La buona Notizia
In queste parole di Gesù rivolte a Nicodemo, un capo dei Giudei che era andato a trovarlo di notte nel tentativo di conoscerlo meglio, c’è tutto il nocciolo del cristianesimo, la sua tensione assoluta che scardina le stesse categorie dello spazio e del tempo. Giovanni, mentre le riporta, sembra scolpirle nella pietra per renderle incancellabili e perenni. L’andamento oracolare del discorso, accentuato dal fatto che il protagonista parla di sé in terza persona, nella sua doppia natura umana e ultraterrena, non deve distoglierci dal loro significato profondo: lo scandalo di un Dio che non si limita a osservare compiaciuto dall’esterno la vita generata, ma interviene direttamente inviando suo Figlio nella scena del mondo. L’intento è quello della salvezza, simbolizzata dalla luce, ma chi non crede si condanna da solo, sprofondando nell’oscurità. L’incarnazione dell’artefice nella sua creazione è il passaggio cruciale che sposta l’attenzione dal Padre al Figlio, conferendo a tutti gli esseri umani una dignità sorprendente, non solo perché sono stati indicati come depositari della verità, ma in quanto viene loro concessa la libertà di scegliere fra bene e male attraverso le opere che rappresentano il modo in cui possiamo incidere la nostra presenza nella storia. In questo brano si ha l’impressione che la forma verbale non riesca a contenere per intero la potenza espressiva e concettuale che viene evocata, come se il linguaggio rivelasse la propria impotenza, ma si tratta di una falsa impressione perché sin dal prologo Giovanni ci ha detto che «in principio era il Verbo, / il Verbo era presso Dio / e il Verbo era Dio». Non esiste una vita prima delle parole che la determinano. E queste parole s’identificano nella volontà di Dio.
di Eraldo Affinati