Il magistero

 Il magistero  QUO-066
21 marzo 2024

Sabato 16

Il dono
la cura
e la comunità

L’Ospedale Bambino Gesù un secolo fa veniva donato alla Santa Sede dalla famiglia Salviati. Il dono fu accolto da Pio xi , che vide nell’opera l’espressione della carità del Papa e della Chiesa verso i piccoli infermi, e da allora è conosciuto come “Ospedale del Papa”.

Riflettere su questa istituzione, sottolineando tre aspetti: dono, cura e comunità.

Oggi è un centro di ricerca e di cura pediatrica tra i più grandi in Europa, punto di riferimento per famiglie da tutto il mondo.

È bello ricordare il gesto dei figli della duchessa Arabella Salviati che regalarono alla mamma il loro salvadanaio per realizzare un ospedale per i bambini.

Questa grande opera si fonda anche su doni umili, come quello di questi ragazzi a beneficio dei loro coetanei malati.

Fa bene, ai nostri giorni, menzionare la generosità dei molti benefattori grazie a cui si è potuto realizzare, a Passoscuro, un Centro di Cure Palliative per giovanissimi pazienti affetti da malattie inguaribili.

Pensiamo alla prospettiva di una nuova sede a Roma, di cui sono state poste recentemente le premesse, con un accordo tra la Santa Sede e lo Stato Italiano.

Come pure al notevole impegno economico ordinario e straordinario, legato alla tutela e manutenzione di strutture e apparecchiature; alla garanzia di qualità professionale di medici e operatori; alla ricerca; fino a giungere all’accoglienza di bambini bisognosi senza distinzione di condizione sociale, nazionalità o religione.

Il compito
della scienza

La scienza, e di conseguenza la capacità di cura, si può dire il primo dei compiti che caratterizza l’Ospedale.

Essa è la risposta concreta che date alle accorate richieste di aiuto di famiglie.

L’eccellenza nella ricerca biomedica è importante. Vi incoraggio a coltivarla con un’attenzione speciale nei confronti dei più fragili, come i pazienti affetti da malattie gravi, rare o ultra-rare.

Mettere i frutti della ricerca a disposizione di tutti, specialmente là dove ce n’è più bisogno, come fate contribuendo alla formazione di medici e infermieri africani, asiatici e mediorientali.

La malattia di un bambino coinvolge tutti i familiari. Per questo, consola sapere che sono tante le famiglie seguite dai vostri servizi, accolte in strutture legate all’ospedale e accompagnate.

Questo elemento non va mai trascurato, anche se so che a volte lavorate in condizioni difficili.

Non c’è cura senza relazione, prossimità e tenerezza, a tutti i livelli.

“Vite
che aiutano
la vita”

Una delle belle espressioni che descrivono la missione del “Bambino Gesù” è “Vite che aiutano la vita”... perché parla di un agire comune in cui trova posto il dono di ciascuno.

Questa è la vostra forza e il presupposto per affrontare le sfide più difficili.

Il vostro non è un lavoro come tanti: è una missione, che ognuno esercita in modo diverso. Per alcuni comporta la dedizione di una vita intera; per altri l’offerta del tempo nel volontariato; per altri ancora il dono del sangue, del latte — per i neonati ricoverati —, fino a organi, cellule e tessuti.

L’amore spinge alcuni genitori al gesto eroico d’acconsentire alla donazione di organi dei bambini che non ce l’hanno fatta.

Un “fare insieme”, dove i diversi doni concorrono al bene dei piccoli pazienti.

Quando vengo al “Bambino Gesù” provo due sentimenti contrastanti: dolore per la sofferenza dei bambini malati e dei genitori; ma nello stesso tempo grande speranza, vedendo quello che si fa per curarli.

(Discorso letto da un collaboratore
a dirigenti e personale
dell’Ospedale pediatrico “Bambino Gesù”)

Lavorare
tra gli ultimi
e lavorare
insieme

Vent’anni di iniziative a servizio degli ultimi, sulle orme di Mons. Camillo Faresin, per lungo tempo Vescovo di Guiratinga nel Mato Grosso, esempio di sensibilità missionaria e di fede nella Provvidenza, e dei suoi due fratelli: don Santo, pure lui missionario salesiano, e don Giovanni Battista, diocesano.

