver bisogno di nessuno!”. Sono frasi false, che ingannano le persone, facendo credere che sia bello non dipendere dagli altri, fare da sé, vivere come isole, mentre questi sono atteggiamenti che creano solo tanta solitudine. Come ad esempio quando, per la cultura dello scarto, gli anziani vengono lasciati soli e devono trascorrere gli ultimi anni della vita lontano da casa e dai propri cari. Cosa ne pensate? È bello questo o non è bello? No! Gli anziani non devono essere lasciati soli, devono vivere in famiglia, in comunità, con l’affetto di tutti. E se non possono vivere in famiglia, noi dobbiamo andare a cercarli e stare loro vicino. Pensiamoci un momento: non è molto meglio un mondo in cui nessuno deve aver paura di finire i suoi giorni da solo? Chiaramente sì. E allora costruiamolo questo mondo, insieme, non solo elaborando programmi di assistenza, quanto coltivando progetti diversi di esistenza, in cui gli anni che passano non siano considerati una perdita che sminuisce qualcuno, ma un bene che cresce e arricchisce tutti: e come tali siano apprezzati e non temuti.
E questo ci porta all’ultimo aspetto: l’amore che rende più saggi. È curioso: l’amore ci rende più saggi. Cari nipoti, i vostri nonni sono la memoria di un mondo senza memoria, e «quando una società perde la memoria, è finita» (Discorso alla Comunità di Sant’Egidio, 15 giugno 2014). Domando: com’è una società che perde la memoria? [rispondono in coro: “finita”] Finita. Non dobbiamo perdere la memoria. Ascoltate i nonni, specialmente quando vi insegnano col loro amore e con la loro testimonianza a coltivare gli affetti più importanti, che non si ottengono con la forza, non appaiono con il successo, ma riempiono la vita.
Non è un caso che siano stati due anziani, mi piace pensare due nonni, Simeone e Anna, a riconoscere Gesù quando è stato portato al Tempio da Maria e Giuseppe (cfr. Lc 2, 22-38). Sono stati questi due nonni a riconoscere Gesù, prima di tutti. L’hanno accolto, preso tra le braccia e hanno compreso — solo loro l’hanno compreso — quello che stava succedendo: che cioè Dio era lì, presente, e che li guardava con gli occhi di un Bambino. Capite? Questi due anziani, solo loro si sono accorti, vedendo il piccolo Gesù, che era arrivato il Messia, il Salvatore che tutti aspettavano. Sono stati i vecchi a capire il Mistero.
Gli anziani usano gli occhiali — quasi tutti — ma vedono lontano. Come mai? Vedono lontano perché hanno vissuto tanti anni, e hanno tante cose da insegnare: ad esempio quanto è brutta la guerra. Io, tanto tempo fa, l’ho imparato proprio da mio nonno, che aveva vissuto il ’14, al Piave, la prima guerra mondiale, e che con i suoi racconti mi ha fatto capire che la guerra è una cosa orribile, da non fare mai. Mi ha insegnato anche una bella canzone, che ancora ricordo. Volete che ve la dica? [rispondono: “Sì!”]. Pensate bene, questo cantavano i soldati al Piave: “Il general Cadorna scrisse alla Regina: se vuol guardar Trieste, la guardi in cartolina!” È bello! Lo cantavano i soldati.
Cercate i vostri nonni e non emarginateli, per il vostro bene: «L’emarginazione degli anziani [...] corrompe tutte le stagioni della vita, non solo quella dell’anzianità» (Catechesi, 1° giugno 2022). Nell’altra diocesi io visitavo le case di riposo degli anziani, e sempre domandavo: “Quanti figli ha?” — “Tanti, tanti!” — “E vengono a trovarla?” — “Sì, sì, sempre — ricordo un caso — vengono sempre”. E quando uscivo, l’infermiera mi diceva: “Che buona quella donna, come copre i figli: vengono due volte all’anno, non di più”. I nonni sono generosi, sanno coprire le cose brutte. Per favore, cercate i vostri nonni, non emarginateli, è per il vostro bene. L’emarginazione degli anziani corrompe tutte le stagioni della vita, non solo quella dell’anzianità. Mi piace ripetere questo. Voi invece imparate la saggezza dal loro amore forte, e anche dalla loro fragilità, che è un “magistero” capace di insegnare senza bisogno di parole, un vero antidoto contro l’indurimento del cuore: vi aiuterà a non appiattirvi sul presente e a gustare la vita come relazione (cfr. Benedetto xvi, Saluto nella casa-famiglia “Viva gli anziani”, 12 novembre 2012). Ma non solo: quando voi, nonni e nipoti, anziani e giovani, state insieme, quando vi vedete e vi sentite spesso, quando vi prendete cura gli uni degli altri, il vostro amore è un soffio di aria pulita che rinfresca il mondo e la società e ci rende tutti più forti, al di là dei legami di parentela.
