«A Budapest, bella città di ponti e di santi, sono stato pellegrino per pregare insieme con voi. Pregare per l’Europa, per “il desiderio di costruire la pace, di dare alle giovani generazioni un futuro di speranza, non di guerra; un avvenire pieno di culle, non di tombe; un mondo di fratelli, non di muri”»: lo ha ricordato Papa Francesco ai pellegrini ungheresi ricevuti in udienza nell’Aula Paolo vi stamane, giovedì 25 aprile, a un anno dal viaggio compiuto nella capitale dell’Ungheria dal 28 al 30 dello stesso mese del 2023. Ecco il discorso del Pontefice.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti! Isten hozott!
Saluto tutti voi, che siete venuti a confermare il vostro legame con il Successore di Pietro e a fare la vostra professione di fede, in questo tempo pasquale nel quale il Signore Risorto ci illumina e ci dona la speranza che non delude. Saluto il Cardinale Péter Erdő, Primate d’Ungheria. Saluto il Presidente della Conferenza Episcopale Ungherese, Mons. András Veres, tutti i Vescovi presenti, i sacerdoti, i consacrati, i fedeli laici. Saluto le Autorità civili, in particolare sono lieto di dare il benvenuto al nuovo Presidente d’Ungheria, il Signor Tamás Sulyok.
Il vostro pellegrinaggio avviene un anno dopo il mio Viaggio Apostolico in Ungheria, che porto nel cuore con tanta gratitudine. Per questo mi piace oggi farne memoria, ricordando che sono venuto in mezzo a voi come pellegrino, come fratello e come amico.
A Budapest, bella città di ponti e di santi, sono stato pellegrino per pregare insieme con voi. Pregare per l’Europa, per «il desiderio di costruire la pace, di dare alle giovani generazioni un futuro di speranza, non di guerra; un avvenire pieno di culle, non di tombe; un mondo di fratelli, non di muri» (Regina Caeli, 30 aprile 2023). Ho pregato per la vostra cara Nazione, che da un millennio abita quella terra e la feconda col Vangelo di Cristo. Nella preghiera possiate sempre ritrovare la forza, la determinazione per seguire, anche nel contesto storico attuale, l’esempio dei Santi e dei Beati germogliati dal vostro popolo.
Il Risorto, apparendo in mezzo ai suoi discepoli, ha donato loro la pace. Non dimentichiamo, fratelli e sorelle, che la realizzazione di questo grande dono inizia nel cuore di ognuno di noi; inizia davanti alla porta di casa mia quando, prima di uscire, decido se voglio vivere quel giorno come un uomo o una donna di pace, cioè di vivere in pace con gli altri. La pace nasce quando decido di perdonare, anche se è difficile, e questo riempie il cuore di gioia. Nuovamente affido la Chiesa nel vostro Paese all’intercessione della Magna Domina Hungarorum, di Santo Stefano, San Ladislao, Santa Elisabetta, Sant’Emerico e di tutti i Santi e Beati: che essa si fortifichi nell’ardore della testimonianza e nella gioia dell’annuncio.
Oltre che come pellegrino, ho voluto venire tra voi da fratello. Specialmente nell’incontro con voi, cari Vescovi, cari sacerdoti, religiose e religiosi. Vi ho incoraggiato ad assumere come atteggiamento e stile di vita lo “stile di Dio”, che è fatto di tenerezza, vicinanza e compassione. Non dimenticare questo: lo stile di Dio è tenerezza, vicinanza e compassione. In questo vi aiutano gli esempi recenti del tempo della persecuzione, come quello del Beato Vilmos Apor, che per la sua vicinanza e la difesa delle donne rifugiate ha dovuto pagare con la vita. Oppure quello di Zoltán Meszlényi, che ha compiuto con tanta dedizione il suo servizio fino all’ultimo momento della vita. E come non ricordare il giovane sacerdote János Brenner? Spinto dalla tenerezza e dello zelo pastorale, andò a confortare un presunto malato portandogli la Comunione, senza sospettare che era una trappola e che sarebbe stato barbaramente ucciso. O anche Sára Salkaházi, che durante la deportazione nazista degli ebrei ebbe compassione delle vittime, tanto che subì il martirio sotto il Ponte della Libertà a Pest. Questi esempi vi spingano ad avere gli stessi atteggiamenti verso coloro che sono affidati alle vostre cure.
E poi ho voluto stare insieme a voi come un amico. In particolare, ricordo con tanta gioia l’incontro con voi, cari giovani. Voglio ancora incoraggiarvi a camminare nel dialogo con le generazioni che vi hanno preceduto. A parlare con i nonni, con gli anziani del vostro popolo; a cercare le radici, perché così metterete basi solide per il futuro. Custodendo le radici potrete guardare avanti con fiducia, rafforzandovi nei valori che danno vita: la famiglia, l’unità, la pace. Mi piace quel vostro proverbio molto evangelico: “Meglio dare che ricevere” — Jobb adni mind kapni. È proprio così: donandosi uno si ritrova e la sua vita non rimane vuota.
Come amico ho incontrato anche persone in condizioni di sofferenza: profughi, poveri, emarginati. Vi ringrazio perché avete il cuore aperto verso i profughi ucraini che hanno lasciato il loro Paese a causa della guerra. E apprezzo anche i vostri sforzi di integrare coloro che vivono nelle periferie della società.
Cari fratelli e sorelle, grazie per la vostra vicinanza e il vostro affetto! Camminiamo insieme sulla via del Signore come uomini e donne “pasquali”, e riconosciamolo nello spezzare il pane, alla mensa eucaristica e a quella degli affamati; nella sua Parola e nell’incontro con gli altri. Grazie per la vostra fedeltà a Cristo, manifestata nella testimonianza della fede e nell’ecumenismo vissuto, nei rapporti con i vostri vicini, nella carità accogliente anche di chi è diverso, nel rispetto di ogni vita umana e nella cura responsabile per l’ambiente.
Vi benedico di cuore, e la Madonna vi custodisca. Isten áld meg a magyart! — Dio benedica gli ungheresi! E per favore, continuate a pregare per me. Grazie!