Quest’anno l’accensione serale, nelle Valli valdesi del Piemonte (Pellice, Chisone e Germanasca), dei cosiddetti “falò della libertà” nella notte tra il 16 e il 17 febbraio è accompagnata da un’importante iniziativa editoriale: sono usciti in questi giorni per i “tipi” della Claudiana il secondo e il quarto volume della Storia dei valdesi (Torino, 2024), che saranno seguiti a breve dal primo e dal terzo; un altro tipo di “falò” che illumina la cultura di un Paese come l’Italia che ha sempre fatto fatica ad accettare la presenza di minoranze religiose come un’opportunità e una risorsa.
Sono passati 176 anni da quel 17 febbraio 1848 in cui il re Carlo Alberto di Savoia firmò le “patenti di grazia” con cui concedeva diritti civili e politici ai valdesi. Non si trattava ancora della libertà religiosa, ma era un provvedimento che apriva la strada alla possibilità che cristiani di un’altra denominazione potessero, tra l’altro, frequentare le scuole e le università nonché conseguire i gradi accademici ed esercitare tutte le professioni. Fa bene ricordarlo perché almeno in parte dà la misura della portata di cosa può comportare l’esclusione dalla vita civile.
I quattro volumi della Storia dei valdesi — curati rispettivamente da Francesca Tasca per il Medioevo, Susanna Peyronel Rambaldi per il Cinquecento e il Seicento, Gian Paolo Romagnani per il Settecento e l’Ottocento (fino alla Breccia di Porta Pia), Paolo Naso dalla fine dello Stato pontificio al 1990 — ricostruiscono accuratamente, secondo i criteri della nuova ricerca storiografica, 850 anni di storia di — come afferma Naso nell’introduzione al quarto volume — «una “minoranza” che nel corso dei secoli ha compiuto un faticoso percorso che l’ha portata a proporsi nell’Italia contemporanea come una delle vere e proprie “componenti” religiose e culturali del complesso mosaico di una società che è sempre più plurale». Ed è questo, forse, il frutto più bello di 850 anni di storia: essere passati dalla rivendicazione del diritto alla difesa da persecuzioni e ghettizzazioni alla difesa dei diritti delle nuove “minoranze”.
La qualità dell’opera è confermata dal fatto che è il risultato del lavoro di centinaia di storici e storiche, oltre che di studiosi di diverse discipline, e attestazione di una storiografia ormai aliena da approcci ideologici e apologetici, confessionali e identitari: ricostruire la storia di una “minoranza” significa infatti ricostruire il complesso tessuto degli avvenimenti e delle idee, dei gruppi sociali e delle istituzioni all’interno del quale essa ha vissuto. Per questo, allora, merita insistere sul fatto che i falò della notte tra il 16 e il 17 febbraio dovrebbero bruciare non soltanto nelle valli piemontesi ma, metaforicamente, in tutta Italia perché ogni passo in avanti nel riconoscimento dei diritti civili di qualsiasi gruppo umano o comunità religiosa segna una crescita nella qualità della vita collettiva del Paese.
Riflettere poi sulla lunga e articolata storia del movimento di rinnovamento spirituale dei “Poveri di Lione”, che è nato nel 1174 su iniziativa di Pietro Valdo ed è poi divenuto Chiesa evangelica all’epoca della Riforma protestante, significa anche ripercorrere con acribia nei confronti del passato e lungimiranza verso il futuro le lunghe pagine della storia del cristianesimo in Italia e, in particolare, quelle della Chiesa cattolica. Perché il ritorno a un cristianesimo pauperista di Francesco d’Assisi è diventato una pagina luminosa della tradizione spirituale italiana ed europea e quella di Valdo è stata considerata un’eresia da rinchiudere nel ghetto alpino quando non addirittura da perseguitare? Perché l’accesso diretto alla Scrittura, il ritorno alle fonti della tradizione, la separazione della Chiesa dal potere politico e il ripensamento della struttura gerarchica della Chiesa — tutti valori che il Concilio Vaticano ii ha messo di nuovo al centro della vita della Chiesa cattolico-romana e che il movimento valdese prima e poi le Chiese nate dalla Riforma avevano postulato già da molto tempo — non possono essere finalmente punti di partenza per un modo nuovo di essere presenti alle attuali tormentate vicende europee?
Sono domande a cui i quattro volumi della Storia dei valdesi non pretendono certo di dare risposte. Come ogni sforzo storiografico, però, contribuiscono a ricordarci che lucidità di analisi e rispetto della complessità delle tessiture storiche possono rendere più facili reciproche assoluzioni e nuove capacità di comunione ecclesiale.
di Marinella Perroni