Dialogo a distanza
Pubblichiamo uno stralcio da una delle relazioni pronunciate durante il convegno «Fonti e forme del pensiero nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio» organizzato dall'Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano l'11 e il 12 aprile nell’ambito delle celebrazioni dei duemila anni dalla nascita dello scrittore latino.
Nell’anno 23 dopo Cristo nasce a Como Plinio il Vecchio, autore di un’opera monumentale ed enciclopedica, la Naturalis Historia, la cui fortuna è stata lunga e pervasiva, nei più svariati ambiti di sapere, dalla storia dell’arte alla botanica, dall’archeologia alla medicina. Nel 1923 nasce a Cuba da padre ligure Italo Calvino, che scrive una breve, brillante, prefazione all’edizione Einaudi della Storia Naturale, pubblicata sotto la direzione di Gian Biagio Conte (Torino, 1982). Le cause degli eventi, secondo Plinio, sono sia statiche, determinabili, ma anche fortuite (Naturalis Historia ii 39): difficile dire se questo incontro, a 1900 anni esatti di distanza, fra Plinio e Calvino sia stato determinabile o fortuito, ma senz’altro risveglia non poca curiosità in chi cerca di coltivare, per professione o per passione, gli studi classici, ma anche semplicemente in chi — come scrive Calvino — è “lettore errabondo”. Calvino distingue «un Plinio poeta e filosofo, con un suo sentimento dell’universo, un suo pathos della conoscenza e del mistero, e un Plinio nevrotico collezionista di dati, compilatore ossessivo, che sembra preoccupato solo di non sprecare nessuna annotazione del suo mastodontico schedario», per concludere tuttavia che «Plinio è sempre uno, così come uno è il mondo che egli vuole descrivere nella varietà delle sue forme»: con la “sostanza espressiva della sua prosa”, che è quanto di veramente “suo” si trova nella sua opera, egli sceglie di attenersi il più possibile soprattutto a quanto tramandano le fonti, e in misura minore anche a ciò che testimoniano i fatti, «senza mai inclinare verso la speculazione astratta», alla ricerca dei «segni di una ragione superiore» (ibidem, pagine vii-ix ). Plinio è senz’altro un razionalista, addirittura un «protomartire della scienza sperimentale, che doveva morire asfissiato dalle esalazioni del Vesuvio in eruzione» nel 79 dopo Cristo, però, se «esalta la logica delle cause e degli effetti (…) nello stesso tempo la minimizza: quand’anche tu trovi la spiegazione dei fatti, non per questo i fatti cessano di essere meravigliosi» (ibidem, pagina x ).
Da qui, il suo lanciarsi nelle rassegne più minute e bizzarre di popoli, di casi umani — contraddistinti da fragilità e morte, ma anche da superbe grandezze, rappresentate dall’elefante — di «corpi celesti e territori del globo, animali e piante e pietre», a cui aggiunge «un elenco di scoperte e invenzioni, sia leggendarie che storiche», come «alfabeto, barbiere, orologio».
Fra gli animali, la descrizione dell’elefante e del lupo mannaro si mescola a quella di animali fantastici: «l’anfesibena, il basilisco, il catoblepa, i crocoti» e altri, che hanno un posto privilegiato nella dimensione dell’immaginario”.
di Elisabetta Cattanei*
*Ordinario di Storia della filosofia antica
all'Università Cattolica del Sacro Cuore