Allarme per il bacino del Katari: lo sversamento dei rifiuti contamina le acque e il territorio circostante, mettendo a rischio anche la vita delle comunità indigene

Bolivia
Un fiume di plastica

TOPSHOT - Aerial view of the Katari river filthed with rubbish coming from the city of El Alto and ...
13 febbraio 2024

Quello che si vede, nell’istantanea riprodotta in questa pagina, non è un effetto grafico. Non è che l’autore della fotografia abbia deciso di colorare il fiume che campeggia al centro dello scatto per metà di verde e per metà di bianco. No. La realtà è molto più grave e apre il drammatico scenario dell’inquinamento ambientale.

Il corso d’acqua in questione è il Katari; scorre in Bolivia per 90 km e sfocia nel lago Titicaca. Ma il suo record, purtroppo, è negativo: è infatti uno dei fiumi più inquinati del dipartimento di La Paz, perché raccoglie le acque reflue delle città di El Alto e Viachia. E infatti la parte bianca ritratta nella foto è dovuta all’enorme quantità di plastica che invade le acque fluviali. Bottiglie, barattoli, flaconi di varie misure, ma anche copertoni di auto…nel Katari galleggia ogni tipo di rifiuto, abbandonato lì dalla mano incosciente dell’uomo.

L’aver trasformato il fiume in una discarica ha però conseguenze molto gravi: lo scarico di rifiuti nel bacino idrico comporta il rilascio di grandi quantità di contaminanti chimici e biologici, tanto che la qualità dell’acqua del Katari e del suolo circostante si è ormai deteriorata, compromettendo anche la capacità di rigenerazione del lago Titicaca. Non solo: negli ultimi anni, durante la stagione delle piogge, la portata del fiume è aumentata e ha inondato i terreni circostanti, colpendo le colture e il bestiame. E lo straripamento delle acque contaminate del Katari ha danneggiato anche un altro fiume, l’Allita Jawiram, che si trova nella medesima regione.

Ad essere colpite, inoltre, sono le popolazioni indigene che dal fiume traggono sostentamento. Intorno al Katari, in particolare a Tiquipa, vivono gli Aymara, sempre più a rischio di sopravvivenza: «Prima ci alimentavano di ciò che veniva dal fiume, come i pesci e le uova che gli uccelli vi deponevano nei dintorni — spiega un rappresentante della comunità —. Ora, invece, a causa dell’inquinamento, abbiamo perso tutto. Tutto è morto». Di conseguenza, alcuni hanno abbandonato la pesca per concentrarsi sull’agricoltura o sull’allevamento. Ma non è bastato: recentemente, l’inquinamento ha iniziato a compromettere anche la salute del bestiame, riducendo ancora di più le possibilità di reddito economico delle famiglie. «Gli animali muoiono perché bevono le acque contaminate o perché ingeriscono rifiuti di plastica, tra cui persino siringhe, trasportati dal fiume», affermano le popolazioni locali.

Di fronte a tutto questo e in attesa di un intervento delle istituzioni, gli Aymara hanno deciso di impegnarsi in prima persona per cercare una soluzione: tutti insieme, hanno assemblato ghiaia e sabbia; hanno noleggiato una ruspa e un camion e hanno costruito argini in grado di fermare lo straripamento del Katari. Ulteriori interventi, più a lungo termine, prevedono la decontaminazione delle acque e del terreno. Ma il progetto non si ferma qui: nell’ottica del Creato inteso veramente come “casa comune”, gli Aymara hanno intenzione di lanciare anche una campagna di sensibilizzazione sulla situazione causata dall’inquinamento nell’intera regione, non solo nella comunità di Tiquipa.

Un modo per dimostrare — come ha più volte rimarcato Papa Francesco — che tutti siamo amministratori, e non proprietari, del pianeta. E che tocca a noi prendercene cura, anche per le generazioni che verranno. (isabella piro)