Accordi strazianti
«Ma poi l’esercito si fece avanti / E gridavamo “Assassini! / Fermatevi! Non vedete? / Noi siamo i bambini!” / Fino a che tutto diventa rosso / E non si può più guardare / Tutto diventa rosso / E non si deve guardare». È l’acme di una canzone tragicamente bella di Francesco De Gregori. Si intitola Il vestito del violinista, è la decima e ultima traccia dell’album Pezzi, pubblicato nel 2005. Il protagonista del brano — lo ha spiegato lo stesso cantautore romano — è il diavolo: «In molte raffigurazioni popolari il diavolo è visto come un suonatore di violino e il violino è considerato nella tradizione uno strumento diabolico. Ne Il vestito del violinista — non ho idea di come vadano vestiti i violinisti, ho preso da Chagall — un abito è sospeso in cielo, in un mondo sconvolto da una guerra totale e definitiva».
Una nenia di poche note in progressione discendente armonizzate con due accordi strazianti di chitarra elettrica e hammond. Il testo, disseminato di rovine, ombre e polvere, scaturì dal terribile evento della strage di Beslan, dalle «immagini più sconvolgenti che abbia mai visto.
Questi bambini che scappavano e l’efferatezza di quelli che gli sparavano. Me lo ricorderò per tutta la vita… Forse il mondo non è governato dal diavolo, come a volte sembrerebbe, ma certo da qualcuno che gli somiglia molto».
Il vestito demoniaco del testo di De Gregori è «un angelo in mezzo al cielo», «una fiaccola nella sera», «una macchia più scura», «un fantasma nella foresta / Dentro la nostra paura». Lui presiede all’eliminazione d’ogni via d’uscita dal disastro: «Non c’era strada per andare avanti / Non c’era strada per ritornare / Non c’era rotta né direzione / Da recuperare». Poi, ecco arrivare quei bambini, inermi di fronte a un esercito.
«Quanti bambini sono privati del diritto fondamentale alla vita e all’integrità fisica e mentale, a causa dei conflitti?», ha chiesto Papa Francesco innumerevoli volte, ricordando quanti di loro hanno perso e perdono ogni giorno la vita nelle guerre in corso sotto i nostri occhi: «Nessuna guerra vale le lacrime dei bambini».
La canzone si chiude aprendosi alla speranza di un suono di campane, dell’«odore del pane» e dello «spuntare del sole / Dall’altra parte del muro». E poi si vedono «falegnami e filosofi» che fabbricano il futuro. Falegnami, filosofi, politici, uomini di potere, insomma, che smettano di assomigliare al diavolo. In effetti è la grande speranza di oggi.
di Paolo Mattei