Hic sunt leones
Il continente è ricco di materie prime e il mutato contesto geopolitico internazionale apre nuovi scenari nelle filiere produttive e commerciali

Quale futuro per l’industria africana?

 Quale futuro per l’industria africana?   QUO-027
02 febbraio 2024

L’Africa subsahariana è una delle macroregioni meno industrializzate al mondo. Negli ultimi anni la produzione è rimasta stagnante o è addirittura diminuita in molti Paesi. Inefficienze e shock esterni, esacerbati da politiche inadeguate, hanno ridotto alcuni comparti industriali a veri e propri pesi morti piuttosto che motori di crescita e trasformazione strutturale. Nessuno mette in discussione le potenzialità della macroregione africana. Rimane il fatto che in questi anni l’economia subsahariana si è retta in gran parte sull’esportazione delle commodity (materie prime) in cambio di manufatti, rendendo insignificante la quota del continente nel commercio globale. Le sfide derivanti dalla continua fluttuazione dei prezzi delle materie prime e dal limitato valore aggiunto del continente alle sue risorse naturali, rendono l’Africa subsahariana vulnerabile agli shock esterni derivanti dalla dipendenza dalle esportazioni.

Da questo punto di vista è vitale l’African Continental Free Trade Area (AfCFTA), vale a dire l’Area continentale africana di libero scambio all’interno della quale si potranno trasferire beni e servizi tra gli Stati membri dell’Unione africana senza restrizioni di sorta. L’AfCFTA mira a stimolare il commercio intra-africano fornendo un accordo globale, reciprocamente vantaggioso tra gli Stati membri, che copra il commercio di beni e servizi, gli investimenti, i diritti di proprietà intellettuale e la politica di concorrenza. Altri quadri continentali includono iniziative per l’incentivazione del mercato intra-africano come il Boosting Intra African Trade (Biat) che mira a promuovere e sostenere l’integrazione del mercato africano incrementando in modo significativo il volume degli scambi tra i Paesi africani passando dagli attuali livelli di circa il 10-13 per cento al 25 per cento o più entro il prossimo decennio e l’Accelerated Industrial Development for Africa (Aida), il Piano d’azione per lo sviluppo industriale accelerato continentale, che mira a mobilitare risorse finanziarie e non finanziarie e a migliorare le prestazioni industriali dell’Africa. Si tratta di iniziative vitali per lo sviluppo soprattutto della macroregione subsahariana. Sta di fatto che la vera sfida, in termini di industrializzazione, sta proprio nella scelta di un modello che possa rendere competitivo l’intero continente.

Da tempo ormai il mondo è nella morsa della quarta rivoluzione industriale (4Ir) caratterizzata da digitalizzazione avanzata, dati, connettività e automazione. Non v’è dubbio che questa sarà la prossima frontiera delle politiche industriali africane che dovranno confrontarsi con la natura e le implicazioni delle nuove tecnologie digitali, nonché con i modelli di business alla base delle piattaforme digitali. In effetti, l’innovazione tecnologica è oggi guidata principalmente dai servizi che assumono un ruolo guida nella trasformazione strutturale. In questo contesto, i servizi svolgono sempre più le funzioni precedentemente previste dal settore manifatturiero, ovvero ciò che l’Istituto mondiale per la ricerca sull’economia dello sviluppo sotto l’egida dell’Università delle Nazioni Unite (Unu-Wider) ha definito «industrie senza ciminiere». Gli esempi includono la fornitura di servizi logistici e di trasporto di terze parti, servizi di mobile banking e turismo.

Alcuni Paesi tradizionalmente svantaggiati non sono ancora pronti per un cambiamento tecnologico rapido e complesso come impone la globalizzazione dei mercati. Ciò non toglie che i settori a minore intensità tecnologica come il tessile e l’agroalimentare hanno buone chance se debitamente valorizzate. Vi sono però economie più forti come quella sudafricana dove gli imprenditori stanno promuovendo l’adozione di modelli di business basati su piattaforme digitali autoctone che possono facilitare l’integrazione anche dei piccoli produttori nelle catene del valore globali. Da rilevare poi che proprio il Sud Africa vanta una delle stampanti 3D più grandi al mondo. Progettata e costruita nell'ambito di una collaborazione tra Aerosud Innovation Center e il National Laser Center del Csir a Pretoria, utilizza polvere di titanio per costruire i suoi prodotti su misura. E cosa dire della piattaforma Aeroview sviluppata dalla start-up Aerobotics? Con sede a Cape Town, utilizza l’intelligenza artificiale, i satelliti e i droni per assistere gli agricoltori e aiutarli a ottimizzare la resa attraverso l’analisi delle mappe elaborate per identificare le aree problematiche nelle colture. Aeroview ha utenti non solo in Sud Africa, ma anche in Australia, Nuova Zelanda, Malawi, Zimbabwe e Mozambico.

Tuttavia, come abbiamo già scritto, molti Paesi africani sono ancora alle prese con questioni legate alla prima, seconda e terza rivoluzione industriale, come l’elettricità, la meccanizzazione della produzione e l’automazione. Pertanto, vengono sollevate domande sulla preparazione dell’Africa alla quarta rivoluzione industriale. L’Africa sta recuperando terreno con il continuo progresso tecnologico? Dall’abbondanza di manodopera a basso costo alle risorse naturali, gli attuali punti di forza dell’Africa, soprattutto quella subsahariana, sembrano non corrispondere ai bisogni fondamentali della quarta rivoluzione industriale che consistono principalmente in colossali capitali di investimento, ricerca e sviluppo (R&S) e talenti altamente qualificati. Peraltro, l’invecchiamento della popolazione nel nord del mondo e la necessità di minerali per approvvigionare le politiche industriali verdi dei loro rispettivi Paesi sollevano lo spettro di nuove forme di colonizzazione. Come ha osservato l’analista di geopolitica internazionale Peter Zeihan , «il basso livello di industrializzazione [dell’Africa] significa che ha molte più materie prime industriali di quante ne potrebbe mai utilizzare […] e questo attirerà gli stranieri».

Nel frattempo è importante considerare le mutazioni che stanno avvenendo all’interno del quadro geopolitico internazionale. E qui il riferimento esplicito è al cartello dei Brics di cui fanno parte tra gli altri, tre Paesi africani: Sud Africa, Etiopia e Egitto. Considerando che la popolazione dei Brics rappresenta oggi il 45,6 per cento di quella mondiale e che se si calcolasse il Pil con il metodo della parità di potere d’acquisto, (Ppa) esso già supererebbe il g7 , potrebbero presto aprirsi nuovi scenari per l’Africa proprio dal punto di vista dell’industrializzazione, dunque nelle filiere produttive, negli assetti e nelle catene commerciali.

Come ha pertinentemente rilevato l’economista Paolo Raimondi, da anni attento osservatore delle politiche economiche dei Brics: «Man mano che questo cartello guadagna più membri e slancio, si dovrebbe inaugurare una nuova era di multipolarità economica, cambiando in modo rilevante le tradizionali strutture di potere politico e finanziario che da lungo tempo dominano la scena mondiale». Anche perché, questa crescita dei Brics, sempre secondo Raimondi, «oltre ad accelerare il processo della de-dollarizzazione attraverso l’immediato utilizzo delle monete locali nei rapporti commerciali, sarà dominante soprattutto nel settore energetico e in quello delle materie prime, a partire dalle cosiddette terre rare». Sarà la Storia a giudicare.

di Giulio Albanese