L’antidoto è il perdono

 L’antidoto  è il perdono  QUO-091
20 aprile 2024

Gli ultimi atti di guerra a cui abbiamo appena assistito sono più simili a infernali videogiochi che ai tradizionali conflitti, con i cosiddetti “potenti della Terra” che inviano droni e missili come a Risiko e si dicono soddisfatti della “partita” giocata anche se gli ordigni volanti sono stati neutralizzati dalle opposte contraeree. Game over, fine del gioco, sembra di leggere sullo schermo. Ma no, non è finita, «presto faremo la nostra mossa» annuncia il “nemico”. Di fronte a tale nuova assurdità non possiamo non chiederci l’origine di tanto male, così radicato da originarne a sua volta altro, in una faida oscena di cui si rischia di non vedere la fine.

Un fatto accadutomi qualche giorno fa mi ha dato la risposta: la guerra nasce in ognuno di noi, ogni volta che reagiamo al male ricevuto. Questi i fatti. Una persona a me molto vicina mi ha aggredito con inaspettata cattiveria e ha continuato a provocarmi in modo subdolo. Una parte di me ha avuto un primo istinto di reagire, ma l’altra parte di me ha visto con preveggenza il male che avrei compiuto se avessi pronunciato le parole che nascevano nel mio pensiero (che sorpresa scoprirmi potenzialmente capace di tanto male!). È questione di un istante, o di qua o di là, e tu cammini sul crinale. In quel momento, non so come, ho pensato a Gesù e a lui mi sono affidato lasciando che agisse al posto mio, e la pacificazione ha pervaso il mio cuore in modo sorprendente: l’“avversario” continuava a infierire ma io prendevo ad amarlo, così sono rimasto fermo e zitto, scoprendo come sia importante per l’anima non reagire quando viene attaccata ingiustamente.

È forse l’avventura più bella che possa accaderci, quando l’anima si ferma davanti all’amore e permette che sia soltanto lui a muoversi, secondo le sue logiche rivoluzionarie. Una passività nella quale lasciamo che sia Dio a rispondere all’offesa con la “non risposta”. Ma una passività che richiede molta più forza che per rispondere occhio per occhio, una passività, cioè, che non è arrendevolezza, né rassegnazione, ignavia, pavidità o, peggio, indifferenza. Una passività  donata dall’alto, dunque, perché capace di spezzare la catena dell’odio e, dis/armata, disarmare l’altro.

L’origine dei conflitti, dunque, è la tendenza alla reazione che ognuno di noi ha innata dentro, convinti come siamo che un’altra via non sia possibile, che l’alternativa non esista. E il meccanismo per cui questo accade è assolutamente identico nelle grandi guerre scoppiate tra i popoli o invece nei minimi conflitti tra individui: lo scontro ci appare ineluttabile senza esserlo, così lo vede il nostro pensiero distorto. L’errore compiuto dai singoli diventa errore dell’intera umanità, il piccolo odio di ognuno, moltiplicato per i sette miliardi di uomini e donne che siamo, diventa guerra mondiale. Allora se il pianeta in questi tempi è messo a ferro e fuoco la colpa è mia. Anche mia. Ma altrettanto è mia la responsabilità della pace. Anche mia: basta che io, quando vengo attaccato, decida di lasciar agire l’amore, spegnendo ogni cattiveria prima dentro di me, e poi fuori. Odiare fa star male, perdonare dà benessere. Shakespeare aveva già intuito con fulminante genialità che «serbare rancore equivale a prendere un veleno e sperare che a morire sia l’altro». Chi sa amare il nemico, insomma, traccia il confine tra misericordia e vendetta, ma soprattutto scopre il segreto per cui, nonostante l’ingiustizia subita, la vita può ancora essere un tesoro prezioso anziché un tormento.

Difficile? Per noi da soli sì; solo Gesù ci insegna l’unica via che può cambiare tutto, solo lui porta nell’anima l’amore umanamente impossibile, il magnifico paradosso enunciato dal Signore: «Amate i vostri nemici». Qui soltanto c’è l’antidoto di cui abbiamo bisogno in questo tempo di guerre, quell’amore per gli “antagonisti” che è il miele più dolce che l’anima possa gustare. Lo aveva capito Gandhi, che quando entrò nella Cappella Sistina non alzò gli occhi verso l’affresco di Michelangelo ma andò verso il Crocifisso e si inginocchiò guardando il Gesù che non risponde al male e ama. Lo aveva capito anche Nelson Mandela quando, dopo trent’anni di prigione ingiusta, istituì i tribunali della riconciliazione, facendo incontrare i carnefici con le vittime e favorendo un processo di pace che, senza il perdono, sarebbe stato umanamente impossibile. Lo hanno capito gli artefici odierni della “giustizia riparativa”, come l’“Università del perdono” nata in seno all’Associazione Papa Giovanni xxiii di don Benzi, una vera e propria scuola di pace in cui i testimoni diretti spiegano come si possa arrivare a vincere la logica della morte spezzando il circolo vizioso della faida.

Nel momento in cui capiamo che la possibilità di fare la guerra o di non farla è dentro di noi, possiamo veramente contribuire a che l’odio si spenga e — ognuno con la sua piccola vittoria interiore grazie all’amore donato da Dio che ha prevalso sullo spirito di vendetta — cambiare il mondo. Sì, anche noi possiamo far sì che le guerre finiscano! Ciascuno di noi, nel suo piccolo, ogni giorno, può farlo. Senza aspettare i potenti. 

di Arnoldo Mosca Mondadori