Quel venerdì mattina, chiunque fosse passato per Broadview Street, anche solo per fare jogging o per portare a
spasso il cane, sarebbe rimasto terrorizzato ascoltando le urla e le imprecazioni di “Street”. Ce l’aveva con tutti: passanti, persone in visita alla nostra missione, volontari e operatori. Nessuno poteva restare indifferente, neanche le bestie.
«Odio tutti, compresi gli animali domestici», diceva con rabbia profonda, senza lasciare spazio ad alcuna obiezione. «Non mi interessa», diceva. Tuttavia, non era riuscita a completare la sua confessione pubblica, perché un senzatetto, che si era trasferito nel quartiere un paio di giorni prima, gli si era messo davanti. «Signorina, fai attenzione a come parli davanti a una chiesa», le aveva detto. «Non sono una signorina qualunque. Ho bisogno di togliermi questo peso dal petto», aveva risposto con rabbia.
“Street”, come si fa chiamare, conosce le ferite della violenza e il potere che ne deriva, ferite di una violenza che odia la libertà delle persone e annichilisce lo spirito umano. “Street” non è capace di distinguere la dignità dall’umiliazione, nell’anima porta una vergogna che non ha mai desiderato ed è incapace di credere che le persone possano essere, a volte, gentili l’una con l’altra.
"Street" incarna al meglio ciò che possiamo vedere quotidianamente all’interno della nostra comunità: le donne senza dimora portano cicatrici di violenza più profonde degli uomini. Forse perché sono più fragili e la violenza non trova resistenza. Forse perché subiscono più violenza degli uomini e sono sempre senza protezione. Forse perché la violenza toglie loro ciò che dovrebbero ricevere attraverso la libertà. Se una madre dà sempre, le donne senza dimora si ritrovano a non avere quasi più nulla da dare, perché la violenza cerca di svuotare la loro anima da qualsiasi cosa buona.
"Street" ha 60 anni e un aspetto rude. Per relazionarsi con lei è meglio mantenere una certa distanza. Basta un po’ di attenzione in più per scatenare in lei un dolore profondo che sfocia sempre in urla e imprecazioni. È un odio profondo quello che si sente nelle sue parole e che si vede sul suo volto. Ripete in continuazione: «Non mi importa». Non le importa di tutto: e sembra che sia proprio così.
Quel venerdì aveva bloccato il traffico per 10 minuti. Si rifiutava di muoversi perché la rabbia degli automobilisti era meno forte della sua.
Tuttavia, dopo la crisi, aveva cercato di calmarsi. Aveva persino iniziato a mangiare. È magra, pelle e ossa. Accetta volentieri sigarette e caffè, ma non il cibo. «Ho un solo vizio — confessa —: il fumo. Non ho bisogno di altro».
Quel giorno aveva confessato molte altre cose della sua vita. Se fosse stato possibile stare ad ascoltarla tutto il giorno, avrebbe continuato senza fermarsi. Rabbia e lacrime si mescolavano di tanto in tanto sul suo viso.
A un certo punto, mentre stava mangiando, le è caduto addosso un po’ di cibo. Le è stato offerto un tovagliolo, ma lei lo ha rifiutato. «Non mi importa di me stessa», ha urlato con rabbia. «Mi odio, sono disgustata da me stessa». Le sue urla si sono sentite in tutto il quartiere. Ma, ora, la sua confessione era completa.
Questo è stato il suo ultimo grido prima di calmarsi. Dopo, ha iniziato a sillabare parole sconce in modo tale che la gente non potesse capire bene cosa stesse dicendo. Alla fine della giornata, si è addormentata accovacciata su un minuscolo muretto di cemento, dove nessuno ci aveva mai provato prima.
"Street" continua a dire che non le importa nulla. Non le importa delle persone, di se stessa, delle cose belle e di quelle brutte. È il suo modo di difendersi dalla vita. Tuttavia, una cosa le sta molto a cuore: sfogarsi. Tutte quelle urla e imprecazioni sono il riflesso di una confessione inascoltata. Se solo qualcuno si prendesse la briga di ascoltarla… Forse non le interessa, ma cerca qualcuno che lo faccia.
*St. John the Compassionate Mission
di Toronto
di Nicolaie Atitienei *