Raccogliere il testimone della loro carità facendone vostra la tenacia e l’ampiezza di vedute nel servire il prossimo... vi ha portato in Brasile e altre parti del mondo: dalla formazione all’assistenza sociale, alla cura sanitaria, all’offerta di condizioni di vita dignitose e di opportunità di lavoro.

Vorrei incoraggiare due linee d’azione: lavorare tra gli ultimi e lavorare insieme.

Faresin e i suoi fratelli erano di estrazione umile. Hanno imparato il valore della carità e il fervore missionario nel contesto di una famiglia semplice, devota, modesta e dignitosa.

In quell’ambiente hanno saputo cogliere, con la grazia di Dio, un invito a stare tra gli ultimi per aiutare, e lo hanno fatto con amore, generosità e intelligenza, anche tra grandi difficoltà.

Ricordiamo che il nome del Vescovo Camillo è annoverato, a Gerusalemme nel “Giardino dei Giusti” perché, prima di partire per il Brasile, bloccato a Roma a causa della seconda guerra mondiale, non si è lasciato fermare dalle circostanze, prodigandosi con carità e coraggio nell’assistere gli ebrei perseguitati.

Così è stato come sacerdote e vescovo vicino ai più sfortunati. Fino a quando, terminato il suo mandato episcopale, ha ottenuto di poter rimanere fra la sua gente, nel Mato Grosso, fino alla morte, come umile servo degli umili, continuando così nel nascondimento, come amico e compagno di cammino, lo stesso ministero per tanti anni svolto come pastore.

Ha lasciato un esempio grande da imitare: stare con gli ultimi, sempre! In che modo? Scegliendo e privilegiando, nei progetti, le realtà più disprezzate come luoghi speciali in cui rimanere, e come “terre promesse” verso cui mettervi in marcia e in cui “piantare le tende” per iniziare nuove opere.

E farlo con una presenza concreta e vicina alle comunità servite, dal di dentro, in loco, lavorando tra i poveri e condividendone il più possibile la vita.

Solo così, infatti, si sente “il polso” dei bisogni reali dei fratelli e delle sorelle che il Signore mette sulla nostra strada; e soprattutto ci si arricchisce della luce, della forza e della saggezza che vengono dallo stare con Gesù, presente in modo unico nelle membra più sofferenti del suo Corpo.

Esorto a cercare sempre di fare sinergia, tra voi e con altre realtà religiose e associative. So che collaborate con le Suore Missionarie della Divina Volontà di Bassano del Grappa e altre organizzazioni. È la strada giusta.

Fare insieme è già un annuncio di Vangelo vissuto; e, oltre che un modo intelligente di ottimizzare le risorse, è una via di formazione alla carità e alla comunione.

Lo avete sottolineato dando a un vostro recente evento questo titolo: “Agire insieme per progredire insieme”.

Fare insieme è anche un’espressione di fede nella Divina Provvidenza. Mons. Faresin la definiva «la fonte che maggiormente garantisce le risorse» per le opere che Dio richiede.

(Discorso letto da un collaboratore
alla Fondazione “Mons. Camillo Faresin”
di Maragnole di Breganze, Vicenza)

Martedì 19

Chiamati
a seminare
la speranza
e a costruire
la pace

Ascoltare la chiamata divina, lungi dall’essere un dovere imposto, magari in nome di un’ideale religioso, è invece il modo più sicuro di alimentare il desiderio di felicità che ci portiamo dentro: la nostra vita si realizza quando scopriamo chi siamo, le nostre qualità, in quale campo possiamo metterle a frutto, quale strada possiamo percorrere per diventare segno e strumento di amore, di accoglienza, di bellezza e di pace, nei contesti in cui viviamo.

Questa Giornata è sempre una bella occasione per ricordare con gratitudine l’impegno fedele, quotidiano e spesso nascosto di coloro che hanno abbracciato una chiamata che coinvolge tutta la vita.

Penso alle mamme e ai papà che non guardano anzitutto a sé stessi e non seguono la corrente di uno stile superficiale, ma impostano la loro esistenza sulla cura delle relazioni, con amore e gratuità, aprendosi al dono della vita e ponendosi al servizio dei figli e della loro crescita.

Penso a quanti svolgono con dedizione e spirito di collaborazione il proprio lavoro; a coloro che si impegnano, in diversi campi e modi, per costruire un mondo più giusto, un’economia più solidale, una politica più equa, una società più umana: a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che si spendono per il bene comune.

