Ricorderete, certamente, l’incendio che ha devastato la cattedrale di Notre-Dame a Parigi. Qualcuno vide nelle alte fiamme che la distruggevano una apocalisse che nei fatti non si è consumata. Qualche altro ci ha visto l’idea di Europa, chi le nostre radici cristiane, chi la resistenza dell’istituzione-Chiesa. Una scrittrice così commentava: «... è la nostra stessa paura a divorare le travi di quel che siamo stati e a minare la stabilità della struttura comunitaria in cui ci riconosciamo» (Michela Murgia).
Questa paura mi ha fatto ricordare la paura di cui parla il Vangelo: i discepoli di Gesù erano rinchiusi in casa per paura dei giudei. È strano: Gesù li aveva inviati nel mondo, e li ritrova rinchiusi, paralizzati dalla paura.
Ma, ancora una volta, non li rimprovera, non li abbandona. Rafforza la fede debole e incerta di Tommaso e degli altri. Rispetta la loro fatica e i loro dubbi, e li incoraggia.
Vedete: la paura di sbagliare conduce alla mediocrità. È una paura egoistica. È la paura di ciò che dirà la gente. È il rispetto umano, che può prendere anche noi, nel vivere e testimoniare la nostra fede.
Gesù ci chiede di essere forti e autentici. Essere coraggiosi vuol dire avere paura ma andare avanti lo stesso. Non è coraggioso chi ignora la paura, ma chi la conosce e la supera.
Se un cristiano ha paura della propria fede; non ha il coraggio di testimoniarla con coerenza, la sua fede muore; ma muore anche il mondo!
«Molti cristiani sono malati di indecisione e della paura di sbagliare» (don Primo Mazzolari). Chiediamo a Dio di irrobustire la nostra fede, perché con l’esempio della nostra vita sappiamo trasmettere a tutti la bellezza di credere in Lui.
di Leonardo Sapienza
Il Vangelo in tasca
7 aprile, II Domenica di Pasqua
Prima lettura: At 4, 32-35;
Salmo: 117;
Seconda lettura: 1 Gv 5, 1-6;
Vangelo: Gv 20, 19-31.