È il messaggio che ci ha dato anche Gesù sulla croce, quando «vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco tuo figlio! Poi disse al discepolo: Ecco tua madre! E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé» (Gv 19, 26-27). Con quelle parole ci ha affidato un miracolo da realizzare: quello di amarci tutti come una grande famiglia.
Carissimi amici, grazie per essere qui, e grazie per quello che fate con la Fondazione “Età Grande”! Insieme, uniti, siete un esempio e un dono per tutti. Vi ricordo nella preghiera, vi benedico, e vi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie, grazie tante!
La carezza e il sorriso
«Per la prima volta migliaia di nonni e nipoti provenienti da tutta Italia si sono riuniti per rappresentare milioni di anziani e bimbi e insieme testimoniare l’importanza del legame tra generazioni, tracciato nel segno delle parole “eredità” e “premura”, tanto care a Papa Francesco». L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita e della Fondazione Età Grande che ha promosso la manifestazione «La carezza e il sorriso», riassume così il senso dell’incontro di questa mattina nell’Aula Paolo vi tra il Pontefice ed esponenti di generazioni diverse, ma unite dal desiderio di comprendersi e proteggersi reciprocamente.
Scopo della fondazione organizzatrice è infatti proprio sostenere le persone anziane e il loro ruolo nel mondo attuale. Tra i presenti, il cardinale Carlos Aguiar Retes, arcivescovo metropolita di Città del Messico, intenzionato ad applicare questo modello di inclusione nella realtà messicana. E, in mezzo a tanti nonni, anche l’attore Lino Banfi, il “nonno d’Italia” come lo ha definito Papa Francesco salutandolo durante la lettura del discorso.
Apertosi con le musiche del coro della diocesi di Roma diretto da monsignor Marco Frisina, che a più riprese hanno allietato la mattinata, l’incontro è proseguito con monsignor Paglia impegnato in un simpatico dialogo con l’attore pugliese che ha letto una sua poesia dedicata alla guerra in Ucraina. L’esibizione del cantante Al Bano ha quindi preceduto la toccante testimonianza di Sofia Soli, novantunenne che non si è arresa ai dolori della vita. «Dopo la morte di mio marito — ha raccontato — ho scelto di non continuare a vivere da sola e nemmeno di ritirarmi in una casa di riposo: mi sono trasferita da dieci anni in un co-housing, un condominio solidale della Comunità di Sant’Egidio, dove vivono anche altri anziani in appartamenti singoli o condivisi». Non solo: «Vado anche a trovare nel quartiere altri anziani più isolati. Noi anziani possiamo aiutare le altre generazioni a capire proprio questo: che pensare solo a sé stessi avvilisce, intristisce e fa invecchiare male, e che davvero “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”, come ha detto Gesù, e questo vale per tutti».
Subito dopo è stata la volta di Fabio Ciani, nonno di tre nipoti: Chiara ed Eleonora, rispettivamente di 20 e 17 anni, che lo hanno accompagnato in Vaticano; ed Emanuele, diciassettenne originario del Ciad e adottato quando aveva due anni. «Il senso di famiglia unita che ho vissuto da piccolo — ha detto l’uomo — è rimasto nel mio cuore e ho cercato di trasmetterlo ai miei nipoti. È una grande consolazione vederli crescere, accompagnarli, e vedere che non tutto nasce e finisce con me. Io invecchio, ma vedo il futuro», ha aggiunto. Quel futuro che per la nipote Chiara affonda le radici proprio nell’amore ricevuto in famiglia: «Crescendo, i miei nonni sono diventati per me un rifugio: condivido con loro le cose belle, ma se mi va male una giornata so che hanno sempre tempo per ascoltarmi. E per capirmi».
Accompagnato dall’entusiasmo dei presenti, il Pontefice ha fatto ingresso nell’Aula alle 10.45 circa e, al termine del suo discorso, ha recitato insieme all’assemblea l’Ave Maria e impartito la benedizione. Dopodiché, sulla carrozzina, si è soffermato a salutare in particolare le persone con disabilità, intrattenendosi a parlare brevemente con alcune di esse e con gli anziani che avevano presentato la loro testimonianza.
di Rosario Capomasi