Penso alle persone consacrate, che offrono la propria esistenza al Signore nel silenzio della preghiera come nell’azione apostolica, talvolta in luoghi di frontiera e senza risparmiare energie, portando avanti con creatività il loro carisma e mettendolo a disposizione di coloro che incontrano.

Penso a coloro che hanno accolto la chiamata al sacerdozio ordinato e si dedicano all’annuncio del Vangelo e spezzano la propria vita, insieme al Pane eucaristico, per i fratelli, seminando speranza e mostrando a tutti la bellezza del Regno.

Ai giovani, specialmente a quanti si sentono lontani o nutrono diffidenza verso la Chiesa, vorrei dire: lasciatevi affascinare da Gesù, rivolgetegli le vostre domande importanti, attraverso le pagine del Vangelo, lasciatevi inquietare dalla sua presenza che sempre ci mette beneficamente in crisi.

Egli rispetta più di ogni altro la nostra libertà, non si impone ma si propone: lasciategli spazio e troverete la vostra felicità nel seguirlo e, se ve lo chiederà, nel donarvi completamente a Lui.

La polifonia dei carismi e delle vocazioni, che la Comunità cristiana riconosce e accompagna, ci aiuta a comprendere pienamente la nostra identità di cristiani: come popolo di Dio in cammino per le strade del mondo, animati dallo Spirito Santo e inseriti come pietre vive nel Corpo di Cristo, ciascuno di noi si scopre membro di una grande famiglia, figlio del Padre e fratello e sorella dei suoi simili.

Non siamo isole chiuse in sé stesse, ma siamo parti del tutto. Perciò, la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni porta impresso il timbro della sinodalità.

Nel presente momento storico il cammino comune ci conduce verso l’Anno Giubilare del 2025.

Camminiamo come pellegrini di speranza verso l’Anno Santo, perché nella riscoperta della propria vocazione e mettendo in relazione i diversi doni dello Spirito, possiamo essere nel mondo portatori e testimoni del sogno di Gesù: formare una sola famiglia, unita nell’amore di Dio e stretta nel vincolo della carità, della condivisione e della fraternità.

Per tutto questo dico, ancora una volta, come durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona: “Rise up! – Alzatevi!”.

Svegliamoci dal sonno, usciamo dall’indifferenza, apriamo le sbarre della prigione in cui a volte siamo rinchiusi, perché ciascuno possa scoprire la propria vocazione nella Chiesa e nel mondo e diventare pellegrino di speranza e artefice di pace!

(Messaggio per la 61ª Giornata mondiale
di preghiera per le Vocazioni)

La profezia
cristiana
di un mondo
libero dalla
prepotenza
malavitosa

Il ricordo del tragico evento consumatosi trent’anni orsono, quando Don Giuseppe Diana, Parroco a Casal di Principe, fu barbaramente ucciso, suscita gratitudine a Dio Padre per aver donato alla Chiesa questo “servo buono e fedele”, che ha operato profeticamente calandosi nel deserto esistenziale di un popolo a lui tanto caro, servito e difeso fino al sacrificio della propria esistenza.

Don Peppe, come affettuosamente veniva chiamato, ...invita a costruire un mondo libero dal giogo del male e da ogni tipo di prepotenza malavitosa. Riconoscenza anche a [quanti ne] continuano l’opera pastorale.

Coltivate il seme della giustizia e dello sviluppo umano e sociale per la vostra terra.

Tante forme di odio e di sopruso feriscono l’uomo e talvolta bagnano di sangue le strade dei quartieri e delle città.

Il sacrificio di Don Giuseppe ci sprona a ravvivare in noi quella evangelica inquietudine che ha animato il suo sacerdozio e lo ha portato senza alcuna esitazione a contemplare il volto del Padre in ogni fratello, testimoniando a chi si sente ferito il progetto di Dio.

A fronte di quella violenza e della prepotenza disumana che nega la giustizia e annulla la dignità delle persone, i cristiani sono coloro che annunziano il Vangelo e vivono la vocazione ad essere con Cristo segno di un’umanità nuova, fecondata dalla fraternità e dalla comunione.

Tale consapevolezza nel 1982 spinse i Vescovi della Campania a “levare alta la voce della denuncia e riproporre con forza il progetto dell’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella verità e sottolineare la contrapposizione stridente che esiste tra i falsi messaggi della camorra» e quello di Gesù.

Allo stesso tempo sentiamo forte l’attualità delle parole che Don Diana, con i Parroci di Casal di Principe, pronunciò nel Natale 1991: «Come battezzati in Cristo, come pastori… Dio ci chiama ad essere profeti. Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio».

Esorto Voi giovani: non lasciatevi rubare la speranza, coltivate ideali alti e costruite un futuro diverso con mani non sporche di sangue ma di lavoro onesto, senza cedere a compromessi facili ma illusori, per divenire artigiani di pace.

(Lettera nel 30° anniversario dell’uccisione
di don Giuseppe Diana)

Mercoledì 20

La prudenza
è la qualità
di chi governa
per fare
il bene di tutti

La prudenza insieme a giustizia, fortezza e temperanza forma le virtù cardinali, che non sono prerogativa esclusiva dei cristiani, ma appartengono al patrimonio della sapienza antica, in particolare dei filosofi greci.

Uno dei temi più interessanti nell’opera di incontro e di inculturazione fu proprio quello delle virtù.

Negli scritti medievali, la presentazione delle virtù non è una semplice elencazione di qualità positive dell’anima.

Riprendendo gli autori classici alla luce della rivelazione cristiana, i teologi hanno immaginato il settenario delle virtù — le tre teologali e le quattro cardinali — come un organismo vivente, dove ogni virtù ha uno spazio armonico da occupare.

Ci sono virtù essenziali e accessorie, come pilastri, colonne e capitelli. L’architettura di una cattedrale medievale può restituire l’idea dell’armonia che c’è nell’uomo e della sua tensione verso il bene.

La prudenza non è la virtù della persona timorosa, titubante. Non è nemmeno solo cautela. Accordare un primato alla prudenza significa che l’azione dell’uomo è nelle mani della sua intelligenza e libertà.

La persona prudente è creativa: ragiona, valuta, cerca di comprendere la complessità del reale e non si lascia travolgere da emozioni, pigrizia, pressioni, illusioni.

In un mondo dominato dall’apparire, dai pensieri superficiali, dalla banalità del bene e del male, l’antica lezione della prudenza merita di essere recuperata.

San Tommaso, sulla scia di Aristotele, la chiamava “recta ratio agibilium”, capacità di governare le azioni per indirizzarle verso il bene; soprannominata “cocchiere delle virtù”.

Prudente è [chi] è capace di scegliere: finché resta nei libri la vita è sempre facile, ma in mezzo ai venti e alle onde del quotidiano spesso siamo incerti e non sappiamo da che parte andare.

Chi è prudente non sceglie a caso: sa che vuole, pondera, si fa consigliare e con libertà sceglie quale sentiero imboccare. Non che non possa sbagliare, in fondo restiamo sempre umani; ma almeno eviterà grosse sbandate.

Purtroppo, in ogni ambiente c’è chi tende a liquidare i problemi con battute superficiali o a sollevare polemiche.

La prudenza è la qualità di chi è chiamato a governare: sa che amministrare è difficile, che i punti di vista sono tanti e bisogna armonizzarli, che si deve fare il bene di tutti.

Il troppo zelo può combinare disastri: rovinare una costruzione che avrebbe richiesto gradualità; generare conflitti e incomprensioni; scatenare violenza.

La persona prudente sa custodire la memoria del passato, non perché ha paura del futuro, ma perché sa che la tradizione è un patrimonio di saggezza.

La vita è un continuo sovrapporsi di cose antiche e nuove, e non fa bene pensare che il mondo cominci da noi, che i problemi dobbiamo affrontarli partendo da zero.

La persona prudente è anche previdente. Una volta decisa la meta, bisogna procurarsi i mezzi per raggiungerla.

Passi del Vangelo [educano] la prudenza: è prudente chi costruisce la casa sulla roccia e imprudente chi costruisce sulla sabbia. Sagge sono le damigelle che portano l’olio per le lampade e stolte quelle che non lo fanno.

La vita cristiana è un connubio di semplicità e scaltrezza. Preparando i discepoli per la missione, Gesù raccomanda: «Vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate prudenti come serpenti e semplici come colombe».

Dio non ci vuole solo santi, [ma] santi intelligenti, perché senza prudenza è un attimo sbagliare!

(Catechesi letta da un collaboratore
all’udienza generale in piazza San Pietro)